Frigo, addio Tour de l’Avenir: «Ho una frattura al polso e il morale a terra»

Marco Frigo in una foto d'archivio durante l'ultimo Giro della Valle d'Aosta, chiuso al quarto posto.
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Il giornalismo vuole che si dia subito la notizia, dura e cruda, per com’è. Eccola: Marco Frigo non parteciperà al Tour de l’Avenir. Era l’azzurro più esperto, quello con più esperienza internazionale, forse la strada lo avrebbe naturalmente eletto capitano per la classifica generale (lo scorso anno, da gregario di Zana, chiuse undicesimo a un minuto e mezzo dal decimo posto).

E così Marino Amadori ha perso i due corridori sul quale faceva più affidamento: prima di Frigo era toccato a Lorenzo Germani, il campione italiano degli Under 23. Entrambi si sono giocati la partecipazione alla corsa francese nell’incidente con la coppia di turisti tedeschi durante il ritiro in altura al Sestriere.

Marco, quale infortunio ti costringe a saltare l’Avenir?

«La frattura del terzo medio distale: stiamo parlando dello scafoide, quindi del polso. E siccome me ne sono accorto con due settimane di ritardo, mi è stata diagnosticata anche la pseudoartrosi».

La scorsa settimana eri alla Vuelta a Burgos coi professionisti: non sentivi dolore?

«Allora, io fin da subito ho sentito che nel polso c’era qualcosa che non andava. E anche in Spagna non ero sereno, come se un tarlo si fosse insidiato da qualche parte. Pur avendo centrato la fuga nell’ultima tappa, ultimo degli attaccanti ad esser stato ripreso, non me la sono goduta al massimo. Sentivo dolore, seppur non eccessivo, e non guidavo con naturalezza, specialmente nell’ultima ora di gara».

Marco Frigo in una foto d’archivio. Dopo due stagioni alla Seg Racing Academy, da quest’anno corre nella Israel Cycling Academy e dal 2023 passerà professionista nella rispettiva World Tour.

A quel punto hai deciso di fare degli accertamenti.

«Ne ho parlato con Amadori, dicendogli che il fastidio c’era ancora e che mi sarei fatto controllare. Mercoledì mattina, purtroppo, è arrivato l’unico responso che non avrei voluto sentire. Io ero sicuro che ci fosse qualcosa, ma non una frattura».

Cosa c’è nella tua testa in questi giorni?

«Un miscuglio di sensazioni. Un po’ di rabbia, perché fondamentalmente non sto male, non sono bloccato a letto o ingessato dalla testa ai piedi: per intenderci, se fossi una persona normale continuerei a fare più o meno la vita di tutti i giorni. E ovviamente tanto dispiacere: l’Avenir era uno degli obiettivi stagionali, nell’ultimo mese e mezzo ho pedalato pensando quasi esclusivamente a questo. Adesso mi sento a terra, come se ogni stilla d’energia m’avesse abbandonato».

Con quali ambizioni partivi?

«Avrei provato a misurarmi nella classifica generale. Come ho sempre detto, io sento d’essere adatto alle corse a tappe: ad ora quelle che non superano i dieci giorni, in futuro spero di diventare competitivo anche nei grandi giri. Non so dove sarei potuto arrivare, se tra i primi dieci o addirittura sul podio, ma le aspettative erano alte: al Valle d’Aosta, dopo diversi giorni senza gare, ero arrivato quarto. Ero molto motivato quando sono salito al Sestriere».

Siete andati a vedere anche il percorso delle ultime tre tappe. Che idea ti eri fatto?

«In larga parte conoscevo già quelle strade, avendole già affrontate in altre gare e anche all’Avenir dello scorso anno, come nel caso dell’Iseran. Mi piacevano tutte e tre, avevo già cominciato ad immaginarmele. Sono le giornate che piacciono a me: quelle lunghe e dure, dove servono resistenza e capacità di gestire le proprie energie, dove non basta saper andare forte in salita. Quelle giornate in cui c’è da rischiare il fondo del barile».

Marco Frigo, secondo da sinistra in una foto d’archivio, è stato fondamentale nella vittoria iridata di Baroncini ai mondiali di Leuven della passata stagione.

Quest’anno ti era già successo qualcosa di simile: fuori dal Giro a pochi giorni dalla partenza per un infortunio rimediato all’Appennino.

«Infatti mi sembra di rivivere quei momenti, ma con una grossa differenza: la delusione della mancata partecipazione al Giro mi ha forgiato. Non fraintendermi, il dispiacere attuale è enorme tanto quanto quello di due mesi fa, ma lo sto gestendo meglio. Purtroppo, tra gli Under 23, ho avuto qualche incidente di troppo e non è la prima volta che mi ritrovo in una situazione del genere. Ho capito in fretta che piangersi addosso, soffermarsi sui rimpianti e colpevolizzarsi per essermi mosso troppo tardi non serve a niente. Meglio guardare avanti, anche se adesso è davvero dura».

Stai già pensando al rientro?

«Sarò sincero, non ho la più pallida idea di cosa significhi operarsi allo scafoide. Non ho ancora una data per l’intervento, non so in cosa consiste la riabilitazione. Dovrò avere pazienza, questo è chiaro. Ragionando per supposizioni, potrei tornare in gruppo a metà settembre. In questi giorni approfitterò della sosta forzata per andare qualche giorno ad Asiago con la mia famiglia, la vacanza che facevamo sempre quand’ero piccolo. Forza e coraggio non mi mancano, mi consolo pensando che l’incidente avrebbe potuto avere delle conseguenze assai peggiori».