Toffoli vuole una riforma del ciclismo giovanile in Italia: «Il divario con le squadre estere è diventato troppo grande ed è da sciocchi pensare di colmarlo grazie all’uso libero dei rapporti»

Andrea Toffoli con i suoi ragazzi della Borgo Molino Rinascita Ormelle alla partenza di una gara (foto: Paolo Ermini)
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Prosegue il dibattito lanciato da Bicisport sull’annuncio dell’UCI che ha fatto tanto rumore nel mondo del ciclismo giovanile e non solo. L’uso libero dei rapporti tra gli Juniores dal 2023 ha dato inizio ad una discussione più ampia attorno alla categoria e alla crescita dei ragazzi. Dopo esserci confrontati con Andrea Bardelli, diesse Team Franco Ballerini, e Gianluca Bortolami, diesse GB Junior Team, abbiamo parlato con Andrea Toffoli, direttore sportivo di una delle corazzate Juniores: la Borgo Molino Rinascita Ormelle.

Toffoli: «L’uso libero dei rapporti non sarà una svolta se prima non risolviamo altri problemi»

«L’abolizione del limite dei rapporti ci metterà in pari con le altre nazioni, che già da tempo non avevano nessuna limitazione. Ma questo non risolve sicuramente tutti i problemi per cui i giovani italiani non riescono a sfondare poi nelle categorie superiori. E poi uno junior che quest’anno usa il 52×14 e nella prossima stagione gli viene montato un 53×11, non è detto che dopo faccia più risultati o venga fuori maggiormente la sua esplosività» attacca severo Toffoli. «Assumerà ancora più peso la figura di noi tecnici, visto che starà a noi capire il ragazzo che abbiamo davanti e la sua maturità fisica. Quindi capire se un determinato rapporto può essere quello giusto o a quell’atleta può far male nel medio-lungo periodo».

Senza troppe premesse il direttore sportivo della Borgo Molino va dritto al punto, al nocciolo della questione emerso già negli altri confronti: in Italia nella categoria Juniores ci sono tante cose che non vanno e l’uso libero dei rapporti passa in secondo piano. «Un corridore junior al secondo anno si ritrova un baratro davanti, senza la certezza di passare dilettante o professionista. Non c’è mai un futuro certo per nessuno e così si perdono anche i ragazzi più promettenti. In Italia abbiamo troppe continental che fanno attività come se fossero delle squadre Under 23 “normali”. Corrono un calendario nazionale, portando via così lo spazio alle vere e proprie squadra dilettanti».

Ma i problemi sono anche nella crescita dei ragazzi, problemi “pubblici” dice Toffoli, alla vista di tutti sulle piattaforme online come Strava. «Non so quanto sia intelligente da parte di alcuni tecnici far fare ai loro ragazzi allenamenti di 180 chilometri, quando in gara ne fanno 75. Per me tutti dovrebbero rispettare il fisico dei propri atleti». E se, restando sul tema allenamenti e preparazione, Bardelli e Bortolami già ci segnalavano l’esigenza di lavorare su due carreggiate diverse, anche il direttore sportivo trevigiano sottolinea quest’aspetto: «Alla Borgo Molino lavoriamo così da tempo, soprattutto nella categoria Allievi ma anche in quella Juniores. Perché ci ritroviamo ad avere ragazzi che fisicamente sono ancora dei “bambini” e sedicenni di un metro e novanta muscolarmente già pronti. Quindi gli allenamenti devono essere ben mirati altrimenti si fanno danni. E certamente questo sarà molto più accentuato dalla prossima stagione, quando non ci saranno più limitazioni nell’uso dei rapporti».

Il dialogo con i ragazzi è fondamentale e Andrea Toffoli lo sa bene

Il diesse della Borgo Molino auspica una riforma globale della categoria che parta dalle basi

«Sono d’accordo sulla liberalizzazione dei rapporti, ma dietro questa scelta ci sono questioni più complesse che per me andrebbero studiate e discusse in una riforma globale delle categorie giovanili» premette Toffoli. Così gli chiediamo di spiegarci meglio, illustrandoci alcune soluzioni proposte. «Una riforma che prima di tutto dovrebbe portare avanti le categorie giovanili di un anno, ad esempio gli Juniores dovrebbero essere di 18-19 anni, gli allievi di 16-17 anni. Dico questo perché uno junior di 18-19 anni è già più maturo fisicamente e potrebbe usare rapporti più impegnativi. Poi un ragazzo di 19 anni farebbe la maturità scolastica al secondo anno Juniores e organizzandosi affrontare al meglio sia la categoria Juniores che l’impegno scolastico, il quale è fondamentale per ogni ragazzo. E poi passare dilettante a venti anni, in modo che le squadre abbiano a disposizione ragazzi che, finita la scuola, possano fare gli atleti al 100%. Atleti che però devono mettersi in testa che devono investire due, tre anni su se stessi e non ascoltare chi li avvicina da junior dicendogli di provare un anno a fare il dilettante o il professionista e poi vedere se è il loro lavoro».

