AMARCORD/48 Tafi come Moser: trionfo a Roubaix in maglia tricolore

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Nella sua testa c’era Francesco Moser, che nel 1980 aveva visto entrare solitario e vittorioso nel velodromo del mito, con una bella maglia tricolore sulle spalle. Una scena che Andrea Tafi, allora quattordicenne, aveva sempre conservato nella memoria, e che diciannove anni dopo, l’11 aprile del 1999, poteva vivere in prima persona.

Per lui la Parigi-Roubaix era sogno e dannazione. Da tempo era in grado di vincerla, ma per un motivo o per l’altro si era sempre dovuto chinare alle ferree logiche della Mapei, squadrone epocale che sul pavé non lasciava che le briciole. 

Nel 1996 era arrivato all’epilogo con i compagni di squadra Museeuw e Bortolami. Avrebbe voluto giocarsela alla pari, ma dall’ammiraglia gli fecero sapere che la consegna, indiscutibile, era di portare in carrozza il belga fino all’arrivo. Nel 1998 scoppiava di salute, ma nel finale aveva dovuto proteggere la fuga di Ballerini e accontentarsi del secondo posto. 

Stavolta, Ballerini correva in un’altra squadra e Museeuw non era in condizioni ottimali, tanto che la sua partecipazione era rimasta in dubbio fino alla fine. I gradi di capitano toccavano finalmente a lui, e guarda caso proprio nell’anno in cui si presentava al Nord da campione italiano.

L’arrivo solitario di Andrea Tafi. In carriera il toscano (nato a Fucecchio il 7 maggio del 1966) corse 13 volte la Parigi-Roubaix, portandola sempre a termine. Oltre al 1° posto del 1999, ottenne una piazza d’onore l’anno precedente, il 3° posto del 1996 e il 5° del 2003, sulla soglia dei 37 anni.

Si sfilò l’auricolare e partì, volando a 60 all’ora

Il momento di Tafi arrivò a 37 chilometri dal traguardo, quando, in compagnia di Peeters e Vandenbroucke, raggiunse i fuggitivi Steels, Van Bon, Jo Planckaert e Hincapie. La Mapei aveva dentro tre uomini su sette (Peeters e Steels, oltre a Tafi), e sicuramente gli altri le avrebbero lasciato tutto il peso della fuga. Il toscano però aveva un altro piano.

Al ricongiungimento, le ammiraglie affiancarono i corridori, ci furono attimi di rilassamento, tra consigli e borracce che venivano e andavano. E proprio allora Tafi accelerò deciso, protetto dai due compagni. Si sfilò l’auricolare, per non seguire altro che il proprio istinto, e si mise a sessanta all’ora. Gli altri riuscirono a tenerlo a tiro, ma alla successiva sezione di pavé, la numero 5, il distacco cominciò a diventare irrecuperabile.

A quasi due decenni di distanza da Moser, un uomo in maglia tricolore entrò da solo nel velodromo. Dopo il Lombardia, vinto tre anni prima, Tafi metteva in bacheca la seconda classica monumento, a cui avrebbe aggiunto il Fiandre nel 2002. Tentò il bis a Roubaix altre sei volte, fino alle soglie del 40 anni, senza fortuna. E dopo di lui, nessun italiano è più riuscito a domare la corsa del pavé.