Alla Mastromarco arriva il giovane Bennati: «A mio zio Daniele invidio la vittoria sui Campi Elisi»

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La prima corsa della sua vita Matteo Bennati l’ha disputata a sei anni, nel 2010: a Rigutino, a cinque chilometri da Castiglion Fiorentino, dove vive lui, in provincia d’Arezzo. Un circuito lungo meno d’un chilometro, arrivò secondo. Nella stessa stagione, sulle strade assolate del Tour Down Under, Peter Sagan debuttava tra i professionisti: terzo a Stirling, quarto a Willunga. Poi la sua stella sarebbe definitivamente deflagrata: due tappe alla Parigi-Nizza, una al Romandia, altre due in California; e poi settimo a Plouay, quarto al Giro della Romagna, secondo al Veneto e a Montréal. E pensare che durante l’annata precedente, la sua unica tra i dilettanti, Sagan non aveva impressionato.

«E’ stato il mio primo idolo e per certi versi lo rimarrà per sempre – racconta Bennati – Io credo che abbia cambiato il ciclismo: lo ha reso più divertente, più scanzonato, più spettacolare. E’ stato un grande, per il palmarès e per la personalità. Ho letto che ha annunciato il ritiro: mi dispiace, è come se si chiudesse un’era, ma se ha deciso così avrà i suoi buoni motivi. Di certo non deve dimostrare più niente. E comunque, nel frattempo, il mio modello è cambiato».

Chi è, Matteo?

«Van der Poel. Da quando ho cominciato a vederlo con continuità alla televisione me ne sono innamorato. Con tutte le differenze del caso, direi che gli assomiglio: è esplosivo, punta perlopiù alle classiche. Le rasoiate che lo hanno reso famoso, tipo quella alla Strade Bianche di qualche anno fa, mi fanno impazzire».

Il fatto che Sagan ultimamente abbia vinto meno di prima può aver influito sui tuoi sentimenti?

«Tutto può essere, ma sinceramente non saprei. Ho visto correre Van der Poel e istintivamente l’ho preso a modello. In passato ha buttato via più di una corsa per i suoi attacchi scriteriati, secondo me con più accortezza avrebbe potuto vincere andando comunque all’attacco. Adesso, tatticamente, mi sembra maturato. Ad ogni modo, per me non fa nessuna differenza: mi piaceva prima e mi piace ora».

Alto 1,85 e pesante 65 km, Bennati si reputa un corridore da classiche del Nord (Foto: Bennati)

Insomma, ti reputi un corridore adatto alle classiche.

«Mi sono sempre difeso sulle salite non troppo impegnative, quelle con pendenze tra il quattro e il cinque per cento, che si fanno di rapporto. E poi ho un ottimo spunto veloce. Sono alto 1,85 e nei momenti migliori arrivo a pesare 65 chili. Tutto sommato devo dire che il mio fisico mi piace. Però certo, se in salita riuscissi ad andare più forte non mi lamenterei».

Qual è la corsa di un giorno che sogni?

«In generale le classiche del Nord, del pavé: la Gand, il Fiandre, la Roubaix. Alla televisione me ne sono perse pochissime. Ricordo i successi di Van der Poel e soprattutto quello di Bettiol alla Ronde del 2019: dev’essere davvero appagante vincere in quella maniera una gara così prestigiosa».

Anche tu, lo scorso anno, ti sei concesso un bell’assolo nella Coppa San Michele: sei scappato sulla salita di Montepennino e non ti hanno più ripreso.

«La stagione passata, la mia seconda tra gli juniores con l’Uc Foligno, è stata indimenticabile. Ho vinto due gare, la Coppa San Michele e un mese dopo il Trofeo San Benedetto, andando oltre le mie aspettative. Mi sono divertito davvero tanto, eravamo una famiglia e nonostante tanta fatica trovavamo sempre un momento per scherzare. Spero di portare questo spirito ancora con me».

Da quest’anno sei un dilettante della Mastromarco. Com’è nata la possibilità di correre con Balducci?

