Zamperini, professione grimpeur: «Sogno di scalare lo Stelvio e di partecipare al Giro d’Italia Under 23»

Zamperini
Edoardo Zamperini ha chiuso terzo al GP Mantovani dello scorso anno alle spalle di Quaranta e Guzzo (foto: Scanferla)
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Un successo da G4, uno da G6, nessuno da esordiente. Poi, tre da allievo e uno da juniores. Dallo scorso anno, uno anche da dilettante: l’Antonietto Rancilio. No, Edoardo Zamperini non è mai stato un vincitore seriale.

«Ma sinceramente sono sempre rimasto sereno. Sapevo, e so, di essere un bel corridore e non ho mai lasciato che fosse la vittoria a definirmi. Certo, se qualcuno dei sei o sette secondi posti che ho raccolto tra gli juniores fosse diventato un successo sarebbe stato meglio, ma allo stesso tempo ho conquistato una gara prestigiose come la Coppa Linari. La costanza ad alti livelli non mi manca, per questo non mi preoccupo. Tanti coetanei che nelle categorie giovanili vincevano hanno già smesso da tempo. E io, crescendo a modo mio, mi sono meritato un posto nella Zalf».

Dove hai incontrato due direttori sportivi come Gianni Faresin e Filippo Rocchetti.

«Che per me sono un secondo padre e un secondo fratello maggiore. Rocchetti è davvero bravo e sinceramente non me lo aspettavo, perché è molto giovane per guidare un gruppo di ragazzi. Con noi scherza volentieri, ma poi ha la sensibilità e la maturità per capire quando tornare serio e tirarci le orecchie, se ce ne fosse bisogno. E di Faresin cosa dire, è il miglior direttore sportivo italiano della categoria. In due anni l’ho visto arrabbiato una volta sola, ha l’incredibile capacità di far capire le cose con le buone e senza mai alzare la voce».

Sei arrivato alla Zalf lo scorso anno e quella appena cominciata è la seconda stagione tra i dilettanti.

«Io la reputo già decisiva. In un ciclismo che considera vecchi gli elite, bisogna approfittare al massimo di ogni occasione. Per questo, dopo essermi diplomato allo scientifico, ho lasciato perdere tutto il resto. Voglio provare a passare professionista senza lasciare nulla d’intentato».

Sei partito bene: a La Torre, al secondo giorno di gara, hai chiuso terzo.

«Tutto nasce dal giorno prima, dalla Firenze-Empoli. Non avevamo il velocista, ma un De Pretto in grande forma. L’unica alternativa era indurire la corsa il più possibile. Ci ho provato io in prima persona sul penultimo passaggio di Monterappoli e ci eravamo riusciti, spaccando il gruppo dopo la quindicesima posizione. Ma la Hopplà di Nencini era rimasta fuori dal tentativo e quindi ha tirato fino a ricucire».

E così siete arrivati in volata.

«Avevamo portato De Pretto davanti ai cento metri dal traguardo, ma un salto di catena gli ha impedito di farla come si deve. Peccato. Ma subito dopo Rocchetti mi ha fatto notare che mi ero comportato molto bene. Me ne ero accorto anche io. Siccome nelle prove regionali non possono partecipare i terzi e i quarti anni delle continental, ho avuto la possibilità di giocarmi le mie chance. Nel finale sono andato in difficoltà a causa del freddo, ma ho chiuso comunque terzo. Non è una vittoria, ma meglio di niente…».

Gianni Faresin, direttore sportivo della Zalf Euromobil Désiree Fior, in una foto d’archivio

Qual è la gara a cui punti?

«Essendo di Azzago, sulle montagne veronesi, e correndo nella Zalf, mi viene in mente una sola corsa: il Palio del Recioto. Se penso al professionismo dico la Milano-Sanremo, affascinante perché imprevedibile, anche se non è particolarmente adatta alle mie caratteristiche. Io sono uno scalatore».

Puro?

«Direi di sì, sono 1,78 per 64 chili e un giorno sogno di affrontare lo Stelvio, per me la salita più iconica dell’immaginario italiano. Se devo essere sincero, lo scorso anno avrei gradito qualche segnale positivo in più sulle salite di una certa lunghezza. Invece, con mio stupore, mi hanno respinto anche quando mi sentivo bene. Sui percorsi vallonati sono migliorato parecchio, sulle ascese vere e proprie devo ancora lavorare».

Ti piacerebbe misurarti nella classifica generale di una corsa a tappe?

«Ne ho disputate poche ma nel 2021, al secondo anno tra gli juniores, ho chiuso al secondo posto il Giro del Friuli. Erano quattro tappe, mi trovai bene. Al contrario, all’Adriatica Ionica Race della passata stagione ho sofferto, ma c’erano i professionisti e lo avevo messo in conto. Mi piacerebbe molto partecipare al Giro d’Italia Under 23, questo sì: speriamo di convincere Faresin a convocarmi».

Cosa ti piace della salita?

«Lo sforzo solitario e ripetitivo, la soddisfazione che si prova una volta giunti in cima. Ma se voglio fare sul serio devo migliorare sul cambio di ritmo, è lì che i migliori riescono a fare la differenza».

Come ti descriveresti?

«Un perfezionista che non ha mezze misure, quindi le cose o le faccio come si deve oppure non le faccio proprio. E poi, per capire, devo passarci direttamente e rompermi la testa. Comprendo soltanto una volta che ho fatto il danno».

C’è un sacrificio che ti pesa particolarmente?

«No, perché tutto ha un senso e un fine. Credo di essere stato abbastanza bravo a trovare un equilibrio. Mi spiego: se una mattina mi va una brioche, io la mangio. Non è un cornetto in più o in meno che mi fa vincere o perdere una corsa. Però mi comporto con consapevolezza, so che questi devono essere momenti d’evasione per far rifiatare la testa. Non devono essere la normalità. Ma ormai l’ho capito e mi muovo di conseguenza».