Coati rinasce dopo un anno terribile: «Le difficoltà mi hanno reso più forte e sono pronto al grande salto»

Luca Coati all'Arctic Race of Norway 2021 (foto: Stuart Franklin/Getty Images)
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La fortuna, lo scorso anno, non era venuta a cercare Luca Coati. E nemmeno in questa stagione, iniziata a fatica dopo che il pensiero di smettere con il ciclismo si era fatto sempre più forte. Il 2021 era stato quasi un trionfo in termini di risultati e per il costante rendimento dimostrato. Un lavoro, però, non ripagato con il passaggio al professionismo, che sembrava quasi scontato dopo un’annata del genere. E così, in un attimo, Coati è passato dal grande ciclismo sfiorato al buio e i demoni con i quali ha lottato intensamente nei primi mesi del 2022. «Non parlavo con nessuno, non uscivo di casa, mi sono rintanato in camera e mi sono chiuso ancora di più in me stesso», ci aveva confidato a gennaio. Convinto dal direttore sportivo Daniele Nieri, è ripartito sempre con la maglia della Qhubeka (Continental), ma senza ritrovare quella serenità necessaria per pedalare al meglio.

Poi sono arrivati tanti problemi fisici che hanno tormentato il ventiduenne veneto quasi fino alla fine della stagione. Coati sembrava pedalare a vuoto, ma nel finale ecco che si intravede la luce in fondo al tunnel. Le gambe giravano e nell’ultima occasione possibile è riuscito di nuovo a vincere: 11 ottobre, Coppa del Mobilio a Ponsacco, provincia di Pisa. Settimo nella prima semitappa in linea, primo nella cronometro del pomeriggio, aggiudicandosi la classifica complessiva. Coati riesce finalmente a sorridere, sulle stesse strade dove l’aveva fatto nel 2020. Ma dopo tutto quello che gli è successo sembra un secolo fa…

Luca, finalmente alla Coppa del Mobilio è andato tutto per il verso giusto.

«Sì, è andata bene. Sono riuscito a esprimermi al meglio nella cronometro. La mattina nella prova in linea speravo di fare meglio, ma sono rimasto chiuso in volata, senza riuscire ad andare oltre il settimo posto. Posizione da cui però sapevo di poter recuperare contro il tempo. Il percorso rispetto a quello del 2020 era un po’ diverso, ma restavano invariate le strade larghe e il chilometro di salita. Sono riuscito a gestirmi bene, ma quando hai la gamba è tutto molto più facile».

La stessa gamba che durante tutta la stagione non ne ha proprio voluto sapere di girare, vero?

«Esatto, è stato un anno difficile. Mentalmente ero a terra fin da prima che iniziasse la stagione e ci ho messo diversi mesi a riprendermi. Ho iniziato con una preparazione che non era delle migliori e le prestazioni ne hanno risentito molto. E’ continuato ad andare tutto male perché poi ho avuto la bronchite e sono stato fermo per quindici giorni. Dopodiché ho avuto problemi al ginocchio, ho scoperto di avere il Citomegalovirus e infine anche la mononucleosi. Tutto quello che non mi è successo negli anni scorsi, è accaduto quest’anno quando dovevo riconfermarmi, ma credo che bisogna cogliere il lato positivo di questo periodo negativo».

Quale?

«La vittoria finale alla Coppa del Mobilio significa molto per me. Ma in questi momenti bui ho capito anche quali sono le persone che mi sono più vicine e quelle che invece quando va tutto male vanno via, di cui non posso fidarmi».

La vittoria a Ponsacco ti ha dato quindi la forza per riprenderti anche mentalmente?

«Sì. Tanti all’inizio della stagione hanno pensato che fosse semplicemente una mancanza di voglia, di motivazioni. Io, invece, ho cercato di dare sempre il massimo, ma quando sei giù di morale e non risali a galla in nessun modo è dura. Perché quando ho iniziato a stare un po’ meglio, con il passare dei giorni, sono subentrati i problemi fisici e di salute. A causa di questi ultimi ho dovuto continuamente inseguire la condizione».

Verso la fine dell’estate però sarai stato bene anche fisicamente per poter preparare e vincere la Coppa del Mobilio…

«Sì, solo nelle ultime tre settimane della stagione sono stato bene e così mi sono concentrato al massimo sugli ultimi due appuntamenti che avevo fissato con la squadra in Toscana: Gran Premio Ezio Del Rosso e Coppa del Mobilio. Al Del Rosso sono arrivato senza tanti giorni di gara e infatti nel finale ho avuto i crampi, però sapevo di stare bene. A Ponsacco ci speravo davvero tanto, ma per un momento ho rischiato anche di non partecipare».