«Lui e mio zio, Daniele, sono amici di lunga data. Mi seguiva già da un po’ di tempo, a dire la verità, e quindi mi è sembrata la destinazione più naturale. Siamo andati a parlarci io e mio zio, e così l’avventura è cominciata. Balducci è appassionato e competente. Tiene molto ai suoi ragazzi e questo, forse, è il suo pregio più grande. E’ uno di quei direttori sportivi che la voglia te la fa venire e non passare».

Quale obiettivo ti sei posto per questa stagione?

«Intanto quello di diplomarmi. Frequento il professionale a Castiglion Fiorentino, per tre anni sono andato al liceo linguistico ma l’ho trovato troppo impegnativo e quindi ho preferito cambiare. Per ora nella mia testa c’è soltanto il ciclismo, quindi proverò a ritagliarmi il mio spazio e a far carriera. Se dovesse andare diversamente, allora forse potrei prendere in considerazione anche l’idea dell’università».

Cosa ti aspetti dal passaggio di categoria?

«Di fare fatica, com’è normale che sia. E’ probabile che nella prima parte della stagione non corra troppo, mentre dall’estate in poi la faccenda diventerà più seria. Sono pronto a mettermi a disposizione dei corridori più forti ed esperti, imparando il mestiere e magari provando a sfruttare eventuali situazioni favorevoli. Poi, dal prossimo anno, si vedrà di che pasta sono fatto».

Matteo Bennati vincitore della Coppa San Michele 2022 (foto: Bennati)

Quanto ha influito sulla tua passione la brillante carriera di tuo zio, oggi commissario tecnico della nazionale italiana?

«La mia è una famiglia di ciclisti. Correva già mio nonno, che poi ha trasmesso la sua passione al babbo e allo zio. A due anni, tanto per dire, già pedalavo senza rotelline. Con mio zio ho un bellissimo rapporto, eravamo insieme in bicicletta anche stamattina. Mi segue, mi chiede come sto, s’interessa alla mia vita e non soltanto alla mia attività».

C’è un suo consiglio che ti è rimasto particolarmente impresso?

«Quello di non soffocare la propria creatività e la propria libertà. Ci sono le gerarchie e le tattiche di squadra, su questo non si discute, ma allo stesso tempo il ciclismo non deve diventare un lavoro da impiegati e un corridore non deve dipendere troppo dai numeri. Contano anche le sensazioni e l’istinto, insomma».

Anche lui era resistente e veloce come te.

«Ma la nostra fisionomia è completamente diversa. Lui è leggermente più basso di me e ha le gambe più corte e più tozze, da velocista. Io, invece, sono più alto e slanciato, con le gambe lunghe. Sarebbe bello ripercorrere le sue orme, intendo in termini di vittorie. Più di tutte gli invidio quella sui Campi Elisi, è uno dei successi più prestigiosi che uno sprinter possa conquistare». 

Caratterialmente come ti descriveresti?

«Perlopiù tranquillo e timido, disposto a dare tutto quello che ho per la squadra di cui faccio parte e per il ciclismo in generale. Le rinunce ci sono, inutile negarlo, dalla tavola alle uscite con gli amici: io le sopporto dicendo a me stesso che così vado più forte, che lo sforzo di oggi mi ripaga domani. E comunque ogni tanto, magari d’estate e durante la settimana quando non ci sono gare imminenti, esco anche dopo cena: un po’ d’aria ci vuole, non rubo niente a nessuno».

Ma avrai anche qualche difetto. O no?

«In gara mi trasformo, come se mi accendessi. Non sopporto chi è disposto a tutto per prendere una buona posizione in gruppo né quelli che appioppano spallate qua e là a cento chilometri dall’arrivo: ma dove vogliono andare, dico io? E poi sai, crescendo ad esempio ho smesso di suonare la chitarra. Un po’ perché ho meno tempo di prima, un po’ perché le passioni cambiano. Ma sono un ragazzo, compirò 19 anni il 4 giugno, non pretenderete mica che sia perfetto?».