INCHIESTA CICLISMO FEMMINILE – Marta Bastianelli: «Siamo in una buona fase, mi auguro che nascano più squadre»

Marta Bastianelli
Marta Bastianelli insieme alla figlia Clarissa
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Parco dell’Ontanese a Lariano. Ontanese Park, come lo chiamerebbero gli inglesi. Marta Bastianelli e i sogni di una bambina in un anello nel bosco cittadino che sono diventati d’oro. Una Campionessa come lei, atleta ed eccellenza del Gruppo Sportivo delle Fiamme Azzurre e della Alé BTC Ljubljana, è partita come tutti da zero per arrivare a cento. Da otto anni vive in Abruzzo, ma ricorda sempre con smisurato orgoglio le sue origini laziali e le tonnellate di sacrifici fatte insieme ai genitori per inseguire la sua passione: le gare da giovanissima a Sora e Isola del Liri, gli allenamenti sul circuito creato dal padre insieme ad altri appassionati e un ciclismo che non tornerà mai più: Marta Bastianelli vorrebbe tanto salire a bordo di una DeLorean come quella usata per viaggiare nel tempo da Emmett “Doc” Brown e Marty McFly in “Ritorno al futuro”, impossibile. Ci sono i ricordi a scaldare il cuore e le corde delle sue parole che vibrano di emozioni incancellabili. Oggi il ciclismo femminile vive un momento di transizione che Marta Bastianelli vede con un’ottica positiva: più squadre World Tour, maggiori tutele e diverse nuove gare. Quello che manca per la Bastianelli, sono gli investimenti sui giovani: la passaporta fondamentale per garantirsi un futuro e cercare un giorno nuove leader del movimento come lei. Quibicisport.it ha avuto l’opportunità di confrontarsi con Marta Bastianelli e l’umiltà dei suoi pensieri sgorga come acqua fresca in una tappa sotto il sole cocente. Il sogno olimpico, la voglia di portare la sua esperienza nel ciclismo che verrà e tante idee bellissime per un movimento che ha ancora potenzialità inespresse.

Marta, una stagione particolare per tutti. Tu l’hai conclusa con un ottimo 3° posto alla Vuelta: come l’hai vissuta?

«Tragica per me. Ho avuto un po’ di problemi subito post quarantena, appena l’attività è ripresa. Ho scoperto di aver avuto la mononucleosi e quindi sono stata costretta a fermarmi un mese e sono stata fuori dalle gare senza fare niente di niente. Sono rientrata nelle gare in Belgio, ma purtroppo a causa di una situazione Covid all’interno della squadra ci siamo dovuti mettere tutti in quarantena in Belgio. Finisce così questa stagione incredibile che rispetto allo scorso anno non mi ha dato quello che mi aspettavo. Essendo particolare per tutti, me la sono presa ma relativamente perché era a prescindere una stagione strana».

Descrivici il tuo pensiero in merito all’inchiesta sul ciclismo femminile, dove la situazione non è bellissima.

