Cribiori: «Moser e Saronni non si sono mai amati e mai lo faranno»

Cribiori
Giuseppe Saronni e Francesco Moser in azione durante la Tirreno-Adriatico del 1981
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Franco Cribiori ha vissuto in prima persona la grande rivalità tra Francesco Moser e Giuseppe Saronni, quando i due si battevano a parole e si sfidavano a suon di vittorie. Le aspre parole che i due campioni si sono scambiati in questi giorni non lo hanno affatto stupito.
«Sono tutte cose che si sapevano – afferma – non ho letto nulla di nuovo, caso mai mi stupisce l’acrimonia con cui si rinfacciano le cose. Le stesse cose potevano essere dette in tutt’altro modo se non ci fosse questa tremenda rivalità. Speravo che il tempo avesse ammorbidito le loro posizioni anche se ricordando quanto è avvenuto tra loro in bici, non mi stupisce che questa dualità non si sia ancora placata».

Ma da cosa nasce a tuo avviso un dispetto così profondo?

«Dalla diversità. Opposti di carattere. Opposti in bicicletta. Opposti nella visione della vita. Qualunque cosa li divideva e li collocava sui fronti opposti. Anche le loro tifoserie hanno condiviso questa profonda antipatia reciproca».

E in gara?

«Se ne facevano di tutti i colori. Quando è arrivato Saronni, Moser era già lo «sceriffo” ed è comprensibile che il giovane e vincente Saronni non potesse accettare questo ruolo. Così come Moser non accettava che l’ultimo arrivato mettesse in discussione il suo “dominio”. Poi tutto contribuiva ad accentuare i loro cattivi rapporti. La stampa andava a nozze».

Stili di corsa diversi.

«Saronni era un grande velocista ed ovviamente era portato a correre di rimessa. Moser soffriva questa sua strategia e giù altre polemiche».

Le tue simpatie a chi andavano?

«Mah, sono stati due grandi campioni. Storicamente si può dire che lasciano un profilo molto diverso».

Saronni?

«Beppe è rimasto legato ad un ciclismo più tradizionale. Il suo ciclismo, quello che gli ha permesso di costruirsi una grande carriera da vincente. Ha fatto grandissime cose, ma per un insieme di motivi gli è mancato un po’ il grande profilo internazionale. Ma il suo palmares la dice lunga…».

Moser?

«Moser è stato innanzitutto l’inventore del ciclismo moderno. Il caposcuola. Dobbiamo riconoscere che ha fatto cose che pochi avrebbero avuto il coraggio di affrontare».

Questo però gli ha dato vantaggi rispetto agli altri.

«Innanzitutto bisogna precisare che esiste una carriera prima del record dell’ora ed un appendice dopo. A volte si dimentica tutto quello che ha fatto Moser prima e ci si concentra sul suo magico 1984».

Forse è stato proprio il 1984 il cuore degli attacchi di Beppe.

«E’ vero, ma ha avuto i vantaggi che gli ha procurato il suo coraggio. Ha fatto tutto con grande evidenza. Ha sfruttato gli spazi che le regole gli offrivano. Se le ha eluse non lo so, ma nessuno ha mai potuto dimostrarlo».

Record dell’Ora, Sanremo e Giro d’Italia per un corridore che sembrava finito non sono roba da poco.

«E’ vero. Nel 1983 non vinceva più neanche una crono. Gli anni pesavano. Ma anziché mandare tutti a quel paese, si è avventurato su un cammino diverso mettendo in discussione tutto: la preparazione, l’alimentazione, la bicicletta ed anche quello che la medicina gli permetteva. Il ciclismo di oggi è figlio di quello che ha sperimentato lui».

Forse troppi vantaggi rispetto agli altri?

«Io ricordo che alla riunione dei direttori sportivi del Giro d’Italia del 1984 io posi il problema delle ruote lenticolari. Si sospettava (allora non c’erano le conoscenze di oggi) che dessero grandi vantaggi e posi il problema se era giusto utilizzarle, non potendone disporre tutti, o se fosse il caso di vietarle in un grande Giro. Il problema fu sottovalutato e nemmeno Guimard, che con Fignon puntava alla vittoria finale, intervenne sul problema. E sapete come è andata a finire».

Quindi?

«Sono stati due grandi campioni che hanno vissuto la loro carriera in maniera diversa. Non si sono mai amati ed il tempo non li ha ammorbiditi. Peccato!».