RECORD DELL’ORA / Il Vigorelli: Coppi sotto le bombe, Anquetil a fine corsa

Coppi
Fausto Coppi con Roger Riviere al Vigorelli
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Sabato, sulla pista svizzera di Grenchen, Filippo Ganna darà l’assalto al record dell’ora. Per prepararci all’evento, vi portiamo con Bicisport nella storia di questa anomala specialità che in passato ha attratto tantissimi campioni. Qui Beppe Conti ci riporta a che cosa accadeva quando a cimentarsi nel record erano i più grandi stradisti. Archambaud al Vigorelli sotto la pioggia e Coppi sotto le bombe. Anquetil a fine carriera e Merckx sfinito dopo l’impresa in Messico nel fantastico ’72 del Giro e del Tour.


Quante storie a tinte forti sa raccontare la leggenda del Record dell’Ora, questo primato nato con il ciclismo su pista a fine Ottocento e che nelle differenti epoche ha affascinato la gente. Escono dal cassetto vicende un po’ dimenticate e che gli appassionati sempre apprezzano, rivivono con suggestione, amano farsele raccontare, perché ammantate di leggenda.
Come quella di un francese che in tanti non ricordano, uno specialista sommo della pista che figura nell’albo d’oro del record prima di Fausto Coppi. Si chiamava Maurice Archambaud, un parigino che deve la sua fortuna proprio a questo splendido primato. 

Eravamo nel ’37, gli anni in cui appariva in grande spolvero all’orizzonte la stella di Gino Bartali. Per la prima volta un campione italiano aveva realizzato in quegli anni il nuovo primato nella nuovissima e già magica pista del Vigorelli a Milano, si trattava di Gepin Olmo, il primo al mondo ad abbattere la barriera dei 45 chilometri  in un’ora.
Poi, quel primato era stato ritoccato di poco dal francese Richard e dall’olandese Slaats che l’aveva portato ai 45,535. Ecco il nuovo limite da battere. Archambaud in quell’ottobre ’37 ci credeva parecchio però su Milano continuava a cadere giorno dopo giorno una uggiosa e fastidiosa pioggia autunnale. Lui ci provava ma il vento, la pioggia, una serie ripetuta di forature non gli consentirono neppure di terminare l’ora. 

In fondo comunque a Milano non si stava male, il soggiorno in città era gradevole, Archambaud, 31 anni, si divertiva parecchio assieme ad un giovane cronista che in lui credeva ciecamente, Jean Leulliot, già vulcanico e brillante e che avrebbe poi lanciato in grande stile la Parigi-Nizza.
Solo che un bel giorno Leulliot in albergo riceve una telefonata dal suo direttore, figura leggendaria di sempre: Henri Desgrange, creatore del Tour de France, che dirigeva l’Auto che poi sarebbe diventato l’Equipe. Una telefonata ed una lavata di capo, basta con questo infinito soggiorno milanese piuttosto caro per un tentativo di record sempre regolarmente rinviato. Che tornasse in fretta a Parigi a lavorare al giornale. Leulliot rispose che lui non sarebbe tornato sino a quando Archambaud avesse battuto il record. E Desgrange lo licenziò, intimandogli pure di pagarsi da quel momento soggiorno e viaggio. 

Eravamo a fine ottobre, pochi giorni e su Milano la pioggia cessò. Archambaud scese in pista al Vigorelli e si scatenò realizzando il nuovo primato dell’ora ai 45,840 di media. Un trionfo. 
Ne passò un’altra di ora e Jean Leulliot ricevette un’altra telefonata da Parigi, dal direttore Desgrange il quale gli comunicava che era stato riassunto, ringraziandolo per la tenacia nel voler restare a tutti i costi a Milano. Però a quel punto doveva sbrigarsi a scrivere un dettagliato articolo con tutti i segreti del primato, il giornale stava aspettando, decidesse lui quale lunghezza dare a quel servizio.

Sarebbe durato cinque anni quel primato, fin quando al Vigorelli entrò in scena Fausto Coppi. E quante altre storie attorno a quel primato del grande Fausto, voluto soprattutto da Cavanna e da Pavesi per un motivo abbastanza segreto. Aveva già vinto il Giro, Coppi, era già un corridore di talento e il record dell’Ora forse gli sarebbe servito per evitare il fronte. Purtroppo non andò proprio così. Fausto preparò l’assalto ad Archambaud con tante perplessità, secondo suo costume. Ma Cavanna gli aveva suggerito una preparazione speciale. Non poteva allenarsi in pista ed allora pedalava su strada con la bici da record munita di un freno posteriore. Chilometri e chilometri nella piana verso Tortona con il rapportone e a ritmi folli.

