Provini: «Ormai per una squadra italiana è impossibile ingaggiare i nostri migliori juniores»

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Matteo Provini, direttore sportivo della Hopplà, al Giro Next Gen di quest'anno
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Ormai siamo a settembre, in capo ad un mese la stagione volgerà al termine ed è normale che le squadre pensino al prossimo anno. Anzi, a dire la verità ci stanno lavorando già da diverse settimane. Il problema è uno solo, ma capitale: capire su che basi muoversi, su quali corridori poter contare.

«La verità è che la Hopplà-Petroli Firenze di Matteo Provini e Claudio Lastrucci – spiega lo stesso Provini – è diventata la quarta alternativa. Mi spiego. Prima vengono le professional, ed è difficile per un giovane corridore rifiutare la possibilità di fare il grande salto. Dopodiché, ma quasi sullo stesso piano, vengono le development, perché pur non trattandosi di realtà professionistiche spesso e volentieri promettono agli atleti di entrare a far parte di un ambiente che prima o poi li porterà a raggiungere la massima categoria. In terza istanza, ecco le continental: che nella stragrande maggioranza dei casi fanno un calendario quasi identico al nostro, salvo qualche dimenticabile e inutile esperienza coi professionisti, d’altronde un ragazzo di diciannove anni che si ritira dopo sessanta chilometri non impara niente, sono batoste inutili ai fini della crescita».

E infine, è il turno della Hopplà-Petroli Firenze.

«Ma non è un problema di Provini e basta, non far passare il concetto che a lamentarsi e ad alzare la voce è sempre e soltanto Provini. Vai da Balducci della Mastromarco, ti dirà la stessa cosa. E così tanti altri direttori sportivi di squadre un po’ più piccole, mettiamola così. Io, mesi fa, mi ero messo in contatto con Mottes e Grimod, due ottimi juniores italiani. Ma non c’è stato niente da fare, o scelgono l’estero o scelgono le continental».

Ma è sbagliato dire che forse è normale che sia così?

«Ti faccio un esempio. Crescioli cambia squadra e va alla Technipes di Cassani e Coppolillo, d’accordo? Io col ragazzo avevo parlato lo scorso anno, forse rimase impaurito dal mio regime duro, però io preferisco essere sempre serio e trasparente, inutile raccontare favole a questi ragazzi. Io posso capire che un progetto come la Technipes, con Cassani e alcuni ottimi direttori sportivi, possa essere più appetibile del mio. Io non mi riferisco al singolo caso, ma al quadro generale».

Spiegati meglio.

«Per un secolo l’Italia ha insegnato il ciclismo a tutto il mondo, tant’è che nessun’altra nazione vanta il nostro movimento dilettantistico e che gli stranieri continuano a venire a correre da noi. Il mondo è cambiato, certo, non si vive di tradizione. Ma io mi domando: è mai possibile che nel giro di due o tre anni siano sbocciati così tanti ragazzi italiani appena maggiorenni già pronti per entrare nel giro dei vivai professionistici? Tra due o tre anni tracceremo il primo bilancio e vedremo se effettivamente il professionismo nostrano avrà tratto giovamento da questa esperienza».

Ma non credi che sia un processo irreversibile? Cioè, come si fa nel 2023 ad impedire a degli atleti talentuosi di accettare buone offerte dall’estero?

«Guarda, ormai mi conoscono tutti e sanno che non ho problemi a dire quello che penso: a me nessuno toglie dalla testa che a spingere i ragazzi in una certa direzione sono i procuratori. Non avete idea di quanto contino oggi certe figure. Ci sono degli juniores che non sarebbero pronti per trasferirsi all’estero, ma chi li assiste è consapevole del fatto che se non li asseconda li perde. Questi ragazzi, adesso, vedono i vivai stranieri come l’eldorado e se non possono contare su un procuratore che ce li porta lo cambiano e ne trovano un altro. Però forse, e dico forse, una soluzione ci sarebbe».

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Quale?

