Raffaele Mosca: «L’incidente, il ritiro con la Bahrain, l’amore per lo Stelvio: ecco chi sono»

Mosca
Raffaele Mosca alla partenza della Firenze-Empoli 2022
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Il 20 febbraio era una domenica, l’ultima senza gare per i dilettanti: il 26, infatti, la stagione sarebbe ufficialmente cominciata tra Firenze-Empoli e San Geo. Raffaele Mosca stava tornando a casa, a Todi, dopo un lungo allenamento. Guidava lui, il padre seduto accanto. Quando Raffaele ha recuperato lucidità, la sua automobile stava per atterrare nella carreggiata opposta.

«Un colpo di sonno, una spiegazione tanto semplice quanto terribile. Ho perso il controllo della macchina, un muretto ha funzionato da rampa e abbiamo letteralmente preso il volo, cappottandoci poi per diverse decine di metri. Di quei momenti ricordo quasi tutto, anche se con una stranissima sensazione: quella di non essere io il protagonista di quello che stava succedendo. Come se mi vedessi da fuori: io che scendo dalla macchina e aiuto il babbo ad uscire, io che soccorro come posso una signora coinvolta nell’incidente, io che constato che incredibilmente siamo vivi. E’ un’esperienza che mi ha segnato la vita, in un incidente del genere è più probabile morire che sopravvivere. Adesso mi chiedo: che senso ha litigare per delle piccolezze oppure inseguire dei sogni e degli obiettivi che non ci appartengono?».

Almeno da questo punto di vista, Mosca può stare tranquillo. Lui un sogno ce l’ha ed è concreto: vuol diventare un ciclista professionista. Che la strada sia ancora lunga ne è pienamente consapevole. Che sia perlopiù in salita non lo preoccupa, dato che è uno scalatore e che le ascese le ama.

«Da qualsiasi parte arrivi, per tornare a casa devo pedalare in salita. Che mi piaccia o meno è così. Io col tempo ho imparato a farmelo piacere. Sono alto 1,75 e d’estate peso 55 chili, ma stranamente al passo preferisco gli scatti. A me hanno sempre detto che la miglior difesa è l’attacco: per capire come sto, per imprimere un verso alla corsa, per vedere come rispondono gli altri. Provo rispetto per Pogacar e da bambino tifavo Nibali: l’ho visto provarci in qualsiasi situazione e su qualsiasi terreno. E a casa, a forza di vederle, ho consumato le videocassette di Pantani al Giro d’Italia. Nel mio piccolo provo a imitarli. Lo scorso anno ho vinto il Trofeo Pian Camuno attaccando sulle primissime rampe di Montecampione: secondo e terzo sono arrivati Biagini e Crescioli, due bei talenti, ma 1’36” dopo di me».

Nieri
Daniele Nieri, diesse della Qhubeka Continental, al Giro del Friuli U23. Seguirà Mosca nella sua crescita nel team

Eppure, guai a fargli notare che ha del talento e che è uno dei pochissimi scalatori puri (o quasi) della categoria: lui risponde che è al primo anno tra i dilettanti, che l’obiettivo della Qhubeka e di Nieri è quello di farlo crescere con calma, che prima di tutto c’è la maturità in meccanica e meccatronica da conseguire.

«Quale gara vorrei vincere tra i professionisti? Intanto guardiamo d’arrivarci: già quella sarebbe una grossa soddisfazione. Io corro da quand’ero bambino, un giorno mi misi a girare in pista mentre aspettavo che mio fratello finisse d’allenarsi e da allora non ho mai più smesso. Ma per tanto tempo l’ho preso come un divertimento, allenandomi poco. Da juniores è diventato tutto più impegnativo, ma allo stesso tempo più elettrizzante».

A dargli un’infarinatura di professionismo c’hanno pensato Colbrelli, Caruso e Mohoric. La vittoria al Trofeo Emozione dello scorso anno, infatti, gli ha fruttato come premio una settimana di ritiro ad Altea con la Bahrain-Victorious. Mosca non se l’è fatta sfuggire.

«Ho chiacchierato anche con Caruso e Mohoric, ovviamente, ma è Colbrelli quello con cui ho passato più tempo insieme. L’ho tartassato di domande. E lui, paziente e comprensivo, mi ha risposto raccontandomi la sua storia: i sacrifici che ha fatto, le giornate difficili che ha vissuto, la crescita lenta ma regolare che ha avuto. Mi ha rincuorato: per un ragazzo al primo anno tra i dilettanti, tra i risultati che difficilmente arrivano e la concorrenza che non perde un colpo, è facile abbattersi. Quello che gli è successo recentemente mi ha scombussolato, gli auguro di tornare a correre».

Nel racconto della sua vita e della sua carriera, Mosca non può prescindere dal nominare Paolo Alberati. Il loro rapporto è strettissimo: nei primi giorni dell’anno è volato da lui, in Sicilia, ospite per una settimana. Più che il suo procuratore, Mosca lo reputa il suo riferimento.

«Credo di non esagerare se dico che siamo amici. Cosa posso dire di lui, se non che c’è sempre stato? Quand’ero allievo presi la mononucleosi e lui fu il primo ad agire per il mio bene: finché i valori sballati non si azzerarono non mi fece riprendere seriamente l’attività. Mi aiuta, mi ascolta, mi consiglia. Il resto, adesso, devo mettercelo io. Migliorare in pianura, visto che nel vento faccio ancora fatica e soffro nello spingere il 53×11.

«Coi professionisti ho già corso a Larciano e succederà ancora durante l’anno. L’idea della squadra, secondo me giusta, è quella di correre poco ma bene: a volte coi campioni, per prendere le misure e cominciare a farsi un’idea, e a volte tra gli Under 23, visto che io sono soltanto agli esordi in questa categoria. Farò il Valle d’Aosta e non vedo l’ora: le salite non mancheranno. Quella mitica, per me, è lo Stelvio. Dal versante di Prato, quello dei tornanti. Non so cosa darei per una vittoria lassù».

Mosca è addirittura uno dei debuttanti più giovani: 18 anni compiuti il 14 ottobre. Nel 2021 sono arrivate tre vittorie, una serie infinita di podi (quattro tra l’inizio di maggio e la fine di giugno) e il settimo posto nella classifica generale del Lunigiana. Il materiale sul quale poter lavorare c’è.

«Determinazione e concentrazione non mi mancano, tant’è che dopo le superiori non m’iscriverò all’università perché voglio dedicarmi anima e corpo al ciclismo. Mi reputo anche altruista, perché un domani in difficoltà potrei ritrovarmici io e rendermi conto d’essere solo mi dispiacerebbe. Purtroppo sono permaloso, ma la disavventura dell’incidente mi sta cambiando. E comunque è a fin di bene: non mi arrabbio perché mi si fa notare l’errore, ma perché non sopporto d’andare peggio di come avevo immaginato».

Talmente tanto appassionato di sport da averne provati diversi (tranne il calcio): tennis, basket, nuoto. E grazie alla scuola ha potuto vedere da vicino – di più, partecipare – come lavora un team automobilistico.

«Ho fatto una stage con la Volkswagen, ci lavora mio fratello. Mi hanno portato con loro a Misano, ogni volta che una macchina girava in pista mi sembrava che l’avessi assemblata io. Mi piace mettere le mani nei motori, regolarli, perderci tempo. Quella per i motori non è una passione superficiale, conosco la materia e la adoro. Quanto il ciclismo? No, il ciclismo è un’altra faccenda…».