Il giorno prefissato era il 7 novembre del ’42, un sabato pomeriggio di sole e senza vento. E’ vero che indossava la maglia di lana come vuole la leggenda, non è esatto invece che quel pomeriggio piovessero bombe su Milano. C’era stato un bombardamento a fine ottobre, però quel giorno il tentativo era stato anticipato alle 14 per evitar problemi. 
Poca gente in tribuna, c’era altro a cui pensare in quei tempi. Un gruppo di operai dell’Alfa Romeo era rimasto sulle gradinate allungando per Fausto la pausa pranzo. Il direttore del Vigorelli, Anteo Carapezzi gli aveva preparato una tabella per consentirgli di battere di giustezza il primato di Archambaud. Ad ogni giro di pista il rintocco della campana gli annunciava se era in vantaggio oppure in ritardo. La suonava il figlio di Anteo, Adone Carapezzi, che poi sarebbe diventato un valente radio e telecronista. 

Coppi alla mezz’ora era in ritardo, quel rintocco della campana – dirà in seguito il Fausto – gli penetrava in testa e sembrava quasi stordirlo. Ma nel finale Coppi si superò sino a chiudere l’Ora stremato, come un automa, sollecitato dalle urla di quei pochi tifosi. Ed al colpo di pistola che annunciava la fine del calvario ecco il nuovo record: battuto il francese per l’inezia di 31 metri.
Primato che non gli servì per evitare il fronte in Africa, fatiche che lo convinsero di non riprovarci mai più, neppure negli anni d’oro. E suscitò anche tale soggezione fra gli avversari quel record, che per batterlo ci vollero 14 anni, sempre al Vigorelli, eravamo nel ’56 e ci pensò il giovane normanno Jacques Anquetil che all’epoca aveva soltanto 22 anni.

Sì, storie infinite e sempre piacevoli da raccontare e da ricordare. Anquetil venne poi battuto da un dilettante italiano che stava facendo sognare i romagnoli, Ercole Baldini. Pensate, Ercole da dilettante vinse il mondiale dell’inseguimento, la prova su strada all’Olimpiade di Melbourne e realizzò il nuovo primato dell’Ora. Un fuoriclasse, ma al tempo stesso anche una meteora.
Poi venne Roger Riviere, un fenomeno. Anquetil da parte sua tornò in pista a fine carriera, quando di anni ne aveva già compiuti 33, con cinque Tour de France nel carniere ed un paio di Giri d’Italia, primo al mondo dopo Coppi a cogliere nella stessa estate (quella del ’64) entrambe le grandi gare a tappe.

Anquetil doveva migliorare il primato ai 47,346 di Roger Riviere. Ci provava con un rapporto considerato all’epoca mostruoso, il 52×13, vale a dire 8,54 metri di sviluppo ad ogni pedalata, un metro in più rispetto a quello del rivale. Una sfida intensa, avvincente. Anquetil batté Riviere e gli rifilò 146 metri. Poi, ecco il colpo di scena.
Nel ciclismo in quel fine settembre ’67 aveva già fatto il suo ingresso l’antidoping. Erano trascorsi appena due mesi e mezzo dal sacrificio di Tom Simpson sul Mont Ventoux. Ma sia Jacques che il suo maestro Raffaele Geminiani non ne vollero sapere di effettuare il controllo, dando corpo all’inimitabile sceneggiata con il medico fiorentino incaricato del prelievo, il dottor Marena.
La sintesi è presto fatta, la tesi di Anquetil appariva persino semplice: se i precedenti record erano stati battuti senza controlli antidoping, non vedo perché mi debba sottoporre io per primo. Risultato, quel record, ai 47,493 all’ora, non venne mai omologato.

Storie infinite a tinte forti nella leggenda del record dell’Ora. Eddy Merckx andò in Messico per quel tentativo in ossequio ai nuovi dettami della scienza e della tecnologia per sfruttare al meglio gli effetti dell’altura sul finire della sua ennesima mostruosa annata del ’72. 
Lo diciamo da sempre. Qualsiasi altro campione del ciclismo delle differenti epoche, dopo una tale annata su strada, anziché tentare l’Ora avrebbe avuto bisogno d’una ripassatina al motore in qualche clinica privata. Merckx nel ’72 infatti, per chi non lo ricorda, vinse in primavera la Sanremo, la Gand-Wevelgem, la Freccia Vallone e la Liegi-Bastogne-Liegi. Poi vinse il Giro d’Italia e vinse il Tour de France, sfiorò il titolo iridato in quel fantastico sprint di Gap con Basso e Bitossi, vinse in autunno il Giro del Piemonte, quello dell’Emilia, il Giro di Lombardia, la cronoscalata al Montjuich e l’Attraverso Losanna, vinse il Trofeo Baracchi con Roger Swerts ed a  quel punto andò in Messico per battere il record dell’Ora. 

C’era tanta Italia in quella squadra, Merckx correva per la Molteni, c’era Giorgio Albani a dirigerlo, c’era Ernesto Colnago a lustrargli la bicicletta appena costruita con sommo scrupolo, come si trattasse di un gioiello, leggera e sfavillante. Confidò un giorno Colnago: «Avevo il cuore che mi batteva a mille quando Eddy in piedi sui pedali scattò per iniziare l’Ora. Con quella potenza addosso temevo che mi mandasse in frantumi quella leggerissima bicicletta».
Invece Eddy compì in 60 minuti 49,431 chilometri, migliorando di ben 779 metri il primato del danese Ole Ritter. Come si conviene ai fenomeni, aggiornando storia e leggenda di quella fantastica caccia al record.