«Qui noi siamo state abbastanza tutelate con le squadre World Tour. Da quest’anno sono nate otto squadre World Tour di cui io faccio parte. Ho la fortuna di far parte del Gruppo Sportivo delle Fiamme Azzurre e sotto questo punto di vista noi siamo a tutti gli effetti tutelate. Mi rendo conto delle ragazze che vivono situazioni all’interno di squadre secondarie che non sono World Tour e non hanno contratti stabiliti e definiti però si va anche in base al rendimento: c’è da prendere le parti, però fino a un certo punto. Per far parte di una squadra World Tour devi avere degli attributi come nel maschile che prevede la medesima suddivisione. Mi auguro che si possa creare un bel gruppo di squadre World Tour dove le atlete sono tutelate al 100% perché hanno dei contratti definiti e sicuri. C’è anche da dire che oggi la situazione in cui siamo non aiuta e per quello che succede nel mondo anche lo sport sta vivendo un momento abbastanza drammatico. Mi metto anche nei panni delle aziende che devono investire su uno sport, piuttosto che su un’altra attività, ovviamente fanno fatica. Noi abbiamo fatto un bel passo con le squadre World Tour: essendo una veterana, da dodici/tredici anni nel World Tour penso che sia stato importante arrivare a questa fase. Ovviamente non è come nel maschile, che ciò che si vuole si ottiene. Qui ci vuole un pochino più tempo e magari le persone giuste che incentivino il movimento, ma comunque ci siamo arrivate. Siamo in una buona fase e mi auguro che nascano più squadre e tante atlete forti abbiano la possibilità di andare nelle World Tour e nei Gruppi Sportivi perché ne hanno bisogno e sicuramente in queste due situazioni sono più tutelate. Nelle squadre di seconda fascia a volte se ne approfittano parlando di rimborsi spese, eccetera. Anche nel maschile le Continental non vivono situazioni abbastanza rosee: rimborsi spese concordati in base ai risultati. Mi auguro che da otto le squadre World Tour diventino di più perché vorrà dire che il ciclismo femminile ha un bel piede all’interno del movimento. Le squadre maschili World Tour hanno il dovere di incentivare il movimento al femminile: molte hanno il vivaio su entrambi i fronti, mentre altre dovranno pensare a farlo nascere. Per esempio la Ineos Grenadiers e altre. A me dispiace per il movimento giovanile che sta vivendo un periodo terribile: senza giovani non c’è un ricambio generazionale».

Perché consigliare a una ragazza o a una bambina di correre in bicicletta?

«Io ho una figlia di sei anni che mi chiede di iniziare, ma faccio un po’ fatica a immaginare lei in futuro in bicicletta perché so da dove vengo e i sacrifici che ho fatto. Con i miei genitori abbiamo fatto avanti e indietro tra Frosinone, Sora e Isola del Liri. Essendo del Lazio, noi non abbiamo un movimento femminile abbastanza importante, anzi quasi zero, per cui noi correvamo con i maschietti. Non è il fatto di fare sacrifici, perché per arrivare a cento bisogna sempre partire da zero, quindi i sacrifici si fanno a prescindere in qualsiasi altro sport. Ma questo è uno sport particolare: innanzitutto per farlo diventare un lavoro devi veramente essere un qualcuno, specialmente nel femminile. Lei farà la strada che vuole e noi saremo sempre qui a spalleggiarla. A oggi non posso portarla in nessun posto, far sì che questo suo sogno possa diventare realtà perché è tutto chiuso e tutto fermo. Noi in Italia soffriamo il fatto di non avere dei posti adatti dove far allenare questi bambini: io sono cresciuta a Lariano dove c’era un circuito, un anello chiuso al traffico nel bosco create da tutti i familiari di noi bambini che correvamo in bici. Quando dovevamo crescere di categoria siamo andati anche fuori sulla strada, ma abbiamo avuto la fortuna di avere una persona sempre dietro ed era il nostro direttore sportivo che ci seguiva anche per fare un’ora di bici. A oggi queste persone e queste figure mancano. Mio suocero è appassionatissimo e ha avuto squadre che vanno dai giovani alle categorie più importanti, poi per un motivo o l’altro e molto perché i genitori purtroppo intervengono in situazioni che non gli spetta e non capiscono che all’inizio il ciclismo potrebbe essere un gioco per i figli, ha dovuto lasciare. E dispiace: Van der Poel per esempio è così perché ha iniziato da G1, G2. Mancano i giovani, il perno da dove iniziare. Si parte da zero per arrivare a dieci, ma non capiscono questo però».

Si è persa la familiarità del ciclismo in Italia?

