Baroni: «Con Provini o si smette o si vince, ma se voglio il professionismo ho bisogno di lui»

Alessandro Baroni in azione con la nuova maglia della Petroli Firenze-Hopplà-Don Camillo (foto: Petroli Firenze)
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«Sei troppo piccolo, torna il prossimo anno», si sentì rispondere Alessandro Baroni quando decise di voler iniziare a correre sui kart. Ora, va bene la passione per il motorsport e per la Formula 1 (tifa Ferrari e Leclerc, ma sembra scettico sul prosieguo della stagione), però è oggettivamente difficile che un bambino non cambi idea e resti fedele alle sue intenzioni. E infatti, in quei mesi che dovevano essere di attesa, Baroni si appassionò al ciclismo.

«C’era già mio zio che correva in bici, avvicinarsi e provare è stato abbastanza naturale. Sono sempre stato abbastanza bravino e di certo gli ottimi risultati mi hanno aiutato a trovare la voglia e gli stimoli per andare avanti. Non ho mai saltato una categoria. Di base, tuttavia, ancor prima delle vittorie e del talento serve una grande passione per quello che si fa. Altrimenti non si dura, rimangono solo i sacrifici, non conviene mica».

A cosa ti riferisci?

«Credo che il mio esempio sia abbastanza emblematico. Vivo in centro a Milano, tra il Duomo e San Siro. Se devo fare una sgambata di un’oretta e mezzo allora esco direttamente in bici, altrimenti devo prendere la macchina e spostarmi verso Varese: più di mezzora all’andata e altrettanto al ritorno, dopo essersi allenati. E questo è solo uno dei tanti esempi che mi vengono in mente».

Fanne un altro.

«Negli ultimi due mesi non sono praticamente mai stato a casa, fatta eccezione per due o tre giorni, quando sono tornato per prendere alcuni vestiti. Quindi sto vedendo pochissimo la mia famiglia, la mia fidanzata, i miei amici. Sono sempre ad Alseno, dove ha sede il ritiro della Petroli Firenze. Così mi alleno come si deve e non ho problemi di traffico».

In quanti siete?

«In cinque: io, Nencini, Gomez, De Lisi e Bruno. La vita di ritiro l’avevo già fatta al primo e al secondo anno, quando correvo nella Delio Gallina, anche se non con questa costanza. Ormai mi sento a casa, è diventata la mia quotidianità. Andiamo d’accordo e ci dividiamo i compiti, ognuno fa la sua parte. E’ un’esperienza particolare, ma molto formativa».

Matteo Provini, direttore sportivo della Petroli Firenze-Hopplà-Don Camillo. Baroni ha deciso di accettare la sua proposta per provare a passare professionista

Per la tua quarta stagione tra i dilettanti hai scelto di trasferirti da Matteo Provini. Perché?

«Mi voleva due anni fa, però avevo già scelto la Colpack e non se ne fece nulla. Ero pronto ad una grande stagione, mi sentivo bene e facevo parte di una grossa squadra, e invece purtroppo ho preso il coronavirus e poi il citomegalovirus, quest’ultimo senza esserne al corrente. Volevo consacrarmi e invece faticavo a finire le gare. Sentivo il bisogno di cambiare aria e di mettermi alle strette da solo. Ecco perché ho scelto Provini».

Spiegati meglio.

«Matteo è così, o ti fa vincere o ti fa smettere. Ma io ne sono assolutamente consapevole, anzi, sono qui proprio per questo. A volte, quando le cose procedono bene, tendo ad adagiarmi e di testa non sono sempre forte come vorrei, se qualcosa non va come avevo immaginato non riesco a rendere al meglio. Insomma, ho dei difetti e delle lacune che spero di poter colmare ascoltando e imparando da Provini. E’ schietto e sincero come me, credo che tutto sommato andremo d’accordo».

Sei sempre stato considerato un talento: nel 2019, al secondo anno tra gli juniores, hai anche vinto una frazione alla Aubel-Stavelot, corsa a tappe in Belgio. Hai accusato le pressioni?

«No, se devo essere sincero, anche perché non ero il fuoriclasse generazionale di turno. Le prime due stagioni tra i dilettanti, specialmente nella loro parte iniziale, erano andate abbastanza bene: nel 2020 vinsi la classifica dei giovani al Giro di Bulgaria, nel 2021 arrivai quinto alla Firenze-Empoli e settimo al Piva. Ecco, se ripenso a quei giorni credevo di raccogliere di più: è più la delusione che la soddisfazione, specialmente per com’è andata la stagione scorsa».

