Dapporto verso il finale di stagione: «Ma la ferita dell’Avenir rimarrà per sempre»

Dapporto
Davide Dapporto della InEmiliaRomagna in allenamento (foto: Massimo Fulgenzi Photo)
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Da una cronosquadre, quella drammatica del Tour de l’Avenir, ad un’altra, quella del Giro del Friuli che lui definisce addirittura divertente (non a caso, visto che la sua InEmiliaRomagna è arrivata quarta). «Perché mai come in quell’occasione si è davvero un gruppo: si vince e si perde insieme, nessuno escluso». Davide Dapporto è rientrato a correre proprio nella gara a tappe friulana dopo il brusco ritiro dalla prova francese, che fino a quel momento lo aveva visto brillante protagonista specialmente nel finale della prima frazione in linea (la seconda, se si conteggia anche il prologo), quando insieme ad altri attaccanti era stato ripreso a pochi chilometri dall’arrivo de La Roche-sur-Yon. «Per riprendermi – racconta – ho impiegato qualche giorno. Avevo il morale a terra: io, che così tanto avevo faticato per guadagnarmi la maglia della nazionale, l’ho buttata via in questa maniera. Non si perdono otto minuti in quattordici chilometri, non ho scusanti. Anche se della caduta del giorno prima avrei fatto volentieri a meno…».

Andiamo con ordine, Davide.

«Le convocazioni per la Gand-Wevelgem e per il Tour de l’Avenir sono stati i momenti più belli della mia stagione. Una grandissima soddisfazione che mi sono dovuto guadagnare allenamento dopo allenamento. E in Francia stavo bene, molto bene: vincere a quei livelli è complicato, ma avevo la forma giusta per provare a giocarmela».

E infatti ti sei messo in mostra con intraprendenza. Poi, purtroppo, è arrivata la caduta.

«Sì, il giorno prima della cronosquadre, quindi nel corso della quarta tappa, quella vinta da Gloag. Eravamo su un rettilineo in leggera discesa, carreggiata larga, strada bagnata dalla pioggia. Andavamo a circa sessanta all’ora. Più o meno ero in quindicesima posizione. Poco più avanti di me è caduto qualcuno, io non potevo evitare l’impatto e sono rovinato a terra».

Qual è stato il tuo primo pensiero?

«Non mi pareva d’essermi fatto tanto male. Certo, le abrasioni sulla parte sinistra del corpo non mancavano, ma in quel momento non le sentivo eccessivamente, probabilmente a causa dell’adrenalina. In seguito, tuttavia, il dolore è aumentato. Di notte ho riposato poco e male, il giorno dopo non stavo bene».

La cronosquadre ti è stata fatale.

«Non saprei cosa potrebbe essermi successo. Io l’ho definito un blackout: le gambe non giravano, la testa mi remava contro, i dolori erano a tratti insostenibili. Andare fuori tempo massimo in questa maniera è stato quasi umiliante. Una ferita che non si rimarginerà mai. L’unica soluzione sarebbe tornare indietro e non far succedere niente, ma come si fa?».

Amadori e Coppolillo cosa ti hanno detto?

«Amadori ha giustamente strigliato sia me che Bruttomesso, ma quello che ci siamo detti è giusto che rimanga tra di noi. Coppolillo, invece, mi ha raccontato alcuni errori che ha commesso nel corso della sua carriera. Mi ha spiegato che se ne commettono tanti, anche se non si dovrebbe. Bisogna capire dove si è sbagliato, chiedere scusa se è il caso e cercare di imparare. Sarà banale, ma non c’è molto altro da aggiungere».

Da una cronosquadre ad un’altra: quella del Giro del Friuli, il tuo rientro alle corse dopo il ritiro dall’Avenir.

