Gomez: «Alla Colpack troppi velocisti, ho scelto Provini perché è matto come me»

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Nicolas Gomez al GP Liberazione di Roma in maglia Colpack
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Ad un certo punto della stagione, diciamo intorno a metà maggio, il passaggio di Nicolas Gomez tra i professionisti sembrava ormai soltanto una formalità. Il velocista colombiano della Colpack, infatti, era stato uno dei grandi protagonisti dei primi mesi dell’anno. Aveva vinto cinque gare: Polese, De Nardi, Due Giorni per Alessandro Bolis, e soprattutto Popolarissima e la prova in linea dei campionati panamericani riservata agli Under 23. Senza dimenticare i piazzamenti: settimo a Misano, quarto alla Youngster Coast Challenge in Belgio, terzo alla Milano-Busseto, quinto al Liberazione. 

«E infatti – racconta Gomez adesso dalla Colombia – le richieste non mi mancavano. All’inizio la Caja Rural e la Kern Pharma, poi dopo aver firmato con i Carera si sono affacciate anche le squadre del World Tour: la Bora, la Ineos, la Wanty. E ancora la Alpecin, la B&B. Tuttavia, da un certo momento in poi l’interesse nei miei confronti si è attenuato, fino a sparire. Il rammarico è grande: è stata la mia miglior stagione, ormai ero certo di aver trovato un contratto dall’altra parte».

Quale spiegazione ti sei dato, Gomez?

«Dopo i Giochi Panamericani (il 14 maggio, ndr) ho staccato, prima per riposarmi dopo alcuni mesi parecchio intensi e poi per cominciare a preparare il Tour de l’Avenir. Le formazioni che ho nominato mi hanno cercato proprio in quelle settimane. Quindi, se me lo chiedi, credo che mi abbiano penalizzato i risultati dei test: a giugno e a luglio non stavo correndo, quindi la mia forma era modesta».

Da chi ti è arrivata l’offerta più concreta?

«Da nessuno, purtroppo. Tanti discorsi, tante chiacchiere, ma alla fine un’offerta vera e propria non è mai arrivata. Però devo dire che la squadra con cui ho parlato di più è stata la Bora. Mi avevano addirittura proposto di partecipare ad un ritiro con loro, ma le date coincidevano con la trasferta per i Giochi Panamericani e quindi ho declinato. Probabilmente ho sbagliato».

E’ il tuo rimpianto più grosso?

«Forse sì, un mio errore di valutazione. Eppure il metro di giudizio continua a non convincermi. I Giochi Panamericani equivalgono più o meno agli europei. Il campione d’Europa trova quasi sicuramente spazio in una formazione del World Tour, del mio successo invece non se n’è parlato quasi per niente. Come se non ci fosse stata, come se avessi vinto una corsa di paese».

Però il livello non è lo stesso, sei d’accordo?

«Va bene, lo accetto, ma rimane comunque un’affermazione internazionale di fronte ai migliori talenti sudamericani. Tra l’altro il traguardo era in un autodromo, in uno scenario simile conquistai anche un campionato colombiano. Mi portano bene. Nei momenti di maggior scoramento ci ho pensato: visto che guido bene la bici e non ho paura, non potevo dedicarmi alle motociclette o alle macchine da corsa?».

Da quando sei tornato a correre al Tour de l’Avenir, la tua stagione si è fatta più complicata.

«Nella gara francese mi è mancato un ultimo uomo che mi guidasse nei finali più adatti alle mie caratteristiche. Se avessi potuto contarci, sarei andato oltre il quinto e il quarto posto che ho raccolto nella prima e nella seconda tappa. Per quanto riguarda il mondiale, molto semplicemente era troppo duro per me. Pensavo che il percorso fosse più facile, ma non si tratta d’averlo sottovalutato: anche ad esserne consapevoli non sarebbe cambiato nulla. Però continuo a non capire la politica dell’Uci».

In merito a cosa?

