Il futuro del velocista con gli occhi di: Petacchi, Sabatini, Mareczko e Reverberi

Il velocista puro scomparirà
Alessandro Petacchi, Fabio Sabatini, Jakub Mareczko e Roberto Reverberi (© Bicisport)
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In punta di pedali, sale l’adrenalina, i metri sono sempre meno, quasi una tachicardia colpisce il cuore e poi un sospiro. No, non è quello che prova un velocista poco prima del traguardo, ma voi appassionati da tutto il mondo che venite travolti dalle violente emozioni guardando le volate. Colui che vi fa andare in bicicletta senza muovervi è una specie particolare di ciclista, uno sprinter

Il velocista puro è destinato a scomparire? «Sì!». Tanto breve quanto profonda è stata la risposta di Elia Viviani.

A questo punto s’insinua il futuro incerto di una figura che ha sempre fatto parte del ciclismo, ma un filone di certezze arriva per bocca di chi il ciclismo l’ha indossato per anni. «C’è un nuovo modo di affrontare le corse – ci racconta Alessandro Petacchi – I primi ottanta chilometri sono affrontati a tutta, prima che la fuga riesca a sfuggire al gruppo. Ai miei tempi si partiva tranquilli e solo nel finale s’infiammava l’atmosfera». 

Alessandro Petacchi
20esima tappa del Giro d’Italia 2004 (Clusone-Milano), Alessandro Petacchi a braccia alzate

Quando la pianura si estende all’orizzonte, con un panorama piatto come un mare d’asfalto, nel mondo del ciclismo significava una sola cosa: volata. Sì, avete letto bene, significava. Il mondo delle due ruote moderno è molto più esigente, non che prima si giocasse, la sofferenza è la stessa, quello che cambia sono i percorsi, come afferma Petacchi. «I percorsi odierni sono studiati per creare più spettacolo. Vengono messi strappi vicino all’arrivo, che ad una prima occhiata possono sembrare innocui, ma per chi ha le caratteristiche di un velocista puro possono essere la fine dei giochi. Ci sono tappe per velocisti, ma arrivi a fare la volata con 2000 metri di dislivello nelle gambe». Lo segue a ruota Fabio Sabatini«Con percorsi così, diventa quasi un azzardo per le squadre puntare tutto su uno sprinter puro».

Fabio sottolinea un altro aspetto che viene meno nel grande ciclismo d’oggi: «Quando sono passato professionista in Milram avevo un compito ben preciso: far parte del treno di Petacchi. Marco Velo ultimo uomo, Alberto Ongarato in terzultima posizione e io davanti a lui, tutta la squadra era pensata per far vincere il nostro uomo veloce. Oggi, invece, se va bene, lo sprinter ha a disposizione due uomini, non tanto per fare un treno, ma per cercare di coprirlo dal vento e portarlo nella migliore posizione». 

Jakub Mareczko
Jakub Mareczko: la sua volata vincente nella 4ª tappa del Tour of Antalya

Un abbandono a se stessi per le ruote veloci che trovano una possibile risposta nelle parole di uno come loro, Jakub Mareczko«Le squadre vogliono il risultato nei grandi Giri, puntano alla classifica e scelgono corridori adatti alla salita e alle tappe mosse. Le gare sono cambiate, le altimetrie anche, bisogna essere più completi». Bisogna essere più completi. È una frase ricorrente, la si sente da tutti, addetti ai lavori e non, forse è proprio il fattore determinante che sta togliendo spazio allo sprinter puro.

Ci toglie il dubbio il team manager e ds della Bardiani, Roberto Reverberi. «Qualche anno fa, per farti notare dalle squadre, dovevi andare forte da qualche parte: salita, volata o cronometro. Adesso, invece, cerchiamo l’atleta in grado di andare forte un po’ dappertutto, lo richiedono i percorsi delle gare. Abbiamo avuto velocisti puri come Andrea Guardini, ma appena trovavano un piccola salitella andavano in difficoltà». 