Perché?

«La squadra voleva terminare la stagione la settimana prima, sempre di martedì, alla Coppa Città di San Daniele in Friuli perché Parisini si era fratturato la clavicola, c’erano tanti infortunati e influenzati. Poi ho chiamato Daniele (Nieri, il direttore sportivo, ndr), che in questo anno difficile mi ha sempre ascoltato e compreso anche se parlavo poco dei miei problemi. Gli ho detto che tenevo molto a quella corsa. Lui non ha avuto dubbi: “Martedì si va a correre”».

 

 
 
 
 
 
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Quest’anno, quando sei riuscito a gareggiare, hai partecipato soprattutto a corse a tappe. Quindi hai cercato di lavorare soprattutto sul fondo, sul ritmo gara? Confrontandoti con i professionisti.

«Sì, visto che ero élite in una Continental il calendario in Italia non offriva molte opzioni. C’erano poche corse per noi e quindi la squadra ha optato per andare in Francia. Ma quando gareggi a sprazzi, non correndo da diverso tempo, fai sempre fatica a fare dei passi avanti, a migliorarti. Con tutti i problemi che ho avuto, appena stavo per costruire qualcosa finiva per svanire di colpo».

Ma la vittoria finale dimostra che non hai mai smesso di crederci…

«Certo, tutto il potenziale che ho dimostrato la scorsa stagione non poteva sparire quest’anno. Ho sempre saputo che i miei valori non erano scomparsi, soprattutto quando poi nell’ultimo periodo mi sono sentito davvero bene. Così dare il tutto per tutto nelle ultime due corse della stagione era l’unica soluzione che mi rimaneva tra le mani».

Nelle corse che hai disputato senti di aver arricchito comunque il tuo bagaglio? Soprattutto alla luce di tutte le difficoltà che hai affrontato per essere ogni volta al via.

«Nelle gare a cui ho partecipato il ritmo è stato sempre molto alto. Come accade spesso quando sono al via tutte Continental, mentre con la presenza delle World Tour l’andatura è più controllata. In più per reggere quel ritmo serve una preparazione diversa da quella necessaria per le corse in Italia, è tutto più difficile. Comunque sì, quello che passato in questa stagione, tra gare e difficoltà fisiche e mentali, mi ha reso più forte e credo di essere davvero pronto al grande salto».

Ecco. Si dice che la Qhubeka dal prossimo anno sia il vivaio della neonata Q36.5 Pro Cycling Team, la squadra fondata da Ryder e con Nibali ambassador. Sai qualcosa in più a riguardo, ti hanno informato? Oppure hai ricevuto altre offerte?

«Sto cercando una nuova soluzione per l’anno prossimo. Ancora non ho nessuna certezza o offerta sicura, ma spero che già dalla prossima settimana cominci a delinearsi qualcosa. Nulla di più».

Nonostante la stagione nefasta, sei riuscito comunque a vestire la maglia della nazionale strappando un quinto posto nella cronometro dei Giochi del Mediterraneo. Ti sei confrontato spesso con il c.t. Marino Amadori?

«Con Marino ho un bel rapporto e ha voluto darmi fiducia ai Giochi del Mediterraneo. Di questo devo sicuramente ringraziarlo davvero tanto, perché in tutta la stagione non ho mai dimostrato di essere presente quindi avrebbe avuto tutte le motivazioni del mondo per non convocarmi. Ho fatto sia la prova in linea, una giornata no per tutta la squadra, che la cronometro, alla quale ho saputo di dover partecipare solo pochi giorni prima di partire visto che Puppio e Moro stavano male».

Per concludere, passerai quest’inverno con speranza e fiducia per il futuro?

«Sì, soprattutto dal punto di vista personale. Ho finito la stagione con tante motivazioni, anche perché a me non piace deludere le persone. Lo stesso Daniele si aspettava molto di più da me e non tutto questo. Ma adesso sa cosa ho passato mentalmente, anche se gliene ho parlato direttamente solo dopo la vittoria della Coppa del Mobilio a stagione conclusa, quando mi sono lasciato un po’ andare. E cercherò di non deludere le persone a me care anche in futuro».