Oltre watt, vittorie e agonismo: Senechal e Selig campioni d’umanità

Florian Senechal in allenamento. Il francese è stato il primo a soccorrere Fabio Jakobsen dopo la terribile caduta al Giro di Polonia (foto:Instagram/Senechal Staelens Florian)
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Non è stato un anno facile. La pandemia ha rivoltato le nostre vite e cambiato le nostre abitudini, ci ha costretto a delle rinunce e ha obbligato a adattarci a una situazione totalmente imprevista. Le restrizioni, imposte dovunque nel mondo per ostacolare l’avanzata del virus e garantirci di preservare la nostra salute, hanno uniformato la nostra quotidianità, rendendola molto più statica e casalinga. Poche le aperture, gli spiragli in cui respirare un po’ della nostra esistenza precedente, tanta la diffidenza e gli sguardi sospettosi sopra le mascherine.

Anche il ciclismo, come ogni sport e, in generale, come ogni ambito professionale, ha dovuto fare i conti con il Covid-19. Dalle quarantene di diversi atleti in quel di Abu Dhabi si è passati alla cancellazione a cascata di diverse corse fino al salvataggio estivo-autunnale della parte nobile del calendario. Quando infatti la situazione epidemiologica lo ha consentito, organizzatori, team e sponsor hanno approfittato della finestra utile per mandare in scena quante più competizioni possibili, provando in questo modo a dare una parvenza di normalità, un senso a un’annata sportiva altrimenti monca, stritolata dal virus e, quasi sicuramente, l’ultima per molte squadre.

Di necessità virtù

Alla ripresa, la stagione, per forza di cose, ha dovuto convivere con l’ansia del contagio e adottare misure in grado, quanto più possibile, di prevenirlo e limitarlo. Mascherine, “bolle”, igienizzanti, tamponi, carovane blindate, conferenze stampa ripensate: corridori e formazioni, per continuare a esercitare la propria attività, hanno avuto a che fare con un mondo nuovo caratterizzato da regole e protocolli stringenti.

Fra tutte le componenti coinvolte, chi ha particolarmente risentito del peso di queste nuove norme è stato certamente il pubblico il quale, specie nelle corse conclusive, si è visto sempre più negata la possibilità di incitare e avvicinare i propri beniamini. Per proteggere gli atleti stessi infatti non ci si è potuti esimere dal ridurre i contatti al minimo, una soluzione che inevitabilmente ha finito col togliere calore e anima alle varie manifestazioni.

Per fortuna, in molte circostanze sono stati i corridori stessi a scaldarci il cuore e a ricordarci, in un periodo in cui le più classiche interazioni (emotive e non) fra persone sono state accantonate in nome della lotta al contagio, come le persone fossero ancora capace di gesti di genuina bontà e straordinaria umanità.

Uomini prima che corridori

Vi sono state infatti volte in cui gli atleti hanno svestito i panni di cacciatori di successi, pedalatori determinanti e ricercatori della performance per indossare quelli di sportivi sensibili, dotati di enorme cuore e affinata sensibilità. Momenti in cui i colleghi hanno smesso di essere compagni di lavoro o rivali da battere e sono diventati amici da incoraggiare, uomini da supportare o, in diversi casi, addirittura ragazzi da soccorrere.

Esempi lampanti in questo senso, fra i diversi episodi occorsi nella stagione appena conclusa, sono quelli che hanno coinvolto Rüdiger Selig e Florian Senechal, entrambi rimarchevoli protagonisti in sprint caotici e combattuti che hanno rischiato di avere conseguenze letali per più d’una persona coinvolta.

Lo spirito di Selig

Il primo, tedesco 31enne in forza alla BORA-hansgrohe, non ha avuto esitazioni, in occasione della grave caduta negli ultimi metri della Scheldeprijs, a frenare immediatamente la sua marcia, lasciare la propria bicicletta e correre per dare una mano al povero August Jensen, norvegese della Riwal Securitas, che pochi istanti prima era finito in terra picchiando pericolosamente il volto.

Nonostante appartenesse a una squadra diversa, Selig si è gettato in mezzo alla carreggiata, verificando che lo scandinavo fosse cosciente e avvisando ad ampi gesti chi accorresse di passare al largo. In questo caso Selig non si è curato del fatto che la maglia e la nazionalità del malcapitato Jensen fossero diverse dalle sue, non si è preoccupato di conoscere o meno l’infortunato ma semplicemente, di fronte al dolore e a una situazione di pericolo, si è sentito in dovere di fare qualcosa, di far sentire al corridore incidentato che qualcuno era lì con lui, lo stava proteggendo e si stava preoccupando di lui.

A medicare Jensen poi ci hanno pensato infermieri e specialisti ma intanto il tedesco si era già prodigato a dargli le rassicurazioni del caso e la tranquillità necessaria per iniziare a superare lo shock di una caduta ad alta velocità.

Senechal provvidenziale

In una situazione prodotta da dinamiche simili, si era trovato poco più di due mesi prima Florian Senechal. La differenza con Selig però è che, nel caso del tremendo volo di Fabio Jakobsen al Giro di Polonia, l’intervento del francese suo compagno di squadra alla Deceuninck-Quick Step si è rivelato decisivo per salvargli la vita. Il ventisettenne di Cambrai, che quel giorno aveva appena lanciato la volata al velocista olandese, davanti a «una faccia completamente distrutta» non ha temporeggiato e, accorgendosi che Jakobsen sarebbe soffocato nello stesso sangue che stava perdendo copiosamente, d’istinto gli ha sollevato con delicatezza il capo per far sì che quell’eventualità non si concretizzasse.

Senechal è stato quindi con lui finché non sono arrivati i soccorsi, rimediando uno shock che gli sarebbe costato diverse notti insonni. La consapevolezza però che senza di lui le condizioni di Jakobsen, in attesa dei medici, sarebbero potute peggiorare molto più in fretta alla fine lo ha aiutato a riacquistare serenità e, indubbiamente, gli sono valsi la riconoscenza e il plauso di molti.

Il cuore oltre la bici

I due, Selig e Senechal, non hanno vinto molto in carriera, appena due successi a testa tra i professionisti, ma, anche se non direttamente in sella, con questi due ammirevoli gesti si sono guadagnati tante lodi quante ne avrebbero ottenute trionfando a braccia alzate in qualsiasi corsa. Le loro azioni, in questi due tragici contesti, valgono infatti più di un’affermazione personale in quanto non sono il prodotto della forza bruta dei muscoli delle proprie gambe ma la risultante di un rapidissimo impulso cerebrale unito a un travolgente trasporto umano.

Bontà e senso di protezione in quegli istanti hanno preso il sopravvento su tutto e, complice la portata degli eventi, hanno reso straordinario qualcosa di ordinario come il prestare soccorso a qualcuno che sta male. È stato bello per noi, chiusi in casa davanti alla tv cercando di evitare ogni interazione con gli altri e raffreddando nel mentre la nostra socialità, assistere e leggere di questi gesti di calore e grande vicinanza, fatti spontaneamente col cuore in mano e in grado di trasmettere un gradevole senso di riconciliazione col mondo. Ecco quindi che, come alcune delle vittorie e delle prodezze ammirate in questo anomalo 2020, le loro azioni ci hanno saputo smuovere l’animo, emozionare profondamente e regalare un sorriso, un pizzico di dolcezza, un attimo di conforto in un anno tempestato di complicazioni.