La bellezza della Parigi-Roubaix, un viaggio dentro l’impossibile

Andrea Tafi nel 1999 vinse la Parigi-Roubaix coronando un sogno che aveva fin dal 1980 quando vide Moser sul pavé dell'Inferno del Nord
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Ogni tanto li sfottiamo, ma ci sono molti buoni motivi per cui dovremmo imparare dai francesi. Per esempio la Roubaix. In queste settimane hanno portato sui tratti di pavé i ragazzi delle scuole, con le palette, le scope e le vanghe, e li hanno messi a lavorare per ripulire le pietre più famose del mondo. Perché chi l’ha detto che lo sport non è cultura? 

   La Parigi-Roubaix io la farei vedere almeno una volta a tutti, ci si potrebbe andare in gita con la scuola per apprendere l’emozione, la fatica, la dedizione. Per dirla in una parola sola l’hanno chiamata inferno, ma per noi che l’aspettiamo da più di novecento giorni questa domenica sarà un paradiso, Pasqua e Natale messi insieme. La Roubaix si correva tradizionalmente il giorno di Pasqua, la chiamavano proprio «La Pascale». Di sacro però aveva poco, di resurrezione ancora meno. Inferno la definì per primo il corridore che la vinse per secondo, nel 1897: lui era Maurice Garin, e allora era ancora valdostano, poi prese la cittadinanza francese, e la residenza a Roubaix, dove vendeva biciclette nel suo negozio.

   La Roubaix è un viaggio dentro l’impossibile, come quelli che faceva Jules Verne senza muoversi da casa. Noi di Roubaix ne vorremmo di più, e invece siamo capitati nel secolo che ce ne ha tolta una causa pandemia e questa l’ha rimandata dalla primavera all’autunno. Ma adesso abbiamo finito di soffrire: adesso si parte, come sempre non da Parigi ma da Compiègne, che è novanta chilometri sopra Parigi, un posto dove facevano la guerra e poi gli armistizi. Un posto buono per andare dritti all’inferno.

   Pioverà, almeno così dicono. E quindi non sarà la polvere ma il fango il nemico dei corridori. La famigerata boue, sulla quale è stata costruita la leggenda di questa corsa. Sono quasi vent’anni che non si corre una Roubaix con la pioggia, l’ultima volta con l’acqua vinse Johan Museeuw. Ma anche se i Bernacca francesi dovessero sbagliarsi, sarà comunque la Roubaix. La prima volta che arrivai nel Velodromo fu anche l’ultima in cui vinse un corridore italiano, Andrea Tafi. Sono passati più di vent’anni, ma questo è un altro discorso. Quando riportai indietro la macchina che avevo noleggiato, quelli della Hertz stavano per farmi pagare i danni perché si erano svitate tutte le serrature, ballava tutto. Poi videro la targa adesiva sul cruscotto, capirono che venivo dall’inferno e le loro facce si aprirono in un sorriso ammirato. «Ha seguito la Roubaix, si capisce, si capisce. Prego, si accomodi». Ogni tanto dovremmo ricordarci che dai francesi possiamo anche imparare qualcosa.