Puppio, dalla Qhubeka alla Israel: «Non ho mai temuto di rimanere senza squadra»

Puppio
Antonio Puppio in una foto d'archivio con la maglia della Qhubeka al Giro del Friuli 2021
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Peccato per il momento di risacca tra maggio e giugno, altrimenti il 2021 di Antonio Puppio sarebbe stato quasi da incorniciare: secondo alla Ruota d’Oro, terzo al Piva e al Giro del Friuli, quinto nella cronometro dei campionati italiani e in una frazione del Giro di Slovenia riservato ai professionisti, sesto alla Bernocchi dominata da Evenepoel, nono al Piccolo Lombardia, tra i primi dieci in due tappe della Kreiz Breizh

Manca la vittoria, d’accordo, ma per un corridore con le caratteristiche di Puppio non è facile alzare le braccia al cielo: passista potente con discrete doti da scalatore, non è tuttavia dotato di quello spunto veloce preziosissimo nel ciclismo odierno per emergere nelle tantissime volate a ranghi ristretti.

C’è chi sostiene che dovrebbe mostrare più decisione, lui così riservato e di poche parole. Ma per il resto il corridore sembra esserci, tant’è che dal vivaio della Qhubeka è passato a quello della Israel, rimanendo sempre nell’orbita del World Tour

Puppio, tu e Luca Coati eravate i due nomi grossi della Qhubeka a non aver trovato una sistemazione dopo la chiusura della formazione principale, alla quale sembravate destinati. Come hai vissuto l’inverno?

«Mi è dispiaciuto dover rimandare il mio approdo nel World Tour, mi sembra chiaro. I rapporti erano ben avviati, c’erano buone possibilità di vedermi con loro quest’anno. Purtroppo la squadra ha chiuso e noi abbiamo dovuto prenderne atto. Comunque, dopo il dispiacere iniziale, ho cercato di tirarmi su. E sinceramente devo dire che il mio inverno è stato buono: nessun intoppo, mi sono allenato con costanza e serenità».

Hai detto “rimandare”, come se fosse già scontata la tua presenza nel World Tour a partire dal 2023.

«Alt, non c’è niente di promesso, dovuto o già deciso. La Israel s’è fatta avanti alla fine di gennaio e io non ho avuto bisogno di pensarci molto. E’ un ambiente professionale che mi permette di pensare in prospettiva. Con “rimandare” intendevo dire che già quest’anno avrei potuto far parte della massima categoria, quindi se non succede niente sarà per la prossima stagione».

Da dove viene questa sicurezza?

«Non fatemi passare per quello che non sono, ovvero per un ragazzo eccessivamente convinto dei propri mezzi. Sono abbastanza fiducioso perché lo scorso anno ho fatto degli ottimi risultati. Anche per questo, come ho detto prima, mi sono allenato con serenità: immaginavo che prima o poi una realtà di buon livello mi avrebbe cercato. Insomma, non ho mai temuto di rimanere senza squadra».

A proposito del 2021, interessanti almeno due tuoi risultati tra i professionisti: quinto in una tappa dello Slovenia e sesto alla Bernocchi.

«Sì, a maggior ragione visto che i corridori che mi sono arrivati davanti si chiamano Evenepoel, Covi, Masnada, Battistella, Pinot, Sagan. Diciamo che, compiendo 23 anni ad aprile, inizio ad aver acquisito una certa esperienza. Conosco meglio me stesso e le dinamiche del gruppo. E poi, come ho detto altre volte, il modo in cui vengono affrontate le gare professionistiche mi favorisce rispetto a quelle dilettantistiche: caotiche, ingestibili, dove lo spunto veloce è quasi tutto».

Trofeo Piva
Il podio dell’edizione 2021 del Trofeo Piva, da sinistra: Luca Colnaghi (secondo), Juan Ayuso (primo) e Antonio Puppio (terzo). Credits: Alessio Pederiva

Tu, cronoman che nel 2017 a Bergen tra gli juniores ha saputo conquistare la medaglia d’argento nella cronometro mondiale alle spalle di Pidcock, lo scorso anno sei arrivato terzo nella tappa di Piancavallo al Giro del Friuli. Te l’aspettavi?

«Nelle ultime settimane della passata stagione ero in forma, uno dei migliori dilettanti italiani e probabilmente non solo. Tra l’altro in salita mi sono sempre difeso. Di sicuro quel giorno sono andato particolarmente forte, ma stupito del tutto non ero. Ho avuto la prova che nelle brevi corse a tappe posso dire la mia».

Anche se le prove più adatte alle tue caratteristiche sembrano essere le classiche del Nord. In fondo sei alto poco meno di un metro e novanta e pesi sui 75 chili.

«E’ vero, piacciono anche a me, ma il talento o la forza o la potenza non bastano. Bisogna avere occhio, malizia, conoscenza del percorso, ottime abilità nella guida del mezzo. Però devo dire che sto cominciando ad accumulare un po’ d’esperienza: lo scorso anno ho portato a termine Nokere e Bredene, alle quali tornerò anche quest’anno, e quest’anno sono arrivato al traguardo tanto della Kuurne che de Le Samyn». 

Quale ruolo avevi?

«Alla Kuurne dovevo lavorare per Nizzolo e credo d’averlo fatto abbastanza bene. A Le Samyn non avevo un ruolo preciso, mi era stato chiesto di correre per fare esperienza. Alla Nokere e alla Bredene sarà molto difficile poter correre in autonomia, ma chissà che non si presenti qualche possibilità». 

E con la continental a quali gare parteciperai?

«Farò il Tour de Normandie dal 21 al 27 marzo. Non abbiamo ancora deciso chi guiderà la squadra, ma potrei avere più spazio. Se dovesse presentarsi qualche occasione non esiterò a raccoglierla. Al professionismo ci penso, è inevitabile, ma prima di tutto voglio ripagare la fiducia che la Israel Cycling Academy ha dimostrato nei miei confronti. E poi sono consapevole di dover crescere, crescere e ancora crescere: il talento senza umiltà e applicazione non serve a niente».