Magni, un secolo dalla nascita: tra imprese antiche e grandi intuizioni, il “terzo uomo” scrisse la storia del ciclismo

Fiorenzo Magni in una foto d'archivio durante la scalata della salita di San Luca a Bologna (foto: Olycom)
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Lo chiamarono “il terzo uomo”, ma la classe, il carattere e l’intelligenza gli permisero di diventare tante volte il primo. Anche se i due che lo precedevano si chiamavano Fausto Coppi e Gino Bartali.

L’avventura agonistica e umana di Fiorenzo Magni, di cui oggi ricorrono i cento anni dalla nascita, è stata romanzesca, drammatica ed esaltante nello stesso tempo. Stoico, ma anche furbo e pratico, fu la cerniera che unì il ciclismo delle origini con quello più manageriale e tecnologico dei tempi moderni. 

Nato a Vaiano (oggi in provincia di Prato) il 7 dicembre del 1920, era ancora dilettante quando scoppiò la guerra che, come a tutti quelli della sua generazione, tolse (se non la vita) preziosi anni di carriera. Splendido sul passo, discesista leggendario, si difendeva anche in salita, il che gli permise di fare propri tre Giri d’Italia (1948, 1951 e 1955).

L’ultimo arrivò con il celebre colpo di mano di San Pellegrino Terme, quando lui e Coppi approfittarono di una foratura del giovane Nencini per attaccarlo e sfilargli la maglia rosa a un giorno dalla fine. Fausto si accontentò della tappa, Magni diventò a 34 anni e 180 giorni il vincitore più anziano della corsa rosa, primato che gli spetta tuttora.

L’anno successivo poteva centrare il poker, ma si ruppe una clavicola cadendo in discesa. I medici gli imposero il ritiro, lui continuò e sorbì la cronoscalata di San Luca tenendo fra i denti una camera d’aria legata al manubrio (c’è chi parla di un semplice nastro, ma cambia poco), così da non caricare il peso della salita sulla spalla fratturata. Ci sono foto celeberrime che raccontano l’episodio, la maschera di dolore del campione vale più di mille parole. 

Fiorenzo Magni durante la cronoscalata di San Luca, al Giro d’Italia del 1956, che affrontò con una clavicola fratturata. Non riuscendo a caricare il peso della salita solo sulle spalle, arrivò al traguardo appeso con i denti a una camera d’aria legata al manubrio. Un esempio di stoicismo e capacità di soffrire rimasto celebre.

Magni: al Fiandre, un tris da leggenda. Fu il primo italiano a interrompere il dominio fiammingo

Magni però non fu solo il “terzo uomo”, ma anche il “Leone delle Fiandre”. Lassù, in quelle lande ostili, i corridori italiani all’epoca preferivano non andare. Il Giro delle Fiandre era per i non fiamminghi un feudo inviolabile. Lui andò nel 1948 e si ritirò, ma nei tre anni successivi confezionò un tris memorabile. 

La sua ferita maggiore è datata 1950, quando era maglia gialla al Tour de France e dovette ritirarsi, così come tutti gli italiani, per un’aggressione subita in corsa da Bartali. Gino fu irremovibile e convinse tutti gli altri ad andarsene, Magni si adeguò con la morte nel cuore. 

Aveva la scorza dei pionieri, ma la testa su un altro pianeta: fu lui a introdurre gli sponsor nel ciclismo, coinvolgendo la Nivea a partire dal 1954. E una volta smesso di correre aprì una serie di concessionarie di auto e commerciò nel settore dei prodotti petroliferi, oltre a divenire Commissario tecnico della Nazionale (1963-66), presidente dell’Associazione Corridori e della Lega professionisti.

A lungo, specie nel dopoguerra, pesò su di lui l’adesione alla Repubblica di Salò. Fu processato per l’uccisione di un partigiano, lo salvò la testimonianza di Alfredo Martini, con il quale l’amicizia non finirà mai, al di là di tutti gli schieramenti.

E quando morì, il 19 ottobre 2012, fu proprio un addolorato Martini a vergare l’epitaffio più bello: «Magni era un uomo coraggioso».