«Ricominciare con lo stesso esercizio nel quale sono stato bocciato è ciò di cui avevo bisogno. Non avevo particolari dubbi o paure, sono sincero, ma non si sa mai cosa accade nel nostro inconscio. Ormai, quando si parla di cronosquadre, la InEmiliaRomagna è una realtà. Infatti puntiamo alla vittoria del campionato italiano il primo ottobre».

Quale squadra temete di più?

«La Zalf si difende bene, ma credo che la favorita sia il Cycling Team Friuli, anche se in quell’occasione dovrà correre senza Miholjevic e Stockwell. Comunque non temiamo nessuno. Ci stiamo allenando insieme due o tre volte a settimana, i meccanismi sono sempre più efficienti e, come ho già detto, la specialità ci diverte».

Da chi sarà composto il quartetto che parteciperà al campionato italiano?

«Ansaloni, che sta recuperando bene dall’infortunio alla spalla. Montefiori, il nostro specialista. Collinelli, che sa come si spinge in pianura venendo dalla pista. E infine io, che mi difendo egregiamente».

Qual è l’aspetto più delicato da tenere sempre a mente?

«Uno non sa come stanno i suoi compagni. E’ necessario sapersi dosare e non cadere nella tentazione di esagerare se si sente la gamba piena. E’ un rischio concreto, ma a saltare ci vuole un attimo. Bisogna mantenere un ritmo costante che tenga conto della condizione di tutti i corridori coinvolti».

Se potessi scegliere una gara del finale di stagione, quale vorresti vincere?

«Il Piccolo Lombardia, senza dubbio. E’ la più bella e la più prestigiosa. Lo scorso anno partecipai con una selezione azzurra e andai anche in fuga. Diciamo che il percorso lo conosco e si addice alle mie caratteristiche. E’ quella che sogna di vincere anche Coppolillo? Ma lui non fa testo, vorrebbe vincere qualsiasi gara a cui partecipiamo…».

Guardando indietro al resto dell’anno hai qualche rimpianto?

«Mi sono piazzato in diverse occasioni, qualche successo non guastava. Il rimpianto più grosso risale alla terza tappa del Giro del Veneto. Ho impostato male la volata, mi sono fatto chiudere da Parisini e alla fine non ho più trovato lo spazio per rimontare. Però della mia crescita posso essere soddisfatto, non potendo contare sul talento di altri corridori».

E il prossimo anno sarai il faro della continental che state allestendo. Una responsabilità o un’opportunità?

«Entrambe. Coppolillo è stato chiaro: se avessi ricevuto delle offerte dal professionismo avrei fatto bene a firmare, ma questa eventualità non si è verificata e quindi il problema non si pone. La pressione c’è, non lo nego: spesso e volentieri sono io il corridore che deve provare a fare risultato e a salvare la giornata, mettiamola così. Ma devo ringraziare la squadra che, col passare del tempo, mi ha portato a saper gestire questa responsabilità».

Finalmente ti vedremo all’opera nelle classiche internazionali di primavera che tanto ti si addicono.

«Finalmente, esatto. Il mio rimpianto più grande in assoluto è quello di non aver mai partecipato a Piva, Belvedere e Recioto. Mi toglierò questo sfizio e non vedo l’ora. Sicuramente ci misureremo all’estero, d’altronde si migliora soltanto correndo coi migliori. Forse dovremo mettere in conto qualche risultato in meno, ma finché aumenta l’esperienza è tutto di guadagnato».

Non parteciperai al mondiale. Sei particolarmente deluso?

«Un pensierino ce l’avevo fatto, ma capisco le scelte di Amadori. Io le mie chance in azzurro le ho avute, tra Gand-Wevelgem e Avenir, e dovevo giocarmele meglio. In più, e specialmente su percorsi come quello australiano, in Italia la concorrenza è alta. Comunque rimango ottimista sul mio futuro: il prossimo anno parteciperò finalmente alle corse internazionali che tanto desideravo e i margini di crescita non mi mancano. Ho ancora qualche chilo da limare, ad esempio. Finché ci sono prospettive c’è speranza».