«Perché io, un corridore Under 23 che milita nella Colpack, devo ritrovarmi a correre contro dei professionisti come Fedorov che sono reduci dalla Vuelta e che durante l’anno hanno partecipato a grandi appuntamenti come Parigi-Nizza, Fiandre, Roubaix e Giro di Polonia? Io e lui abbiamo solo una cosa in comune: l’età, essendo entrambi del 2000. Nient’altro».

Del tuo mancato passaggio tra i professionisti cosa ti rattrista di più?

«Sicuramente non avercela fatta. Quando me ne sono reso conto ho accusato il colpo, non lo nego. E poi mi resta una domanda: più di così cosa devo fare? Ho vinto cinque gare tra marzo e maggio, tra cui Popolarissima e Giochi Panamericani. Mi sono piazzato due volte tra i primi cinque all’Avenir. Ho raccolto dei buoni risultati alla Youngster Coast Challenge e al Liberazione. Sono arrivato secondo nell’ultima tappa del Giro del Friuli, battuto soltanto da Buratti. I valori dei miei test non erano eccellenti perché in quel momento, non avendo obiettivi vicini, non mi stavo preparando in una certa maniera. Davvero non meritavo una chance?».

Infine hai lasciato la Colpack.

«Loro mi avevano chiesto di rimanere, ma io sinceramente non me la sono sentita. Io posso soltanto ringraziarli per come mi hanno aiutato, trattato e cresciuto, ma col senno di poi avrei dovuto pensare più a me stesso. Quaranta, Persico, Della Lunga: con loro ho un buon rapporto, ma i velocisti in squadra erano troppi. Quando dovevo aiutarli l’ho sempre fatto volentieri perché sapevo che avrebbero ricambiato e così è stato, ma adesso che non sono passato professionista devo ammettere che qualche vittoria in più mi avrebbe fatto comodo».

Eppure le tante vittorie raccolte in volata sono forse la nota più lieta della stagione della Colpack.

«A inizio anno funzionava tutto alla perfezione. Forse persino troppo, nel senso che c’eravamo quasi illusi di essere imbattibili o giù di lì. Poi qualcosa si è inceppato. Forse potevamo essere gestiti meglio, ma resta il fatto che eravamo in troppi a voler fare lo sprint. Comunque non abbiamo mai litigato, non siamo andati oltre qualche accesa discussione. E ci sta, ognuno vuole vincere, specialmente un velocista. Però è stato un peccato, alla fine non siamo passati né io né Persico».

E quindi riparti dalla Petroli Firenze-Hopplà-Don Camillo di Matteo Provini.

«Mi aveva cercato prima dell’Avenir, quando ancora ero abbastanza sicuro di entrare tra i professionisti. Ma se qualcosa dovesse andare storto vengo da te, gli promisi. E così è stato. Scambiai due parole anche con Rocchetti della Zalf, ma alla fine ho voluto fidarmi di Provini. Lo conosco ancora poco, però per quello che ho potuto vedere in gara mi piace: è un po’ pazzo, come me».

Cosa ti ha spinto ad accettare la sua proposta?

«Io sapevo che senza squadra non sarei rimasto, ma non volevo accontentarmi troppo. So che lui è molto appassionato e competente, segue i ragazzi giorno dopo giorno e sa essere duro. E’ quello di cui ho bisogno, io a volte mi rilasso troppo. Ed è bello vedere che in squadra non ci sono troppi velocisti. Quelli di riferimento dovremmo essere io e Nencini, un bel corridore. Ho sempre apprezzato il piglio battagliero delle squadre di Provini, sono contento di correre per lui».

Qual è la gara che vorresti vincere?

«Il più possibile, perché voglio passare professionista. Non sarebbe male ripetersi alla Popolarissima, certo, e magari battere finalmente tutti al Circuito del Porto dopo essere arrivato secondo nel 2019 e nel 2021. Dall’inizio di novembre sono a casa, in Colombia, a El Carmen de Viboral. Sto facendo la vita di un monaco: mangio, dormo, pedalo, vado in palestra, mi dedico allo stretching. E a fine gennaio torno in Italia, perché allora si comincerà a fare sul serio».