Il sacrificio di Porta: «Per mesi e mesi lontano dalla mia Sardegna per amore del ciclismo»

Gabriele Porta al Giro d'Italia di quest'anno: lo scalatore sardo ha deciso di appendere la bici al chiodo
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Chi ha avuto l’opportunità di correre per lui sostiene più o meno la stessa tesi: Matteo Provini è tanto duro ed esigente quanto appassionato e genuino. Ci sono corridori che per accettarlo impiegano mesi, altri che invece non ci sono mai riusciti. Alcuni non lo sopportano, ma devono ringraziarlo se hanno realizzato i loro sogni e hanno trovato un posto stabile nel professionismo. Dal canto suo, Provini sostiene spesso che i suoi corridori si lamentino troppo, che dovrebbero fare qualche sacrificio in più. E infatti le discussioni sono all’ordine del giorno. Succede così con tanti, praticamente con tutti. Tranne che con uno: Gabriele Porta. «So bene com’è fatto Provini – dice lui – Però io, comportandomi con onestà e trasparenza, da lui ho sempre ricevuto la stessa moneta. Andiamo d’accordo, ci capiamo, io rispetto lui e lui rispetta me».

Provini apprezza la tua propensione al sacrificio. Da Guspini, in Sardegna, ormai da anni ti sei trasferito al Nord.

«Fino all’anno scorso a Botticini, a due passi da Brescia, perché correvo con la Gallina. Da un anno circa, invece, ad Alseno, in provincia di Piacenza. E’ qui che la Petroli Firenze di Provini ha il ritiro. Dove mi trovo meglio? Forse dove sono adesso, ma è una sensazione: di là non mi mancava niente».

Per quanti mesi consecutivi rimani lontano da casa?

«Sono rimasto in ritiro da febbraio ad agosto, poi sono rientrato qualche settimana in Sardegna. Adesso mi trovo nuovamente ad Alseno, rientrerò a Guspini a stagione finita. E’ dura, ma è la vita che mi sono scelto io. Non c’erano alternative, non potevo sperare di diventare un corridore rimanendo in Sardegna».

Come passano le tue giornate?

«Lente e tutte uguali, ma è inevitabile. Finché pedalo non ci sono problemi, allenarsi da una parte o da un’altra non fa differenza. Per il resto, i momenti di noia non mancano. Faccio le pulizie, vado al supermercato, ogni tanto esco nei paesi limitrofi. Mi piacerebbe nuotare, ma vorrei farlo nel mio mare, non in una piscina coperta. E poi è meglio dedicarsi soltanto ad uno sport».

La speranza è poter contare su qualche compagno di squadra.

«Esatto. Succede spesso con Nencini. Siamo ottimi amici, ci conosciamo da quando correvamo negli juniores. Io militavo in una formazione sarda gemellata con la Fosco Bessi, della Toscana, e quindi cominciai a viaggiare per l’Italia. La famiglia di Nencini mi ospitava quando avevo bisogno e io, quando si creava l’occasione, ricambiavo il favore. E’ grazie a lui se ora corro con Provini».

In che senso?

«Alla Gallina mi sono trovato bene, ma dopo tre stagioni volevo cambiare aria. Così ne parlai con Nencini e lui mi disse che forse alla Petroli Firenze poteva esserci spazio per me. Non potevo prendere una decisione migliore. Provini abita a due passi dal ritiro, ci vediamo praticamente tutti i giorni e non mi sento mai realmente solo».

Col senno di poi ti sarebbe piaciuto conoscerlo prima?

«Sì, diventare un suo corridore nel 2021 e non quest’anno sarebbe stato ancora meglio. Ma nel 2020, dopo la prima ondata della pandemia, c’era molta incertezza e manifestare l’idea di voler cambiare squadra poteva significare rimanere a piedi: fino a prova contraria non si sapeva quante formazioni disponevano dei mezzi per ingaggiare dei nuovi corridori. Così sono rimasto per il terzo anno alla Gallina. Non aver raggiunto prima Provini è forse l’unico rimpianto che ho».

Gabriele Porta scala il Colle di Fauniera durante la sesta tappa del Giro d’Italia Under 23 2022

Come Nencini sei del 2000, alla quarta stagione tra gli Under 23. Se ti guardi indietro credi che ti manchi qualche risultato?

«Direi di no. Nel 2021 ho fatto quattordicesimo al Giro d’Italia e settimo al Veneto, quest’anno Amadori mi ha convocato in nazionale per il Valle d’Aosta. Sono un corridore regolare ma poco esplosivo, per togliermi qualche soddisfazione dovrei arrivare da solo. Ecco perché non sono mai riuscito a vincere tra i dilettanti».

Però in molti sottolineano la tua generosità.

«Questo mi fa piacere, è uno dei miei tratti distintivi. Se non mi sento al massimo, oppure se riconosco che in squadra c’è un corridore migliore di me, non ho problemi a mettermi a sua disposizione. Se c’è da faticare non mi tiro indietro, poco ma sicuro. E’ anche per questo che amo le salite».

Qual è la tua preferita?

«Lo Stelvio, che ho scalato per la prima volta nel 2019 durante un ritiro a Livigno. Al Giro di quest’anno mi sono tolto lo sfizio di affrontare anche il Fauniera: impressionante. Le salite sono emozionanti da affrontare in gara, ma allo stesso tempo non si ha mai l’occasione per godersele, sempre focalizzati come siamo sul risultato».

Quali sono i tuoi scalatori di riferimento?

«Da piccolo Basso e Contador, poi è arrivato Fabio Aru. Un idolo, senza mezzi termini: quanti corridori sardi si erano spinti così in alto? Nessuno, prima di lui. Ricordo ancora dov’ero quando a Montecampione raccolse la sua prima affermazione tra i professionisti: campionati regionali di mountain bike, corsa posticipata proprio perché tutti volevamo vedere la tappa del Giro d’Italia».

Gabriele Porta con la maglia della nazionale al Giro della Valle d’Aosta 2022

A proposito, quali sono le tue corse preferite?

«Avrei voluto vincere una tappa alla corsa rosa, ma purtroppo non ce l’ho fatta. E ormai non potrò più riprovarci, visto che dal prossimo anno sarò un elite. Delle corse professionistiche mi affascina la Strade Bianche: è suggestiva, malinconica, ha dei passaggi unici».

Come corridore ti sei descritto bene: solido, generoso, disposto al sacrificio. E come ragazzo, invece?

«Non saprei, dico sul serio. Passando così tanto tempo in ritiro, e avendo praticamente consacrato la mia vita al ciclismo, non ho una vera e propria routine. Mi mancano certe abitudini, certi rituali. Casa mia è in Sardegna e a volte non ci torno per sei mesi. Però tra un mese accadrà di nuovo. Mi godrò la mia famiglia, i miei amici, la mia terra. Col ciclismo in testa, ovviamente».