Piva e il caos ai Paesi Baschi: «La sicurezza è una priorità, ma non diamo la colpa ai percorsi»

Piva
Valerio Piva, diesse della Jayco AlUla.
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Valerio Piva, uno dei direttori sportivi di maggior esperienza nel World Tour, in questi giorni si trova al Giro dei Paesi Baschi sull’ammiraglia della Jayco AlUla, dove si è trasferito quest’anno dopo le stagioni all’Intermarché. Piva ha quindi vissuto da vicino le drammatiche e concitate fasi finali della tappa di giovedì. Dopo la grave caduta che ha coinvolto (tra gli altri) Vingegaard, Evenepoel e Roglic, la corsa è stata neutralizzata per alcuni minuti; una volta ripristinate le necessarie condizioni di sicurezza (cioè la disponibilità di ambulanze al seguito dei corridori), gli organizzatori hanno scelto di far lottare per la vittoria di tappa i sei uomini che si trovavano in fuga, mentre i tempi sono stati neutralizzati e il gruppo è così potuto arrivare al traguardo a velocità ridotta. Una decisione che destato qualche perplessità.

Piva, come si è arrivati alla decisione di fermare il gruppo consentendo invece ai fuggitivi di giocarsi la vittoria?

«Sinceramente non lo so, e non è una scelta che condivido. Ieri ero in seconda ammiraglia, per cui ho saputo di questa decisione quando già era stata presa. Credo che la scelta sia stata fatta dalla giuria e dagli organizzatori, ma ho sentito che anche alcuni corridori erano favorevoli. Da un punto di vista sportivo non è una buona soluzione: forse hanno voluto premiare il coraggio dei sei fuggitivi, ma a cose normali non sarebbero mai arrivati al traguardo. Ho vissuto altre situazioni del genere, e ci vuole uniformità: o si riparte tutti, o non riparte nessuno».

Quindi credi che, una volta tornate le condizioni di sicurezza, la tappa si sarebbe dovuta svolgere normalmente?

«Questa era una delle due opzioni corrette, a mio modo di vedere: l’altra, più semplicemente, era quella di non ripartire proprio. D’altronde la caduta è stata un evento grave, molti corridori hanno riportato infortuni seri, per cui non ci sarebbe stato nulla di male a chiudere lì la tappa e non riprendere più. Invece, così non è stato corretto per nessuno e nemmeno bello da vedere: è una decisione che proprio non ho capito».

Il tema delle cadute è molto dibattuto in questi giorni, considerato anche quello che è successo la settimana scorsa alla Dwars door Vlaanderen. È vero che si cade più di prima?

«Il ciclismo è uno sport pericoloso e lo è sempre stato, purtroppo questi episodi accadono. Chiaramente l’evoluzione del mezzo meccanico porta a velocità sempre più alte, e i freni a disco consentono di frenare anche all’ultimo secondo: questi aspetti provocano un aumento dei rischi. Ma temo che evitare una caduta, se tutti vogliono tenere le prime posizioni in curve o strettoie, sia quasi impossibile. Non solo: anche in tratti rettilinei, se la velocità è alta, c’è pericolo».

Quindi non pensi che la colpa sia dei percorsi?

«Assolutamente no, non credo che cambiare i percorsi sia la soluzione. Come si può creare un tracciato in cui si ha la sicurezza al 100% che non si potranno verificare cadute? Purtroppo non si possono evitare questi episodi, perché i pericoli si trovano ovunque. La sicurezza è una priorità, e da questo punto di vista si può ancora migliorare molto, per esempio a livello di abbigliamento, per cercare di avere conseguenze meno gravi in caso di caduta, oppure segnalando a dovere ostacoli in mezzo alla strada, spartitraffico o rotonde. Ma sui percorsi si può fare poco: se eliminiamo le discese ci sono comunque le curve, se eliminiamo le curve si cade anche in rettilineo. Va ridotta la velocità, che si è alzata molto con i nuovi mezzi tecnici, ma questo certamente non si ottiene con soluzioni come quella che stiamo vedendo alla Roubaix».

Sei contrario alla chicane all’imbocco di Arenberg?

«Sì, credo che in termini di sicurezza non ci sia alcun miglioramento. L’unico effetto di questa chicane è anticipare il pericolo, perché tutte le squadre vorranno prenderla davanti, si andrà fortissimo e i rischi saranno identici. Si poteva cercare di cambiare il percorso fin dai chilometri precedenti, passando magari da strade laterali con qualche curva in più, per ottenere velocità più basse e un gruppo più allungato all’ingresso di Arenberg. Ma mettere una chicane a 100 metri dal pavé sicuramente non rallenterà la corsa».