 Roberto Reverberi
Bruno e Roberto Reverberi, general manager e team manager, della Bardiani in una foto d’archivio al Giro d’Italia 2021

Al che gli chiediamo di un altro uomo veloce cresciuto con loro: Sacha Modolo«Non vogliamo commentare le sue parole». Roberto continua a spiegarci il perché i team professionistici vedono la figura del velocista puro in via d’estinzione, «Lo abbiamo visto alla Milano-Sanremo: Pogacar mette la squadra a tirare a tutta sulla Cipressa, staccando gli sprinter puri, e poi in prima persona attacca dieci volte sul Poggio. Bisogna essere dei velocisti moderni, come lo era Colbrelli, altrimenti non ci arrivi alla volata. In prospettiva futura abbiamo ingaggiato giovani corridori in grado di competere su più terreni. Filippo Fiorelli e Luca Colnaghi hanno un buono spunto veloce, ma stanno anche cercando di migliorare in salita facendo attenzione al peso. Se hai un chilo in più su una salita di 5 chilometri rischi di staccarti». 

Un ciclismo portato al limite, un tirare la corda per cercare i minimi margini di miglioramento in ogni aspetto. Forse troppo? Petacchi è d’accordo, o migliori anche in salita o sei fuori. «Se il velocista in un grande Giro non si ritira prima di concluderlo, arriva alle sue ultime possibilità stanco. Le altissime velocità ripetute ogni giorno e i percorsi sempre più impegnativi, rendono tutto più complicato per gli uomini di potenza. Se nelle prime volate arrivano tutti in pochi centimetri, nelle ultime il distacco è parecchio: dai primi due anche cinque metri». 

Sagan e Fabio Sabatini
Fabio Sabatini e Peter Sagan in una foto d’archivio. Qui, ai tempi della Liquigas, alla Tre giorni di La Panne.

La chiave di volta per capire l’incipit di questo cambiamento ce la dà Sabatini. «Gli ultimi tre anni sono stati condizionati dalla regola dei punteggi dell’UCI. Questo ha spinto molte squadre a portare uomini più completi alle gare per cercare un piazzamento sicuro che portasse dei punti al team. In molti sono andati a fare, con i migliori corridori, il “giro del pagliaio”, perché in gare minori i punti per il vincitore sono di più di quelli per chi vince una tappa a un Giro nel World Tour. Questo ha scatenato una serie di reazioni: gare imprevedibili, medie altissime e meno considerazione per il velocista, solo poche squadre gli creano un treno». 

Non solo, Fabio evidenzia in maniera netta quanto detto da Reverberi. «A 32 anni sei vecchio. Anche se vai forte, fai fatica a trovare un contratto: Nibali è venuto fuori a 26 anni. Ora tutti aspirano a passare nel professionismo da juniores, è un bene per alcuni, ma non per tutti. Le squadre assecondano al 100% i giovani ingaggiati che credono di sapere già tutto. Un giovane che passa oggi vuole subito insegnare a un Salvatore Puccio, che di esperienza ne ha da vendere, e i manager lasciano fare».

L’arrivo al fotofinish con vittoria di Arnaud Demare su Peter Sagan e Davide Ballerini. (Foto: LaPresse)

È abbastanza chiaro: il velocista puro deve adattarsi se vuole sopravvivere. Non a tutti può piacere la stessa cosa. Molti preferiscono lo spettacolo e l’imprevedibilità che oggi ogni minuto di gara può regalare. Non vogliono vedere le lunghe tappe pianeggianti dove basta accendere la tv solo agli ultimi 10 km. Ma bisogna ricordarci che i corridori non sono robot, a loro bruciano le gambe e pizzicano gli occhi dal sudore. Una cosa è certa. Le emozioni delle volate non scompariranno mai, il motto del velocista moderno continuerà a essere quello tramandato dal passato: “Se ci passano le spalle ci passa tutto il resto” e le spallate a 70 km/h non smetteranno mai di esistere.

All’inizio vi eravate indignati della secca risposta di Viviani? Lo davate per pazzo? Beh, indovinate cosa hanno risposto Petacchi, Sabatini, Mareczko e Reverberi alla solita domanda? Esatto: «Sì!». Il velocista puro è destinato a scomparire.

Siamo tutti un po’ dei velocisti puri nella vita, l’importante è riuscire ad aprirsi nel diventare un po’ più completi.

Giro d'Italia fotofinish
L’arrivo al fotofinish (foto: Facebook/Giro d’Italia)