Alessandro Baroni in azione lo scorso anno con la maglia della Colpack: dal suo 2022 si aspettava molto di più, ma coronavirus e citomegalovirus lo hanno frenato (foto: Di Lullo)

Qual è il rimpianto più grande della tua carriera?

«La settima tappa del Giro d’Italia del 2020. Ero al primo anno, riuscii ad entrare nella fuga di giornata e nel finale mi ritrovai davanti. Si arrivava a Montespluga dopo trenta chilometri di salita, noi eravamo in dieci e la imboccammo con 4’30” sul gruppo. A tremila metri dal traguardo eravamo rimasti in due, i migliori ci ripresero e io, stremato, mollai. Sbagliando, però: se avessi saputo che di lì a breve le pendenze si sarebbero addolcite e sarebbe cominciato un falsopiano, avrei stretto i denti per strappare un bel piazzamento. Subito dopo venni convocato in nazionale per disputare Giro della Toscana e Sabatini coi professionisti, evidentemente qualcosa di buono l’avevo fatto».

Cosa ricordi di quell’esperienza?

«Una sensazione in particolare: quella di trovarsi meglio nel gruppo dei professionisti che in quello dei dilettanti. Pochi discorsi, di là vince il più forte e c’è un’organizzazione sensata. Tra gli Under 23, invece, non ci sono leggi né criteri. Non sai mai quello che può succedere né perché si verifica una cosa piuttosto che un’altra. Conta molto anche la fortuna, purtroppo, e non è vero che ce l’hanno sempre e comunque i migliori. Può essere un discorso valido tra i professionisti, ma non tra i dilettanti, dove ho visto piazzarsi o vincere dei corridori che in tante altre occasioni si ritiravano».

Sei soddisfatto dell’inizio della stagione?

«Beh, insomma, relativamente. Fino alla settimana prima del debutto eravamo in ritiro e abbiamo caricato parecchio, quindi credo sia normale aver bisogno di qualche gara per rompere il ghiaccio. A La Torre, poi, mi sono dovuto ritirare a malincuore perché ero praticamente congelato, mentre al Polese ho avuto dei problemi alla bicicletta che hanno compromesso la mia gara. Però guardiamo avanti, il bello deve ancora venire».

Quale obiettivo ti sei posto?

«Di vincere il più possibile e di provare a passare professionista. Non ho più voglia di lamentarmi, di cercare scuse, di guardarmi indietro e di piangere sul tempo perduto. Darò il massimo e farò tutto quello che devo e che posso, poi si vedrà quello che succede. Adesso, nella mia testa, questa potrebbe essere la mia ultima stagione da corridore: se non dovesse andare come dico io smetto, di diventare un elite e tirarla troppo per le lunghe non mi pare il caso. Mi gioco il tutto per tutto, o la va o la spacca».

A quale corsa punti?

«Una secca? Il Piva. Nel 2021, come ho già detto, arrivai settimo nonostante una caduta all’ultima curva, altrimenti il podio non me l’avrebbe tolto nessuno. E’ una corsa che mi piace e con cui ho un conto in sospeso. E poi si addice alle mie caratteristiche. Sono alto 1,82 e peso 67, mi difendo bene sul passo e in salita e ho uno spunto veloce che può permettermi di vincere le volate a ranghi ristretti».

Andrea Piccolo in azione al Trofeo Serra de Tramuntana di quest’anno. Lui e Baroni sono migliori amici (foto: Getty)

Tu e Andrea Piccolo siete migliori amici. Com’è nato il vostro rapporto?

«Abita a mezzora da casa mia, siamo coetanei e abbiamo sempre corso contro, fin dalle categorie giovanili: una domenica vincevo io, quella dopo toccava a lui. E così via, per anni. Alla Petroli Firenze ho ritrovato Simone, suo fratello maggiore. Ecco, io sono il loro terzo fratello, quello acquisito. Io e Andrea ci vogliamo bene e ci sentiamo continuamente. Scherziamo, ci confidiamo, ci sfoghiamo quando le cose non vanno bene oppure dopo una litigata con le nostre fidanzate. Io, da adolescente, ho perso tempo a divertirmi e si vede: io sono ancora qui, lui è già di là. E se lo merita. A volte mi parla di watt, di valori, di allenamenti e di medie. In un primo momento mi spavento, tra i professionisti pedalano veramente forte. Poi penso che un domani, facendo quello che fanno loro, magari potrei riuscirci anch’io e allora riprendo coraggio».