MONDIALI 2021 / La delusione di van Aert, il grande sconfitto: «Mi mancavano le gambe, non ho giustificazioni»

Van Aert
Wout Van Aert ai Campionati del mondo 2021 delle Fiandre
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Nel ciclismo non si può dare nulla per scontato, mai. Non esiste esito prestabilito, non esistono certezze perché tutto può cambiare in un secondo. Tutti davano per favorito Wout van Aert per la prova in linea élite uomini, tutti credevano sarebbe stato lui ad indossare la nuova maglia iridata. Ma i 268 chilometri, che da Anversa hanno condotto a Lovanio, hanno dato un responso totalmente differente.

Il grande sconfitto

Quando si avvicina ai microfoni di Eurosport il buon Wout ha il volto scuro come pece, irrigidito, i muscoli facciali sono contratti. Probabilmente pronunziare anche mezza sillaba è per lui più faticoso di un Mondiale vinto splendidamente da Alaphilippe e corso dal primo all’ultimo metro a ritmi forsennati. «Non avevo le gambe buone, c’è poco da girarci intorno. Non sono riuscito a rispondere a Julian, mi sono mancate le forze».

Parole schiette, prive di orpelli. Giustificazioni? Nessuna: nubi dense si ammassano nell’animo di un van Aert che tutti designavano come il grande favorito della vigilia ma che, per sua stessa ammissione, non è riuscito a tenere fede alle aspettative. Eppure a 21 km dalla fine, quando quella vecchia volpe di Julian è scattato perentoriamente sul Wijmpers, il capitano belga ha cercato di rispondere al forcing del francese seguito dal nostro Colbrelli ma a nulla è servito, ha dovuto alzare bandiera bianca e assistere alla cavalcata trionfale – proprio come l’anno scorso – di un francese con lo spirito del guerriero indomito con cui fare i conti è compito arduo.

Ancora una volta van Aert esce con l’amaro in bocca dalla prova iridata. L’anno scorso a Imola fu secondo dietro Alaphilippe, con la promessa che il 2021 sarebbe stato il suo anno per indossare la tanto agognata maglia iridata. E le premesse c’erano tutte: alle Olimpiadi è giunto secondo alle spalle di Richard Carapaz, con una condotta di gara troppo esposta e che non ha giovato all’esito finale della sua corsa, ma soprattutto si è presentato ai Mondiali in casa con un colpo di pedale che sembrava davvero quello dei predestinati. Nella cronometro individuale ha colto l’argento, piazzandosi sul secondo gradino del podio per soli cinque secondi dietro al nostro Filippo Ganna. Sembrava un segno premonitore benigno, sembrava finalmente arrivato il suo momento ma qualcosa non è andato come sperato, qualcosa si è inceppato. Colpa della tensione? Colpa delle troppe aspettative su di lui? Oppure semplicemente una giornata storta? Gli interrogativi sono molteplici ma le risposte, fondamentalmente, per quanto articolate non sono sufficientemente in grado di spiegare una prova opaca e decisamente sotto le aspettative.

Su di lui aveva scommesso fermamente il Cannibale Eddy Merckx che sosteneva con fervore che la nazionale belga avrebbe dovuto correre totalmente al servizio di Wout, rivolgendo parole non proprio garbate a Remco Evenepoel, definito egoista e dannoso per la buona riuscita dell’assalto al titolo mondiale, che invece si è dimostrato altruista, sposando la causa del suo capitano mostrando serietà, rigore ma, soprattutto, lealtà e spirito di sacrificio quando avrebbe potuto tranquillamente – la storia del ciclismo ne è piena zeppa di storie simili – fare orecchie da mercante e pensare esclusivamente al fatto suo. Non lo ha fatto e questo gli fa onore, più di qualsiasi trionfo e azioni da purosangue che nel corso degli anni regalerà a tutti gli appassionati.

Poteva essere la grande festa in casa per il Belgio, poteva essere la grande consacrazione di van Aert ma così non è stato. Il ciclismo è maestro severo, non concede secondi appelli immediati. «La situazione era ottimale, la squadra è stata perfetta non ha sbagliato nulla», ha aggiunto van Aert. «Remco ha fatto un lavoro strepitoso, a 178 km dalla fine ha subito dimostrato di avere una grande gamba mettendo in difficoltà gli avversari. Le circostanze che si sono venute a creare erano ottimali grazie al lavoro incredibile di Remco e di Jasper Stuyven: si sono messi totalmente al mio servizio, sono stati impeccabili. L’unico, purtroppo, che al momento opportuno non si è fatto trovare pronto sono stato io, non avevo abbastanza gambe».

Un fuoriclasse si vede non soltanto quando la vittoria si posa accanto a lui ma, soprattutto, quando deve fare i conti con la sconfitta, compagna sgradita ma istruttiva. Van Aert lo sa e non si perde in chiacchiere inutili: ci sono nuove gare da affrontare, nuovi obbiettivi da raggiungere e un conto in sospeso con la maglia iridata da chiudere per poter finalmente sorridere.