La ricostruzione della tragedia: «Io, ex professionista, ho visto Rebellin a terra. Ecco cosa è successo»

Cristian Bianchini al Trofeo Laigueglia del 1997
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Sulla strada della tragedia di Rebellin, è passato qualche attimo dopo Cristian Bianchini che aveva corso con lui alla fine degli anni Novanta condividendo con lui qualche trasferta in pista ed a qualche circuito. L’impatto con l’immagine del corpo a terra, coperto da un lenzuolo è stato molto violento.

«Non sapevo chi fosse la vittima – racconta – ma ho comunicato su una nostra chat di ex corridori che sulla strada c’era un altro ciclista vittima della strada. Sono stati loro a dirmi che si trattava di Davide e per me è stato uno shock. Quelle immagini sono stampate nella mia mente…» La voce si rompe per l’emozione e la commozione. «Il corpo era coperto da un lenzuolo, tre-quattro metri più avanti c’era il rottame della sua bicicletta che a prima vista non sembrava nemmeno una bici, ma un rottame in mezzo alla strada. E la cosa che mi ha colpito di più uno scarpino in mezzo alla strada. Una stretta al cuore…»

Che idea ti sei fatto della dinamica?

«Io sono un autotrasportatore e conosco bene quelle strade che percorro quasi quotidianamente. Non è una zona dove si può andare veloci e mi viene da dire che l’autista del camion non lo ha visto o non si è reso conto del pericolo. Temo che Davide sia stato colpito a metà del veicolo e sbalzato all’esterno mentre la bici è finita sotto le ruote posteriori finendo trascinata qualche metro più avanti».

Non se ne fa una ragione, Cristian. Cerca di capire le cause.

«Il camion veniva da Arzignano ed è entrato nella rotonda. Lì c’è anche un ristorante molto frequentato dai camionisti per cui è un luogo ben conosciuto da noi. Io stesso avevo intenzione di fermarmi a prendere un caffè…»

Escludi che uno dei due entrasse dalla piazzola?

«Si. Secondo me erano affiancati e procedevano nella stessa direzione e Davide a metà camion è finito sotto».

Davide conosceva bene quelle strade, era vicino casa…

«Si, sono le strade che lui frequentava di più. Conosceva pericoli e insidie, ma i ciclisti sono sempre i più deboli e per quante precauzioni usi non puoi mai difenderti fino in fondo dai pericoli della strada. Era una persona buona, buona come il pane».

Ha girato il mondo, trent’anni di professionismo e…

«Un professionista al 100%. Sempre meticoloso e professionale fin da quando era dilettante. Se c’era una persona che avrebbe meritato una buona vita, questa era lui. Invece ha preso tante botte senza mai perdere la sua umanità e generosità».