Lorenzo Giordani si ferma: «Decisione sofferta, ma non ero più convinto di voler fare il corridore»

Giordani
Lorenzo Giordani - Firenze - Empoli - Under 23
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Gabriele Balducci se l’era immaginato: lavora coi ragazzi da troppo tempo per non intuire cosa c’è dietro i silenzi, oltre le mezze verità. Per questo non è caduto dalle nuvole quando Lorenzo Giordani l’ha chiamato per comunicargli che no, nel 2023 non sarebbe più stato un corridore della Mastromarco. Anzi, che non sarebbe stato più un corridore in generale: che la sua carriera finiva a 19 anni, dopo una sola stagione tra i dilettanti e con un brillante nono posto nella classifica del Giro della Lunigiana del 2021.

«Non avevo il coraggio di telefonargli – racconta Lorenzo – Un po’ perché smettere mi dispiace, non ho ancora realizzato che la mia vita sarà diversa rispetto a ciò che mi ero sempre immaginato. Un po’ perché temevo una sua reazione scomposta: avrebbe avuto le sue ragioni, perché io devo essere sincero e ammettere che glielo avrei potuto comunicare prima e con più nettezza, senza aspettare l’inizio di novembre».

Quindi si tratta di una decisione fresca.

«Qualche settimana fa, non di più. Dal 20 al 27 sono stato a Sharm el-Sheikh. In Egitto c’ero già stato tre volte, una a Marsa Alam e un’altra proprio a Sharm. Ma ero piccolo, ricordavo poco o nulla. Rivederla con occhi diversi e dopo così tanti anni è stato particolare. Poi, ritornato a casa, ho tentennato per qualche giorno e alla fine ho parlato con Gabriele».

Cosa ti ha detto?

«Che se l’era immaginato, che non è scritto da nessuna parte che ogni giovane corridore debba voler diventare un professionista a tutti i costi. Col tempo si cresce e si può cambiare, non c’è nulla di male. Mi ha ascoltato e mi ha capito. Di questo lo ringrazio. Non mi ha fatto pesare la decisione, che non esito a definire difficilissima».

Quando l’hai maturata?

«Già lo scorso anno, il mio secondo e ultimo tra gli juniores, avevo avuto qualche avvisaglia. L’estate la passai male: io ero in ritiro e lontano da chiunque e da qualsiasi cosa, fuori da tutto; i miei amici, invece, o erano a casa o erano in vacanza, in entrambi i casi molto probabilmente a divertirsi senza durare fatica e senza avere particolari responsabilità. A volte mi veniva anche da piangere».

E allora perché sei andato avanti?

«Perché quella del corridore è sempre stata la mia vita e fondamentalmente il ciclismo mi piace, mica lo odio. Nei momenti più complicati mi sono fatto forza come meglio potevo, dicendomi che magari si trattava di un periodo più duro e che prima o poi quella strana sensazione sarebbe andata via. Invece, a ondate ma con regolarità, ritornava».

Quale sensazione?

«Quella di non essere più tanto convinti di quello che si sta facendo. E’ brutto, se hai sempre fatto quello e se hai immaginato il futuro in una certa maniera. Dopo Corsanico (il 17 settembre, ndr) mi sentivo abbastanza sereno, tra l’altro seppur lontano dai primi avevo portato la gara a termine. Così sono andato da Balducci e gli ho detto: continuo. Ma quasi quasi me ne pentii subito dopo, sentivo che in fondo non ero del tutto convinto».

Cosa ti pesava maggiormente?

«Quella che in gergo si chiama la vita del corridore. Gareggiare no, mai: anzi, mi sono sempre divertito. Penso a tutto il resto: i ritiri, gli allenamenti, stare attento a qualsiasi cosa. Ma anche adesso mi rendo conto d’essere impreciso: non è che mi pesasse qualcosa in sé, è che ho smarrito la motivazione per farle. E allora perché proseguire?».

C’è stato un momento in cui hai veramente capito che volevi smettere?

«E’ stato un processo, lento ma inesorabile. Però mi viene in mente la cena di fine anno della Mastromarco, prima di partire per l’Egitto. I temi, inevitabilmente, erano quelli: la stagione finita, l’inverno, quella prossima, i nuovi innesti. Ecco, mai avrei pensato di sentirmi così estraneo al mondo del ciclismo come in quel momento. Mi chiedevo cosa stessi facendo in quel posto, mi sembrava di non entrarci per niente. Ci sono rimasto male».

