Swatt Club, Brambilla: «In Italia tante porte chiuse, ma questi ragazzi meritano molto di più»

Brambilla
Giorgio Brambilla, 36 anni, oltre che il volto di GCN Italia insieme ad Alan Marangoni è anche il giovane direttore sportivo dello Swatt Club (Foto Swatt Club).
Tempo di lettura: 4 minuti

«Subito dopo l’arrivo, appena ci siamo visti, Filippo mi ha detto: “Non ci credevi”. Io gli ho risposto: “Lo so, hai ragione, ci credevi solo tu”». Giorgio Brambilla, volto di GCN Italia e direttore sportivo dello Swatt Club, è reduce dalla folle giornata del campionato italiano, che ha visto la formazione lombarda trionfare con Filippo Conca.

Quindi, Giorgio, se il giorno prima della gara ti avessero detto che lo Swatt Club avrebbe vinto il campionato italiano, non ci avresti creduto?

«Ma assolutamente no, figuriamoci: anzi, non ci credo nemmeno adesso. Ma l’aspetto impressionante è che Conca ci credeva davvero. Da ottobre che era convinto di vincere, da ottobre aveva in testa solo il campionato italiano: ha puntato un singolo obiettivo in tutto il 2025 e l’ha centrato. È incredibile».

Riavvolgiamo il nastro: come hai gestito la gara dall’ammiraglia?

«Non voglio prendermi meriti che non ho: correvamo senza radioline, le azioni cruciali e le mosse tattiche le hanno decise tutte i corridori. Siamo abituati così: corriamo senza radio tutto l’anno, ci confrontiamo prima e dopo la gara con briefing e debriefing, ma in corsa i ragazzi sono liberi. Io ho parlato giusto un po’ con Carollo e Ginestra, che erano in fuga, ma poi quando è esploso il gruppo non ho potuto più dire niente perché con l’ammiraglia siamo rimasti molto indietro rispetto al vivo della corsa».

Qual era, allora, il piano di cui avevate discusso la mattina?

«Intanto mettere un paio di uomini in fuga, perché abbiamo bisogno di visibilità e una corsa trasmessa dalla Rai è chiaramente una vetrina unica; e poi, con quel body “papale” che avevamo, di sicuro non saremmo passati inosservati. A parte gli scherzi, ho spiegato ai ragazzi che molto sarebbe dipeso dal comportamento dell’Astana, la squadra World Tour più numerosa. Se l’Astana avesse provato a mettere uomini in fuga fin dall’inizio, avremmo avuto una corsa completamente pazza, che nessuna formazione avrebbe potuto controllare: siamo abituati alle gare anarchiche, avremmo potuto trarne vantaggio. Invece si sono messi a tirare per tenere la gara chiusa, quindi fino all’ingresso del circuito è stato tutto molto lineare».

Conca
Filippo Conca ha conquistato a sorpresa il campionato italiano di Gorizia, dopo un 2025 in cui si era dedicato quasi solo al gravel (credit: Foto Bolgan).

Nel circuito, però, il gruppo è esploso subito, e alla fine a giocarsi la vittoria sono stati corridori non in cima ai pronostici. Come te lo spieghi? 

«Sicuramente il caldo ha influito molto. Quando è partita la fuga, abbiamo detto a Carollo e Ginestra di andare più piano possibile, per risparmiare energie fino all’ingresso del circuito: tanto l’Astana non aveva alcun interesse ad andare a chiudere, li hanno tenuti a lungo lì a un minuto. Poi però davanti hanno accelerato e dietro, tra il caldo, i continui su e giù e le difficoltà planimetriche, il gruppo si è subito frantumato e non è stato facile per nessuno».

I “tuoi” ragazzi, poi, nel finale non hanno sbagliato nulla.

«Sono stati perfetti: basti pensare, per esempio, alla decisione istintiva di Gaffuri, che appena è rientrato all’ultimo chilometro si è messo a tirare la volata a Conca, e l’ha lanciato nel modo migliore. Poi è chiaro che tutto è girato nel modo giusto: perché vinca lo Swatt Club ci vuole Ganna col mal di stomaco, Bettiol che salta per aria, Milan con pochissimi compagni. Jonathan è andato fortissimo: se avesse avuto un Ciccone, o un Bagioli, avrebbe vinto sicuramente. A parte le circostanze, comunque, bisogna sottolineare che il livello dei cinque corridori che abbiamo schierato non sarà quello di Ganna o di Milan, ma non è nemmeno quello di una squadra di club. Conca, per esempio, è un corridore da Professional o addirittura da World Tour: non c’entra nulla con una formazione di quarta categoria come la nostra, non c’entra nulla con le corse .2».

E infatti potrebbe molto presto rientrare nel professionismo.

«Sono contento che vada via, e che abbia la possibilità di mettere in mostra il tricolore nelle corse che contano. Ma tutti i nostri ragazzi meritano molto di più: sono corridori da terza, seconda o addirittura prima categoria, che si ritrovano in un contesto che non è il loro. Vengono scartati perché si ritiene che non possano diventare forti corridori World Tour: ma tra essere un forte corridore World Tour e militare in una squadra di club c’è un abisso. Noi li mettiamo nelle condizioni migliori: qui non hanno stress, gestiscono il calendario e l’alimentazione come preferiscono. Va anche ricordato che qui corrono gratis, mentre studiano o svolgono un altro lavoro part time».

Come ti trovi in ammiraglia?

«È davvero divertente, perché appunto i nostri corridori sono “fuori categoria” per le gare .2, e quindi da inizio anno non siamo mai usciti dalla top 10 in nessuna corsa. Per me questo è un vero e proprio hobby: lo faccio gratis, non ho chiesto al Presidente Beretta neanche un rimborso spese, anzi prendo le ferie per poter salire in ammiraglia. E poi giornate come quella di domenica valgono una stagione intera».

Kasper Andersen, con la maglia dello Swatt Club, ha conquistato ad aprile la Torino-Biella.

Cosa vedi nel futuro dello Swatt Club?

«Bella domanda, bisognerà intanto capire che budget avremo nel 2026. Sarebbe interessante riproporre un organico simile a quest’anno, andando a prendere corridori pieni di talento ma scartati dalle squadre più importanti. Altrimenti potremmo addirittura diventare Continental, e magari allora aggiungere qualche giovane, sempre però rimanendo fedeli alla nostra idea di dare una possibilità a chi se la merita ma è uscito dal giro. Vedremo, io mi fido ciecamente del Presidente: già quest’anno ha avuto una lungimiranza incredibile».

Nel futuro più immediato, invece, dove vi rivedremo?

«Ancora non lo sappiamo di preciso perché gli organizzatori italiani ci hanno chiuso un sacco di porte: chissà se ora, dopo l’Italiano, queste porte si riapriranno. In Italia ci hanno invitato pochissime volte: preferiscono chiamare le squadre che vengono alle gare da sempre, e non noi, perché non ci conoscono. Ma vediamo: direi che abbiamo dimostrato in tutti i modi quanto andiamo forte, e quanto possiamo rendere le corse spettacolari e divertenti».