Codice Provini: «Sono duro ed esigente, ma chi mi ascolta si toglie soddisfazioni»

Provini
Matteo Provini, direttore sportivo della Hopplà-Petroli Firenze
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Se Nencini è passato alla Zalf e Piccolo ha deciso di accettare l’offerta della Gallina, è perché entrambi non si trovavano più bene con Matteo Provini. Le discussioni sono avvenute in momenti diversi della stagioni. I motivi? I più banali: un patto di fiducia reciproca non sempre rispettato, uno stile di vita probabilmente efficace ma difficile da accettare senza riserve né tentennamenti. Provini militaresco, Provini sergente di ferro, Provini invasato e posseduto.

«E dire che con gli anni mi sono addolcito – riflette Provini – Perché, dici? Perché a volte mi sento un dinosauro e perché i ragazzi, ai metodi duri, non ci sono abituati. Dovevo mordermi la lingua vent’anni fa, figurati adesso: mediamente sguazzano nel benessere, hanno più di quello che vogliono ancor prima di chiederlo, non sanno più cosa significa lottare per ottenere, per sopravvivere. A volte esagero, sono d’accordo, ma meno di una volta. Anni fa, a chi si lamentava per un motivo stupido, dicevo: allora vai a casa. A muso duro, senza pensarci due volte».

Ma i tempi sono cambiati, Matteo.

«Io credo che il ciclismo sia cambiato meno rispetto alla società in cui viviamo. E’ ovvio che il nostro sport abbia subito delle mutazioni, ma il canovaccio è sempre lo stesso: la base è la fatica, non si scappa. Il caldo, il freddo, le strade dissestate, le salite lunghe e dure, le discese pericolose: gli elementi sono i soliti, cent’anni fa come adesso. Fatica e sacrificio sono gli ingredienti principali del ciclismo. Per andare d’accordo con me è sufficiente rispettare quattro regole».

Quali?

«Allenarsi bene, mangiare con attenzione e consapevolezza, fare la vita del corridore e rispettare gli orari. Sugli orari non transigo: bisogna essere puntuali. Siamo un gruppo e ognuno deve pensare all’altro e rispettarlo. Se ognuno facesse come gli pare, la mattina non usciremmo mai per l’allenamento. Prima la società era restrittiva, forse troppo, ma oggi siamo caduti nell’eccesso opposto. La libertà è un falso mito, tanti di noi non saprebbero cosa farsene, quasi sempre chi viene lasciato andare finisce per perdersi. La soddisfazione si raggiunge rispettando alcune regole, non facendo quello che ci pare».

Belleri
Considerato da tutti un esempio di professionalità e dedizione, Michele Belleri ha lasciato la Biesse-Carrera per l’Hopplà in cerca del definitivo passaggio tra i professionisti

I tuoi ragazzi dell’Hopplà erano in ritiro già nelle scorse settimane e torneranno da te domani, corretto?

«Esatto. Un primo incontro dal 19 al 23 dicembre, un secondo dalla sera del 26 al 30, un altro da domani al 7. Grazie alla generosità di un amico che ci mette a disposizione un appartamento, trascorreremo alcuni giorni a Sestri Levante. Un ultimo ritiro lo faremo dall’11 al 17 febbraio, prima che cominci la stagione. Il gruppo mi sembra umile e affiatato: non vedo prime donne e gli orari li rispettano naturalmente, adesso bisogna capire quanto resistono».

Qual è la vostra giornata tipo?

«I ritmi sono già dettati, non si sgarra. La sveglia è alle 7,50. Poi, alle 7,55, controllo del peso, della saturazione, dei battiti e della pressione. Dopodiché colazione e alle 9,30 si esce per l’allenamento. La durata dipende da quello che dobbiamo fare: venerdì hanno pedalato per due ore e mezzo, giovedì invece per quattro ore. Quindi rientriamo a casa, mangiamo e poi i ragazzi si dedicano alle pulizie. Verso le quattro arrivano i due massaggiatori. Intorno alle sette cominciano a prepararsi la cena e dopo mangiato la giornata è praticamente finita. Il corpo è una macchina abitudinaria, è fondamentale ripetere gli stessi gesti, a maggior ragione se sono
sani
».

Una vita inquadrata, evidentemente non adatta a tutti.

«No, ma chi non riesce ad abbracciarla è meglio che smetta. Non penserete mica che i professionisti facciano quello che vogliono, vero? Ma chi la capisce e se la fa andar bene può togliersi delle soddisfazioni. Mosca e Moschetti sono rimasti con me per tre anni e sono degli
affermati professionisti. Idem Duranti, che vinse l’oro ai Giochi del Mediterraneo e non passò nella massima categoria perché fallì il progetto ungherese della EPowers di cui doveva far parte. Mareczko, che ho avuto tra i dilettanti, continua ad allenarsi con noi. Qualcosa vorrà pur dire
».

Ma bisogna anche mettere in conto che talvolta qualcuno possa non essere d’accordo: Piccolo, ad esempio.

«Per l’amor di dio, siamo in democrazia, non sono così ottuso da pretendere che chiunque la pensi come me. Ma permettimi di ricorrere alla matematica. Piccolo ha totalizzato almeno cinquanta punti in tre stagioni, due delle quali le ha corse per me. Lo presi appena sbarcò tra i dilettanti, nel 2016, e diventò subito campione regionale lombardo. Le sue annate migliori le ha vissute col sottoscritto. E quest’anno, sia quando ha vinto sia quando si è piazzato, ha avuto a disposizione delle belle squadre. Tra un anno tireremo le somme».

Nencini
Tommaso Nencini, ex corridore della Hopplà-Petroli, in una foto d’archivio alla Firenze-Empoli

Un altro corridore col quale hai avuto degli attriti è Nencini.

«Per quanto riguarda Tommaso, il discorso è sempre lo stesso. Ha indubbiamente del talento, ma deve capire che bisogna rigare sempre dritto. Nel ciclismo non ci si possono permettere tante pause né passaggi a vuoto. Finché lo abbiamo preparato noi ha raccolto ottimi piazzamenti come il secondo posto alla Firenze-Empoli e il quarto al Polese, tanto che Amadori lo aveva pure convocato in nazionale per il Circuit des Ardennes. Poi, dopo la famosa discussione, ha preferito affidarsi al suo procuratore, Alberati, e non è andato oltre qualche piazzamento in gare piatte di terzo piano. Alla Zalf troverà Faresin, una persona con cui ho lavorato e che stimo molto. Spero che la voglia di rivalsa nei miei confronti ci permetta di apprezzare il miglior Nencini».

Mentre Regnanti è il tuo uomo fidato in mezzo al gruppo.

«E’ un ragazzo che lavora sodo, che non si lamenta, che sta a sentire, che s’informa. Una mattina della scorsa settimana i ragazzi mi hanno chiesto se potevamo uscire un’ora dopo, visto che l’allenamento non sarebbe durato molto. Mi sono arrabbiato: le 9,30 non è l’alba, chi conduce una vita normale lavora già da un’oretta, una volta un contadino c’avrebbe messo la firma pur di non rimanere otto ore piegato nei campi. Qualcuno dirà che sono discorsi fuori dal tempo, io invece continuo a credere che nel ciclismo fa strada soltanto chi è disposto a soffrire più di tutti gli altri».