TRICOLORI 2023 / Pozzovivo: «Non penso al ritiro e sogno un giorno in maglia rosa»

Domenico Pozzovivo con le sue bici Factor
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Domenico Pozzovivo ripensa al ritiro dal Giro e sbuffa. Certo, a differenza dello scorso anno il coronavirus gli ha causato meno problemi, ma la sensazione è quella di un’altra – l’ennesima – occasione buttata via.

«Essendo asmatico, soffro perlopiù con la respirazione. L’anno scorso mi colpì poco più avanti di questo periodo, tenendomi a letto una settimana. Forzai comunque, sicuramente sbagliando. Quest’anno, invece, mi ha dato fastidio soltanto due o tre giorni, ma mi ha costretto al ritiro dal Giro».

Qual era il tuo obiettivo?

«Un piazzamento tra i primi dieci e sinceramente credo proprio che fosse alla portata. Stavo bene, più che bene. Questo ritiro e quello di due anni fa bruciano parecchio, la mia fortuna è che non mi abbatto mai».

Che idea ti sei fatto del Giro di quest’anno?

«È andata secondo sceneggiatura, no? Gli organizzatori hanno voluto una corsa ingessata che si risolvesse coi fuochi d’artificio nel finale e così è stato. Secondo me il ciclismo odierno avrebbe bisogno di altro, ma capisco che disegnare i percorsi non sia semplice».

Spiegati meglio.

«Io vorrei tappe più comprensibili. Ad esempio, perché quelle piatte per i velocisti sono sparite? Che senso hanno salitelle che non fanno selezione tra gli sprinter e appesantiscono, invece, le gambe degli scalatori? Le frazioni o sono piatte, o sono dure, o sono intermedie».

A proposito di percorsi, non sono mancate le polemiche sugli arrivi in discesa dopo la recente scomparsa di Mader.

«Io quella tappa l’ho vinta nel 2017. La discesa dell’Albulapass è pericolosa, ha senso farla solo se si deve andare a Saint Moritz, correre il rischio e poi limitarsi ad arrivare appena in fondo non vale davvero la pena. Si poteva finire in cima, lassù ci potrebbe terminare anche una tappa del Tour».

Boucle a cui non parteciperai. Lo sapevi?

«Sì, era concordata. Peccato che non farò nemmeno la Vuelta, non ci saremo proprio come squadra. Dopo il campionato italiano staccherò fino a San San Sebastian e poi affronterò tutte le classiche italiane tra settembre e ottobre».

Con quali ambizioni?

«Mi piacerebbe vincere il Giro dell’Emilia, corsa che amo e che mi si adatta. Certo, c’è anche il Lombardia, ogni volta che partecipo ho la pelle d’oca. Se l’anno scorso non fossi caduto, forse sarei potuto entrare tra i primi cinque».

Domenico, parli come uno che non pensa al ritiro. Quale sogno ti è rimasto?

«No, a smettere non penso mai. Vorrei vestire la maglia rosa almeno per un giorno, mi ripagherebbe di tante delusioni e sfortune».

Qual è il tuo rimpianto più grande?

«Il podio sfumato al Giro del 2018 nel giorno dell’impresa di Froome sul Colle delle Finestre. Non me l’aspettavo, tappa anomala tra crolli improvvisi, penso a Simon Yates che sembrava imbattibile, e l’azione imprevedibile di Froome, con Dumoulin che aveva un gregario e lo sfruttò male. Partii che ero terzo, finii qualche ora dopo ero sesto».

Hai seguito la vicenda del traino dello Stelvio al Giro Next Gen?

«Ero in ritiro lassù pochi giorni prima che ci passasse la gara. Una figuraccia, punto. Quando sono tornato alle gare in Francia, mi sono reso conto che all’estero ci sfottevano. Persino i miei compagni, sapendo che ero sullo Stelvio, mi chiedevano in che punto fosse avvenuto il traino. Io prenderei provvedimenti sia nei confronti dei diesse, sia nei confronti dei ragazzi: sono maggiorenni che ambiscono al professionismo, se non ce la fanno con le loro gambe è giusto che vadano fuori tempo massimo».