Quante volte Remco Evenepoel è stato paragonato a Eddy Merckx. Al punto che lo stesso giovane belga alla vigilia del Giro si è sentito in dovere di dire basta: «Non accostatemi a Merckx». E il Cannibale originale nei giorni che precedevano la corsa rosa si è sottratto a tutte le richieste di intervista: ufficialmente perché erano troppe e avrebbe dovuto passare due o tre giorni a parlare con i giornalisti di tutti i paese del mondo, ma sotto sotto la vera ragione era l’intenzione di non appesantire le spalle di Remco con il solito paragone.
Eppure quello che è successo ieri sera mette ancora una volta Evenepoel a fianco di Merckx: tante volte è stato nel bene, questa volta nel male (anche se non vogliamo certo paragonare le due situazioni). Perché anche a Eddy Merckx successe di lasciare il Giro d’Italia quando era in maglia rosa.
Era il 1969, edizione numero 52 del Giro d’Italia. Merckx era in maglia rosa da sei giorni. Dopo 16 tappe Felice Gimondi accusava un ritardo di 1’41’. In quei giorni si parlava molto in gruppo del dottor Genovese che, al seguito del Giro per garantire gli interessi dei corridori, avrebbe scoperto diversi casi di doping, occultando in qualche molto alcune analisi. Finché… la bomba.
Bruno Raschi, sulla Gazzetta, scrisse: «Il Giro d’Italia ha lasciato oggi a Savona la sua entusiasmante maglia rosa. Eddy Merckx non è partito, costretto al palo dal regolamento. Era risultato positivo sia alla prima che all’analisi di controllo, effettuate dopo la tappa Parma-Savona». È la famosa mattina del 2 giugno, quando viene annunciata la positività di Merckx anche alle controanalisi e Sergio Zavoli piazza il microfono Rai in faccia a Merckx, nella sua camera di hotel ad Albisola.
Signor Merckx, lei ha sempre sostenuto di non essersi mai sottoposto a doping. Cosa può dirci ora che è stata riconfermata la sua “positività” anche alle controanalisi? Piagnucolando, Merckx risponde di non aver preso niente, non sa cosa dire. Merckx non ha mai ammesso la sua colpevolezza né allora né mai. Ma quell’episodio fu uno choc per il mondo del ciclismo, se ne parlò nei Parlamenti e nelle ambasciate. Per Pietro Nenni, che era ministro degli Esteri, non fu semplice evitare l’incidente diplomatico col Belgio. Sui giornali si parlava di Fencamfamina, lo stimolante contenuto in un prodotto importato da una ditta farmaceutica di Johannesburg, in Sudafrica, il cui proprietario si chiamava proprio Merckx. Meglio di un romanzo.
In un documento ufficiale il Governo belga parlò di “assoluta infondatezza delle accuse“, e venne fuori l’ipotesi di un complotto per favorire Gimondi, il corridore di casa. Il Parlamento belga concluse la discussione ammettendo che gli organizzatori del Giro erano senz’altro imparziali, però Merckx era da considerarsi la “vittima sacrificale di un disegno criminoso“. Più di 50 anni dopo possiamo dire che la Fencamfamina, rispetto agli ormoni sintetici degli anni ’90, era una sciocchezza, con effetti blandi e molto limitati nel tempo. Passato lo choc, e asciugate le lacrime, Merckx tornò a correre e stravinse il Tour de France.