INCHIESTA CICLISMO FEMMINILE – Bronzini: «Il World Tour non è per tutti, non si diventa campioni con un click»

Giorgia Bronzini
Giorgia Bronzini, diesse della Trek-Segafredo fino al termine della stagione
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Le grandi squadre e le grandi atlete di solito non steccano gli appuntamenti che contano. Giorgia Bronzini quando è servito dare spettacolo ha sempre acceso le corse: due titoli mondiali su strada a Melbourne e Copenaghen nel 2010 e nel 2011, sette volte nella Top Ten della corsa iridata, tre podi complessivi oltre al mondiale e alla Coppa del Mondo nella corsa a punti. L’esultanza come un uragano sulla linea della vittoria, la consapevolezza di sentirsi felice sulla bici. Con il diesse della Trek-Segafredo abbiamo rispolverato l’album dei ricordi dalle prime pedalate con il Gruppo Sportivo Zeppi di Piacenza, all’ultima incredibile esibizione alla Challenge By La Vuelta: finale e trionfo a Madrid come i più grandi dello sport sanno fare. Giorgia Bronzini è molto realista. Tanti aspetti sono cambiati e si respira un clima virtuoso nel ciclismo femminile, diventato sempre di più una colonna portante dell’intero panorama a due ruote. Mai accontentarsi o pensare che questa sia l’unica strada percorribile: Giorgia Bronzini dedica un messaggio alle giovani atlete – si rivede nella Balsamo e punta anche sulla Paternoster – di oggi. Essere umili, rivalutare la lezione dei secondi-terzi posti e non pretendere che tutti diventino un giorno dei campioni affermati. Lo sport è un’esperienza unica, ma le delusioni vanno accettate e il World Tour che negli ultimi anni ha aperto l’opportunità a nuove squadre, è la Hall of Fame dove si entra per meriti e non per semplice catalogazione.

Giorgia, la stagione della Trek-Segafredo ha rispettato le attese?

«Per noi è stato un anno più che positivo. Non ci aspettavamo né di vincere la classifica della World Cup a squadre, né quella individuale. Deignan ha avuto un’annata più che valida, Elisa è andata oltre le aspettative che ci eravamo create».

Nel 2021, con un calendario classico dove possono arrivare le tue ragazze?

«Speriamo si torni alla normalità soprattutto per la mentalità delle atlete. Una stagione così è stata pesante».

Dal Gruppo Sportivo Zeppi di Piacenza quali sono state le tue vittorie più belle?

«I due Mondiali a Melbourne e Copenaghen e il Mondiale su pista. Se escludiamo il Mondiale, l’ultima gara vinta nella mia carriera a Madrid: ultima gara della mia carriera e vittoria. Non c’è cosa migliore di questa».

Com’è la situazione del ciclismo femminile? Hai notato miglioramenti da quando hai iniziato?

«Sicuramente è cambiata in meglio, su questo non ci sono dubbi. Squadre come la Trek-Segafredo, la Mitchelton-Scott, la FDJ, la CCC sono diventate World Tour e una squadra come la nostra è sempre al fianco delle ragazze come per i professionisti: dalle bici agli altri tipi di materiali, al trattamento. Le ragazze hanno un loro pullman, camper molto grandi. Io all’inizio della mia carriera andavo via con il furgone, non c’erano i viaggi in aereo. Il ciclismo è cambiato. È degno di essere chiamato ciclismo professionistico. Il fatto che noi italiane ancora non lo siamo considerate, deve essere preso in considerazione dalla Federazione: tante ragazze in questi anni sono state tutelate dai corpi militari che magari in futuro saranno accessibili alle ragazze più giovani e meno talentuose per accedere ai top club del World Tour».

Il World Tour non è per tutte?

«No, proprio come quello maschile. Un ragazzo non può pensare anche se fa il gregario di trascinarsi per anni dietro questa bici e immaginare di diventare un Sagan o un Viviani, quando fisicamente è limitato. Bisogna fare un attimo di autocritica e non continuare a fare qualcosa in cui non puoi eccellere. E scegliere altro nella vita dove puoi eccellere. Non perseverare nelle cose dove si hanno lacune troppo grosse. A volte sembra che voglio fare la rivoluzionaria. Voglio far capire alle ragazze che con tutti questi strumenti a disposizione possono usarli per migliorarsi e non per fare meno».

Ti rivedi in qualcuna delle atlete attuali in Italia?

«Avrei un bel mix da fare tra quelle attuali. Di sicuro nella Balsamo che mi piacerebbe avere in squadra, non lo nascondo. Credo che Elisa faccia gola un po’ a tutte le squadre, in futuro si potrà trasformare in una mini-Bronzini o una mini-Voss per le gare di un giorno, molto veloce e che potrà tenere sulle salite brevi. Ha una grande mentalità dalla famiglia di ciclisti, è sulla strada giusta. Letizia Paternoster sarà più una velocista, ma deve imparare a leggere le gare dal punto di vista tattico e a saperle interpretare: Letizia va guidata un pochino di più rispetto a Elisa».

In futuro si potrebbe pensare a una riforma con l’inserimento dell’Under 23 Donne?

«Non ci saranno mai i numeri necessari. Già nell’Elite, se dovessi calcolare già a quel livello chi potrebbe fare la professionista, verrebbe fuori un gruppo di 120 atlete in tutto il Mondo, molto piccolo».

Nel villaggio globale del ciclismo che tipo di qualità fanno la differenza?

«Bisognerebbe avere umiltà. Le giovani fanno fatica ad averla perché sono cresciute in un mondo dove tutto arriva con un semplice click. Ci sono APP per tutto, non si esce più, non c’è più dialogo. Ci sono ragazze che non si sanno nemmeno più esprimere parlando e devono nascondersi sempre dietro dei messaggi o delle mail perché a tu per tu non riescono ad affrontare i problemi. Con questo mondo dal tutto facile, tutto subito, tutto adesso, c’è la fretta di arrivare a tutti i costi e diventare campioni. Quando si arriva secondi o terzi al traguardo bisognerebbe dire “Questa è stata più forte di me oggi” invece di sbattere i pugni sul manubrio. A dodici anni i miei primi allenatori mi hanno insegnato a perdere prima di vincere e questo dico alle mie ragazze».

Quali traguardi speri di raggiungere con la Trek-Segafredo?

«Mi piacerebbe vincere il Giro d’Italia con la squadra. Anche se lo hanno declassato per me il Giro rimarrà sempre il Giro e senza dubbio è l’obiettivo numero uno che mi piacerebbe raggiungere. E poi vincere le gare World Tour 1.1 quasi con tutte le atlete che ho in una squadra per ripagare tutte, anche quelle che lavorano per le altre, perché i risultati danno morale. Spero di dare a tutte le ragazze di giocarsi le proprie opportunità. L’omogeneità nella squadra è fondamentale».

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