Sentite Nieri: «Continuo con i giovani della Qhubeka-Assos e rilancio con una corsa nazionale»

Daniele Nieri
Daniele Nieri insieme a Francesco Chicchi al Giro U23 del 2019
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In Toscana, la regione che più di ogni altra si è apertamente schierata contro le decisioni prese dalla Federazione Ciclistica Italiana, c’è anche chi per il momento è rimasto in silenzio, portando comunque avanti l’idea di organizzare la propria corsa nazionale nel 2021: stiamo parlando di Daniele Nieri, direttore sportivo e figura di riferimento della formazione Continental della Qhubeka ASSOS.

Daniele, allora questa corsa si farà?

«Me lo auguro, io ovviamente non posso sbilanciarmi più di tanto finché non c’è l’ufficialità. Come data pensavo a sabato 8 maggio, il giorno prima del Gran Premio del Marmo, almeno le squadre possono partecipare a due corse importanti rimanendo in zona. Sarà nazionale, vorremmo farla tra Cerreto Guidi e Vinci, un circuito da ripetere cinque o sei volte con circa 2000 metri complessivi di dislivello. Strade strette e planimetria tortuosa, la speranza è quella di simulare il tracciato che gli azzurri troveranno ai prossimi mondiali, quelli del Belgio e delle Fiandre. “La Medicea” sarebbe un bel nome. Mi piacerebbe riuscire a organizzarla, ormai lo dico da qualche anno»

A proposito di organizzare una corsa nazionale in Toscana, hai seguito la polemica degli ultimi giorni? Da che parte ti schieri?

«Non mi schiero. Mi rendo conto che come risposta può sembrare troppo comoda, ma credo fermamente che in situazioni di questo tipo schierarsi non serva a nulla, se non a peggiorare la situazione. Di sicuro, da entrambe le parti, qualche errore c’è stato».


Ad esempio?

«La Federazione Ciclistica Italiana, anche se ha il coltello dalla parte del manico, non deve mai dimenticarsi degli organizzatori: senza qualcuno che allestisce le corse, non esiste il ciclismo. Dall’altra, però, gli organizzatori hanno esagerato nei toni. Però, mettendomi nei loro panni, li capisco. Se tutto va come deve andare, io il prossimo anno organizzerò una corsa e basta: senza dubbio un impegno, ma tutto sommato mi pare gestibile. Organizzatori come Maltinti e Carnasciali, che ogni anno animano il calendario con cinque o sei corse, non possono ragionare come me: devono moltiplicare tutto per il numero di gare che organizzano. Non è semplice, tutt’altro. Però, permettetemi una critica: gli organizzatori scontano una mancanza vecchia come il mondo».


A cosa ti riferisci?

«Non sono associati né organizzati, ognuno parla per sé e per le proprie corse, tirando l’acqua al proprio mulino. Le eccezioni sono poche: penso a Maltinti, al quale andrebbe fatta una statua. In situazioni di questo tipo è controproducente ritrovarsi faccia a faccia con la Federazione senza essere compatti. E’ necessario che le due parti trovino un accordo. E che questo accordo duri nel tempo: non si può pensare di ricominciare da capo ogni anno con le solite polemiche. Da anni, ormai, la Federazione Ciclistica Italiana chiede agli organizzatori di allestire eventi nazionali e alle squadre di pensare sempre più intensamente ad un progetto Continental. E con Ruggero Cazzaniga, che conosco e stimo, mi confronto spesso e volentieri su un altro tema».


Quale, Daniele?

«I criteri di partecipazione. Non bisogna aver paura di invitare le squadre e i corridori stranieri più forti. Se gli italiani non si confrontano con i coetanei stranieri, avranno sempre un gap eccessivo da colmare. Al Giro d’Italia Under 23 di quest’anno, mettendo quattro italiani tra i primi dieci, abbiamo fatto un miracolo. Solitamente, negli ordini d’arrivo delle prove più importanti, il rapporto è impietoso: sei o sette stranieri tra i primi dieci, anche se alla partenza ce n’erano 30 o 40; dei 120 partenti italiani, invece, tra i primi 10 ne entrano 2 o 3 se tutto va bene. Nel ciclismo dilettantistico ce ne sono tante di cose da cambiare: speriamo sia arrivata l’ora…».