Coati: «A dicembre volevo smettere, non parlavo con nessuno. Poi mi ha richiamato Nieri»

Coati
Luca Coati in una foto d'archivio ai mondiali di Lovanio
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Quindici piazzamenti tra i primi dieci tra dilettanti e professionisti: il primo alla Firenze-Empoli, secondo, era il 27 febbraio; l’ultimo al Gp Ezio Del Rosso, quarto, era il 10 ottobre. Due le vittorie: all’Antonio Placci e alla Firenze-Viareggio. Nel mezzo, un calendario di assoluto livello con la Qhubeka continental: Coppi e Bartali, Liberazione, Giro d’Italia, campionati italiani di categoria, Kreiz Breizh, Ruota d’Oro, Giro del Veneto e Veneto Classic. Anche Marino Amadori lo ha voluto spesso e volentieri: se l’è portato dietro all’Orlen Nations Grand Prix e all’Etoile d’Or, nella cronometro degli europei e nella prova in linea dei mondiali. La Qhubeka dei grandi, invece, lo ha voluto provare al Giro di Norvegia e a quello di Slovenia, senza dimenticare il Gran Piemonte.

Insomma, nonostante quella che lui stesso non esita a definire – a ragione – la miglior stagione della sua carriera, Luca Coati non ha trovato una sistemazione tra i professionisti. Sembrava scontato: ragazzo impeccabile, pronto a buttarsi nel fuoco per i compagni di squadra e a prendersi le proprie responsabilità se necessario, veloce in volata e forte sul passo (è arrivato quarto nella cronometro dei campionati italiani, a 35″ dal vincitore Baroncini e a soli 5″ dal terzo posto di Piganzoli). Niente da fare, nel ciclismo – anche di ieri, ma specialmente di oggi – di scontato non c’è niente: e Coati non è passato, rischiando addirittura di smettere.

Luca, possibile che nessuno si sia fatto avanti per te?

«Qualcuno c’è stato e questo, anche se alla fine è andata male, mi rincuora. Se non mi avesse cercato proprio nessuno, allora sì che avrei smesso. Diciamo che la fortuna non è venuta a cercarmi, ecco».

Chi ti aveva cercato?

«In un primo momento sembrava fatta per il mio passaggio alla Qhubeka NextHash. Per diverse settimane sono filtrate indiscrezioni che lasciavano ben sperare. Poi, invece, da un certo punto in avanti la situazione è apparsa sempre più disperata e immaginavo che si sarebbe risolta con la chiusura della World Tour».

E poi cos’è successo?

«C’è stata un’altra realtà con la quale ho parlato, la Corratec, la nuova squadra continental di Frassi e Parsani. Anche lì non se n’è fatto niente. All’inizio mi era stato detto di rimanere tranquillo, la squadra sarebbe entrata fin da subito nel circuito delle professional. Invece la licenza gli è stata rifiutata e si sono dovuti accontentare di partire dalle continental».

Come hai vissuto l’autunno?

«Male, molto male. Ottobre e novembre li ho trascorsi con la speranza che la Qhubeka non chiudesse, che qualcuno venisse a cercarmi: insomma, che una sistemazione l’avrei trovata. A dicembre è stato come se avessi fatto un frontale col mondo intero: non parlavo con nessuno, non uscivo di casa, mi sono rintanato in camera e mi sono chiuso ancora di più in me stesso».

Hai pensato di smettere?

«Sì, era una delle ipotesi prese in considerazione. Tra la sfortuna e le pochissime offerte ricevute, non sapevo cosa pensare. Ero reduce dalla mia miglior stagione, avevo partecipato ad europei e mondiali, eppure la decisione migliore quasi quasi mi sembrava quella di smettere. Assurdo, vero?» 

Perché hai cambiato idea?

«Un giorno, quando s’intuiva che ormai la Qhubeka stava per chiudere e dalla Corratec non avevo ricevuto i riscontri che avrei desiderato, mi ha richiamato Daniele Nieri. In quel momento ho realizzato che se non fossi tornato a correre per lui avrei smesso. L’ha capito subito anche lui».

Cosa ti ha detto?