«Tra di noi ognuno aveva la sua bicicletta. La società non poteva permettersi di dare una bicicletta a testa perché non c’era proprio la concezione. Per noi però non era importante questo: noi andavamo a correre perché ci piaceva, perché era diventata una passione e perché comunque era un momento per stare tutti quanti insieme, incontrarci e condividere qualcosa di bello oltre allo sport che praticavamo. Adesso, per lo meno da quello che ho capito, i genitori pretendono che i figli abbiano le biciclette con le ruote alte, gli occhiali firmati, i caschi di ultima generazione, le scarpette belle come il campione e quindi c’è molta rivalità. Andare alle gare e sentire “Tu devi fare così, tu invece così”: il ciclismo non è questo, come tutti gli altri sport d’altronde. Così i genitori gli fanno passare la voglia, i nostri anni ce li dimentichiamo. Trovandoci a parlare con i ragazzi e le ragazze della mia età diciamo spesso “Ma ti ricordi quando?”, quindi vuol dire che oggi tutto questo non c’è più».

Quali valori dovrebbe avere una ragazza per farsi apprezzare nel ciclismo di oggi?

«Credo che ci voglia tanta umiltà oggi come oggi. Vedo che la rovina più grande attualmente sono i Social: Instagram è diventato la rovina più importante di chiunque pratichi uno sport o lavora. Perché si sta in competizione anche sui Social. Quindi se sei una ciclista e sei anche bella allora sei sicura che vai al Mondiale, agli Europei, a quello che ti pare. Adesso è quasi più importante apparire sui Social come una bella sportiva piuttosto che una sportiva forte. Ricordiamoci che per gli sportivi, quelli veramente tosti e forti, purtroppo da una parte pende l’ago della bilancia. Sono persone che a volte si dimenticano di loro stesse: io per esempio sono una mamma e a volte alcuni sponsor mi chiedono quanti like ho su Instagram e inizialmente gli dicevo “Ma che sono questi like?”. Credo ci voglia umiltà, però dobbiamo andare al passo con i tempi e purtroppo è importante questo al giorno d’oggi».

Quali sono gli aspetti sui quali bisognerà focalizzarsi in futuro?

«La concretezza. Ciò che conta non è l’aspetto esteriore, ma interiore. Fare tutto quello che serve per questo sport, quello che contano sono i fatti alla fine. Ancora non l’hanno capito in molti».

Dal GS Lariano quali sono stati i momenti che non dimenticherai mai?

«La compagnia, la bella gente. Vivere momenti veri e spensierati che ricorderò sempre. Quando rivedo le foto delle corse in cui ci impegnavamo per conquistare il risultato finale, ma oltre quello il bello era il dopo: quando rimanevamo a pranzo in Ciociaria per i prati tutti insieme. C’era familiarità, oggi è un ambiente molto meccanico: come passare il badge, entrare in azienda e tornare a casa. Noi comunque andiamo in giro per lavoro ed è giusto che ci siano situazioni più serie. Per me le Fiamme Azzurre e la Alé BTC Ljubljana sono due famiglie».

Programmi per il 2021, fino a quando vorresti correre e immagini un futuro da tecnico?

«Vorrei correre fino all’ottenimento di una convocazione olimpica. Dico convocazione e ovviamente con un possibile bel risultato. È l’unica convocazione che mi manca per chiudere il mio coronamento della carriera. In futuro mi piacerebbe sicuramente far sì che la mia figura da atleta per aiutare le giovani rimanga all’interno del movimento. Non so in che modo, ma mi piacerebbe che la mia figura non muoia lì. Ed essere una spalla per i giovani e dargli tutta la mia esperienza e quello che ho vissuto fino a oggi».

– Leggi la prima puntata dell’inchiesta nel ciclismo femminile

– Leggi la seconda puntata dell’inchiesta nel ciclismo femminile con Giorgia Bronzini

– Leggi la terza puntata dell’inchiesta sul ciclismo femminile con Elisa Balsamo

– Leggi la quinta puntata dell’inchiesta nel ciclismo femminile con Alessandra Cappellotto