Balducci
Gabriele Balducci alla partenza della terza tappa del Giro della Valle D’Aosta

La bicicletta l’hai più ripresa?

«No, tra freddo e pioggia non c’è stata l’occasione. O forse non l’ho voluta trovare io, l’occasione. Non lo escludo. Però voglio ribadire questo: decidere di smettere non è stato semplice, non l’ho fatto a cuor leggero, ma coi miei tempi ho detto la verità a tutti e non ho più niente da nascondere».

Tuo padre come l’ha presa?

«E’ stato molto sensibile, così come mia mamma. Mi hanno capito, non mi hanno forzato né in una direzione né in un’altra. Mi hanno detto cosa pensavano, mi hanno ascoltato, hanno provato a farmi sfogare e ragionare. Mi sono sempre rimasti accanto. Scontato per un genitore, si potrebbe pensare. Può darsi, ma io l’ho apprezzato. Qualche parente, invece, l’ha presa peggio: ma perché mi vogliono bene e sono appassionati di ciclismo, pensavano che avrei seguito le orme del babbo».

Adesso cosa fai?

«Frequento l’Its, l’Istituto Tecnico Superiore. A Firenze, quattro ore al giorno: o dalle 9 alle 13, oppure dalle 14 alle 18. Praticamente un corso parauniversitario organizzato dalla Regione che prepara e avvia al mondo del lavoro. Ci occupiamo di sistemi informatici aziendali, cybersecurity, gestione di database. L’informatica è sempre stata una mia grande passione, sarei contento di poterla trasformare in un lavoro. Anche se alcune persone mi hanno detto il contrario».

In che senso?

«Negli ultimi mesi ho ascoltato tante voci diverse, così da prendere in considerazione il ritiro da tutti i punti di vista. Ogni volta che parlavo con qualcuno cambiavo idea, ero veramente combattuto. Ma c’è anche chi, a proposito di lavoro, mi ha detto: guarda che sfondando nel ciclismo ti faresti un nome e saresti più riconoscibile, non saresti soltanto un nome e un numero come invece succede nella vita normale. E poi: guarda che lavorando la faccenda va per le lunghe, al massimo si guadagna uno stipendio dignitoso. Discorsi del genere, insomma».

Ma tu hai deciso ugualmente di smettere.

«Sì, perché evidentemente non ero più convinto. L’ho fatto a malincuore, perché il ciclismo mi ha insegnato tanto e allo stesso tempo sono consapevole d’aver deluso qualcuno. Ma io non potevo andare avanti con questa pesantezza e soltanto per far contenti gli altri: non l’ho mai fatto, ho sempre corso perché piaceva a me. Ci ho pensato dopo, una volta tornato a casa: da questo punto di vista la vacanza a Sharm non mi ha aiutato».

Perché?

«Perché sono andato con alcuni ragazzi della Mastromarco e altri dilettanti toscani, e alla fine spesso e volentieri si ragionava di ciclismo. Eravamo in dodici, pensa. Mi sono divertito, ma allo stesso tempo ho avuto anche dei momenti difficili, non lo nascondo. Devo ringraziare Venturini, mio compagno di squadra: non mi ha lasciato solo, consolandomi e distraendomi quando ne avevo più bisogno. Gli voglio bene».

Come immagini il tuo futuro?

«Mi fa paura, sono sincero. Non so cosa mi aspetta, devo immaginare una vita diversa. Intanto avrò bisogno di qualche mese ancora per metabolizzare il ritiro. E poi cambia tutto: gli orari, le responsabilità, il modo di passare il tempo. Oltre allo studio vado anche in palestra, alternando le due attività tra mattina e pomeriggio. Non ho nemmeno un gruppo per uscire, ma tanti amici singoli sparsi qua e là. Tanti di loro fanno parte del mondo del ciclismo, quindi a volte dovrò tapparmi le orecchie. Oppure chissà, magari col tempo maturo e capisco di voler tornare a correre. Ma per ora non ho dubbi: a malincuore ho deciso di smettere».