«Per me dovrebbe muoversi la Federazione. Come? Dicendo: signori, per i primi due anni gli juniores che diventano dilettanti devono trovare squadra in Italia. Così magari due li prende la Zalf, due li prende la Colpack, uno lo prendo io, uno lo prende Balducci alla Mastromarco. Io adesso mi riferisco alla prima fascia, si capisce. E’ impossibile, dici? Per tanto tempo, finché c’era una distinzione netta e precisa tra dilettantismo e professionismo, ha funzionato bene il blocco olimpico: e lì, addirittura, quasi s’impediva a certi corridori di passare professionisti. Se ci siamo riusciti allora, perché non dovremmo riuscirci adesso?».

Quanto è difficile convincere gli sponsor a non abbandonare?

«Tanto. Prima di tutto ci vuole la passione, e poi senza girarci intorno i risultati e la prospettiva di riuscire a far passare qualcuno nella massima categoria. Io parlo per la mia esperienza, Lastrucci della Hopplà è demoralizzato, ma chi non lo sarebbe? Con tutti i soldi che tiriamo fuori tra gare, preparazione, ritiro e tutto quanto, le soddisfazioni sono poche. Se non ci dà una mano la Federazione, allora chi? E’ troppo facile dire, dopo che i corridori si attaccano alle ammiraglie sullo Stelvio, che allora le squadre italiane sono scarse e non meritano di partecipare al Giro: che colpa abbiamo se andiamo a cercare i migliori juniores italiani e tutti ci rispondono picche?».

Ti era mai successo?

«Non come nelle ultime stagioni. Io avrò mille difetti e di errori ne ho commessi, ma qualcosa di ciclismo credo di capirci. Ho un metodo duro ed esigente, me ne rendo conto, ma dopo due o tre anni dai miei corridori riesco sempre a cavare qualcosa. Ma se non mi viene dato il tempo, se i ragazzi cambiano squadra in continuazione perché hanno fretta di arrivare non si sa dove, come faccio io? Una volta mi capitava di incontrare qualche corridore che mi diceva: ho scelto questa squadra perché ci sei te. Ora succede di rado, contiamo poco: è l’amara verità».

Che organico dobbiamo aspettarci dalla Hopplà del prossimo anno?

«Acco e Gatti hanno smesso, Baroni ci sta pensando. De Lisi ha preferito concentrarsi sulla pista, Fiaschi ha appeso la bici al chiodo ormai da diversi mesi. Siamo rimasti in contatto, ogni tanto lo sento. Ho apprezzato la sua onestà, ha deciso di fermarsi quando ha capito che forse il ciclismo gli chiedeva troppo. Nencini potrebbe andare alla Zalf, Piccolo è abbattuto perché nonostante i buoni risultati non lo cerca praticamente nessuno».

Gomez e Regnanti, invece?

«A Gomez l’ho detto: se vuole spiccare il volo deve impegnarsi come cristo comanda e puntare a vincere gare di un certo livello, nessuno gli deve niente. Regnanti, purtroppo, per una stupida scivolata su uno scalino ha rimediato un fastidio al ginocchio che lo ha rallentato nella seconda parte della stagione. Per me merita il professionismo, assomiglia a Quartucci, è un corridore completo e costante. Adesso diventerà elite e ritenterà l’assalto, non deve abbattersi perché può farcela».

E i volti nuovi chi sono?

«Bella domanda. Non c’è niente di definitivo. Stiamo inseguendo qualche corridore, ma come dicevo in precedenza dobbiamo aspettare le mosse delle altre formazioni. Andremo a cercare tra gli incompiuti, tra gli inespressi, tra chi è stato scartato secondo noi immeritatamente dalle altre realtà, tra chi è stato ridotto al gregariato pur avendo buone qualità. Siamo in trattativa con un bel corridore, piuttosto veloce, che attualmente spesso e volentieri deve lavorare per gli altri (il profilo potrebbe essere quello di Della Lunga della Colpack, ndr). Ma è tutto in divenire. Sarà un autunno duro».

Della Lunga