«Che non mi dovevo azzardare, che un corridore e un ragazzo come me non deve arrendersi finché non le ha provate tutte, che tanti miei coetanei sono costretti a smettere perché non trovano nessuno che scommette su di loro. Io, invece, questo qualcuno ce l’avevo: lui, Daniele Nieri. E non potevo sprecare questa possibilità».

Luca Coati in una foto d’archivio ai campionati del mondo di Lovanio 2021

Ti sei dato una spiegazione? Quali domande ti giravano in testa?

«Tante, troppe. Quando la gente mi chiedeva: perché la Qhubeka non ufficializza il tuo arrivo?, perché girano certe voci?, ma è vero che sta chiudendo? E io non sapevo cosa rispondere, si pensa che i corridori vengano tenuti informati per filo e per segno e invece non è così». 

Dubbi sul tuo valore ne hai avuti?

«Allora, io qui ci tengo ad essere preciso perché non voglio passare né per la vittima né per l’ipocrita di turno. Sono pienamente consapevole di non essere un fuoriclasse, così come capisco benissimo che ci sono stati altri dilettanti più vincenti e convincenti di me. Ma da qui a non passare mi pare incredibile: ho partecipato ad europei e mondiali, il massimo della categoria, qualcosa vorrà pur dire o no?»

Quel che è certo, Luca, è che il 2021 per te è stato l’anno del salto di qualità: hai capito finalmente quanto vali.

«Sì, senza dubbio. E di questo ringrazio in particolare due persone: Marino Amadori, perché ha puntato molto su di me convocandomi spesso e volentieri, e soprattutto Daniele Nieri, col quale ho un bellissimo rapporto. Daniele è esigente ma comprensivo, con lui ci si confronta per davvero. Lascia tranquilli i ragazzi nei momenti morti e sa quali corde toccare quando arrivano le gare importanti».

Come la Firenze-Viareggio, che tu hai vinto lo scorso anno: come la Firenze-Empoli, per le squadre toscane è una sorta di mondiale.

«Contentissimo d’averla conquistata. Stavo bene e so quanto Daniele ci tenesse. E poi vincere sul lungomare di Viareggio nel giorno di Ferragosto è sempre suggestivo. Alla Firenze-Empoli, invece, è legato uno dei momenti più brutti dello scorso anno: l’abbiamo buttata via. Io secondo, Bonaldo terzo, Puppio quarto e Mulubrhan settimo. Bastava organizzarsi meglio e avremmo vinto non dico facilmente, ma quasi».

Correre coi professionisti ti ha aiutato?

«Non solo con loro, ma anche le prove di Coppa del mondo con la nazionale di Amadori. Quando tornavo tra i dilettanti sentivo d’avere un miglior colpo di pedale. Però non sono d’accordo con quei miei coetanei che sostengono che correre tra i professionisti sia meglio perché più organizzati».

Spiegati meglio.

«Che tatticamente sia più semplice non lo metto in dubbio, si tende a far andare via la fuga e a riprenderla col passare dei chilometri. Diciamo che almeno fino ad un certo punto è più prevedibile. Tra i dilettanti, si sa, spesso non ci sono tattiche e ci si ritrova a metà gara senza più energie. Però un conto è reggere il ritmo dei professionisti, un altro conto è batterli. Specialmente oggi: si trovano dei campioni anche nelle corse di secondo piano».

Tu sei stato quarto nella prima tappa della Coppi e Bartali e settimo nella prima frazione in linea dopo il prologo del Giro di Slovacchia. Bei risultati, no?

«Abbastanza, non lo nego, ma si torna a quello che dicevo poco fa. Andate a vedere chi c’era: alla Coppi e Bartali primo Mareczko e secondo Cavendish, subito dietro di me Hayter; allo Slovacchia quel giorno primo Hodeg e secondo Sagan. Ripeto, forse tra i professionisti è più semplice portare a termine certe gare perché il ritmo, pur essendo alto, è regolare. Ma vincere è un’altra storia, bisogna essere onesti».

Domanda banale, ma di rito: cosa chiedi alla nuova stagione?

«Non chiedo niente a nessuno, ormai sono al primo anno tra gli elite e prendo quel che viene. Non ho ancora chiesto quali gare farò, non fa differenza: dovunque andrò darò il massimo. Però di sperare non ho più voglia, son rimasto scottato già una volta. Magari durante l’anno cambierò idea, ma per il momento è così».