Nieri lancia la Qhubeka: «Torniamo ad essere una development e puntiamo forte su Oioli»

Nieri
Daniele Nieri, diesse della Qhubeka, al Giro del Friuli U23 2021
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Quando Daniele Nieri ha avuto la certezza che la Qhubeka sarebbe nuovamente tornata ad essere una development (nello specifico, della Q36.5 di Douglas Ryder, la Professional in cui è coinvolto anche Vincenzo Nibali), ha parlato chiaro coi suoi ragazzi: non ci sarebbe stato spazio per gli elite, sarebbero stati presi in considerazione soltanto gli Under 23.

«Una scelta sofferta, ma inevitabile – ragiona lui – Essere il vivaio di una squadra professionistica obbliga a guardare in prospettiva, pensando più al futuro che al presente. Li abbiamo persi tutti: Coati che sta cercando di capire se riesce a fare il salto di categoria, Menegotto che da quello che sapevo aveva già un lavoro e quindi potrebbe aver smesso. Bonaldo va alla Work Service, Guasco alla Rime. Era il mio corridore fidato in gruppo, ma non ci siamo lasciati male: i ragazzi erano al corrente della situazione. Iacchi e Parisini, invece, passano professionisti: il primo con la Corratec, il secondo con quella che adesso è la nostra squadra superiore».

Secondo te Parisini fino a dove può arrivare?

«Non lo sa nessuno, né io né lui. E’ questo l’equivoco di fondo: che lui, nonostante abbia raccolto degli ottimi risultati, non sa ancora quali sono i suoi limiti. Il potenziale c’è, poco ma sicuro. Lui deve sfruttare la prossima stagione per indagare su se stesso e capire realmente chi è. Così da iniziare a mettersi in proprio a partire dal secondo anno tra i professionisti».

Quindi degli italiani rimane con voi soltanto Mosca, che sarà alla seconda stagione tra i dilettanti.

«Lo reputiamo un bel talento e ci aspettiamo qualche buon risultato. Ha iniziato a correre in ritardo, prima della Firenze-Empoli ha avuto un incidente automobilistico che lo ha destabilizzato e debilitato. Poi, una volta archiviata la scuola, ha cominciato a carburare. Ma al Valle d’Aosta ha capito cosa significa fare il corridore».

In che senso?

«Nel senso che nelle prime due tappe ha fatto molta fatica e nella terza si è ritirato. Una batosta, l’ha capito subito. Ecco, da lì in poi in lui è scattato qualcosa. Non che prima non facesse la vita da atleta, non fraintendetemi. E’ progredito mentalmente, ha capito che il talento basta soltanto tra gli juniores, mentre tra gli Under 23 bisogna stare attenti a tanti altri dettagli più o meno collaterali. E’ maturato, insomma. E nel finale di stagione ha dato qualche bel segnale: davanti alla Firenze-Mare, settimo al Casentino dopo aver fatto la selezione in salita».

Raffaele Mosca alla Firenze-Empoli 2022

A proposito del Casentino: quel giorno siete arrivati secondi, terzi, quarti e settimi. Rimpianti?

«E’ il più grosso della stagione, considerando la superiorità numerica e il nostro stato di forma di allora non dovevamo sciupare un’occasione del genere. Ai miei lo ripeto in continuazione: è inutile fare i fenomeni nelle corse regionali e nazionali se poi non si capitalizza oppure ci si perde per strada nelle gare internazionali».

Dal prossimo anno il livello del vostro calendario si alzerà ulteriormente. Cosa significa essere la development di una formazione professionistica?

«Per i ragazzi vuol dire poter contare su uno sbocco ulteriore, su una realtà di prestigio che in particolar modo si concentra sui loro risultati ancor prima che su quelli altrui. Non voglio dire una garanzia, sarebbe esagerato, ma di certo una notevole opportunità in più».

Forse anche una responsabilità in più?

«No, non direi. Per come intendo io il ciclismo, un giovane che ha passione e ambizione dà il proprio massimo che corra in una squadra grande o in una più piccola. La responsabilità di fare una bella figura, o quantomeno dignitosa, chi vuol fare il corridore di mestiere deve sempre averla. Al massimo si può dire che un vivaio è magari più esigente rispetto ad una formazione con meno mezzi a disposizione».

E allora come valuti, tu che sei il direttore sportivo di una squadra di sviluppo, l’esodo degli juniores e dei dilettanti italiani verso l’estero?

«Lo si può giudicare soltanto singolarmente, caso per caso. Ad esempio, per me Busatto ha fatto bene ad accettare l’offerta dell’Intermarché. Anzi, io dico che forse sarebbe già pronto per passare professionista. Ma è chiaro che ad un dilettante che ha raccolto i suoi risultati manca soltanto il passaggio di provarsi con regolarità in un calendario internazionale. Discorso diverso, invece, per quegli juniores che scelgono di debuttare tra gli Under 23 in una grande realtà straniera».

Spiegati meglio. A sentir loro, l’ambiente italiano è fermo e stantìo, non all’altezza del contesto internazionale.

«In Italia sappiamo ancora fare ciclismo, di questo sono certo. Non possiamo piangerci addosso perché quest’anno l’Italia non ha vinto il mondiale. Nel 2019 e nel 2021 avevano vinto due azzurri, Battistella e Baroncini, che correvano in due squadre italiane, il primo con me nella Qhubeka e il secondo nella Colpack. Quello che volevo dire io è che per un ragazzo di 19 anni che magari deve ancora diplomarsi non è semplice entrare a far parte e adattarsi in breve tempo ad un ambiente di primo piano. Senza dimenticare le pressioni dei procuratori».

Ovvero?

«Chi rimane a correre in Italia, per quanto bene possa comportarsi, risalta soltanto agli occhi dei team manager italiani. Andando in una development straniera, e magari riuscendo anche a strappare qualche buon piazzamento, un giovane apre il ventaglio delle proprie chance e si fa conoscere da un numero maggiore di addetti ai lavori. E il procuratore, il cui obiettivo rimane portare tra i grandi il suo assistito, non può che spingere in questa direzione se ne trae vantaggio lui per primo».

Manuel Oioli ai mondiali di Leuven dello scorso anno, chiusi al 5° posto. Dal 2023 sarà un atleta della Qhubeka

Uno dei corridori che avete ingaggiato per il prossimo anno, Manuel Oioli, nel 2021 aveva scelto la formazione giovanile della Eolo-Kometa per debuttare tra gli Under 23. Come siete arrivati a lui?

«Tra gli juniores era un riferimento, avremmo voluto prenderlo già l’anno scorso, poi le nostre strade non si sono incrociate. Però ho sempre avuto un occhio di riguardo per lui. Ero appena arrivato a Formentera quando Quinziato, il suo procuratore, mi ha chiamato chiedendomi se ero ancora interessato al ragazzo. Io per Oioli perdo aereo nave e bagagli, gli ho risposto. Bel colpo, sono sicuro che limando qualche aspetto possa già lasciare il segno nel 2023».

Che corridore è?

«Mi ricorda Sobrero. E’ un corridore completo: bravo sul passo, regge le brevi salite, ha un buono spunto veloce. Quest’ultimo aspetto è fondamentale, altrimenti un atleta se vuole vincere è costretto a staccare tutti. Credo molto nelle sue possibilità. E poi speriamo di essere più fortunati: quest’anno tra incidenti, acciacchi e virus abbiamo perso, ad esempio, Coati e Menegotto per troppo tempo. Vogliamo rifarci».