Nel confronto con l’estero Toffoli non ha dubbi: «L’uso libero dei rapporti non è la chiave per essere competitivi con le altre nazioni e crescere ragazzi che saranno professionisti con più aspirazioni. Non sarà assolutamente la soluzione a tutti i nostri mali». E tra tutti ne individua uno che si pone alla base: «Mettiamo che, anche se ho qualche perplessità, le nostre categorie giovanili funzionino bene fino ai 18 anni. Dopo c’è il baratro per i ragazzi, posti davanti a tante incognite. Un ragazzo diciottenne si trova a metà della stagione da Juniores, ha fatto anche qualche buon risultato ma poi a passare sicuri di categoria sono solo quei venti ragazzi che hanno fatto risultati pieni. Gli altri sono in balia di un mondo che non ha certezze e probabilmente per questo perdiamo molti ragazzi che potrebbero maturare in maniera diversa e invece sono costretti alla scelta: faccio o no il corridore? Intraprendo o no quei due, tre anni di ciclismo a tempo pieno per capire se è la mia strada? Oppure lascio stare e vado all’università o a lavorare? In troppi decidono di trovarsi un altro lavoro, ma perché è vita. La famiglia gli ha mantenuti fino ai 18-19 anni e a quel punto lì la scelta è dura». «In passato in Italia avevamo la categoria Under 23 e quella dei dilettanti veri e propri. Si passava Under 23 e se si faceva bene si poteva andare in una squadra di dilettanti importante, che poteva essere il trampolino per il professionismo oppure si passava in una squadra pro’ di basso-medio livello. Adesso invece si passa da Juniores ad una squadra Continental oppure anche più su, non si ha più la via di mezzo».

Il divario tra i giovani corridori italiani e quelli delle altre nazioni

Quando gli accenniamo delle differenze tra i giovani corridori italiani e quelli stranieri Andrea Toffoli è un fiume in piena e molto concreto. «Basta guardare le facce dei corridori alla partenza di un’Internazionale come quella di Solighetto. Gli stranieri sono dei professionisti, concentrati, preparati a puntino, pronti per la gara sapendo già cosa devono fare. I nostri ragazzi sono invece dei pulcini bagnati alla partenza di di una corsa. Quelli che provano ad avvicinarsi a quell’immagine sono solo quelli delle formazioni più organizzate, come la nostra, il Team Franco Ballerini, il GB Junior Team o la Work Service. Però dobbiamo ricordare che ci sono degli aspetti che ci pongono ad un livello più basso, come ad esempio la scuola a cui dobbiamo badare fino a giugno. Gli altri ragazzi al di fuori delle squadre più importanti sono tutti volenterosi ma sono distanti anni luce dal mondo delle formazioni estere, che si presentano al via sempre per vincere. Poi sono più scelti e hanno già un’esperienza maggiore, perché ogni settimana fanno un calendario internazionale, corse a tappe nelle altre nazioni. E poi c’è anche una differenza d’approccio, emozionale: per i ragazzi italiani l’Internazionale di Solighetto sembra la prima tappa del Giro d’Italia, mentre per gli stranieri è una corsa domenicale qualsiasi. Il divario è tanto».

E conclude ponendo all’attenzione una situazione simile vissuta in passato da un’altra nazione. «Prendo l’esempio della Francia. Loro nei momenti di difficoltà del movimento non hanno cercato di copiare a malo modo le altre federazioni, come ha fatto l’Italia in alcuni casi. Ma dai tempi di Jalabert, quando si sono accorti che non avevano più corridori professionisti ha avuto il coraggio di azzerare tutto. Ricostruire il movimento dalla base, ponendosi davanti un primo resoconto a quindici, venti anni di distanza. Ora hanno tantissimi corridori giovani pronti al professionismo. Gregoire e Martinez sono la punta di diamente di un movimento intero. In Italia se abbiamo già un ragazzo che fa qualche vittoria al primo anno da dilettante gridiamo al miracolo».