Elisabetta Borgia e la psicologia dello sport con la Trek-Segafredo

Elisabetta Borgia, psicologa dello sport ascolta Elisa Longo Borghini (foto: Trek-Segafredo)
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I canali ufficiali di Trek Bikes hanno scambiato due parole con Elisabetta Borgia, psicologa delle sport del team Trek-Segafredo. La bicicletta è stata al centro della sua vita per moltissimi anni. Ha praticato ciclismo a livello agonistico per 14 anni.

Ciao Elisabetta Borgia, partiamo dall’inizio. Ciò che gli appassionati vedono in tv sono atleti che pedalano per chilometri per vincere una gara, non si vede tutto ciò che avviene dietro le quinte: dagli allenamenti, all’alimentazione, e anche ciò che avviene nella testa dei corridori. A proposito di questo, ci spieghi in cosa consiste maggiormente il tuo lavoro?

Il mio è un lavoro che si svolge su tre livelli all’interno del sistema squadra: l’individuo, il gruppo e la struttura. In parole semplici, svolgo un ruolo di supporto per tutte le figure che operano all’interno del contesto Trek-Segafredo affinchè questa complessa “macchina”, di oltre cento persone, funzioni in maniera armoniosa.
L’individuo, in squadra, è per eccellenza il singolo atleta. Per ognuno cerco di aiutarlo a raggiungere l’obiettivo di massimizzare la performance, di migliorare e di avere consapevolezza nei suoi punti di forza. Il dialogo che intrattengo con loro mira a definire il punto di partenza, dove vuole arrivare e quali sono gli aspetti sui quali deve lavorare per arrivare agli appuntamenti che contano nel modo migliore.
Poi c’è da curare la dinamica di gruppo. Attraverso attività di team building per creare coesione e costruire quell’atmosfera in cui ognuno può esprimersi al massimo delle proprie potenzialità. Il terzo livello riguarda invece il supporto all’organizzazione della squadra, intesa come management e staff. Il nostro è un piccolo ecosistema nel quale, nel bene e o nel male, un qualsiasi elemento può condizionare il funzionamento generale.

La tua vicinanza ai corridori avviene in modo costante durante tutto l’arco dell’anno, o maggiormente in particolari momenti della stagione?

Il mio lavoro non è puntiforme, non si concentra sul momento, ma mira a costruire un processo, a creare un’alleanza. I ritiri pre-stagionali, in inverno, sono tra i più importanti. Lì si pongono le basi, si fissano gli obiettivi e il percorso di miglioramento che intendiamo intraprendere. I ritiri sono la miglior opportunità per parlare con calma, vis a vis. Con i nuovi atleti è il momento della prima conoscenza.

Quando la stagione parte, sono presente nei giorni precedenti gli appuntamenti clou. Sarebbe bello lavorare a fondo nel contesto gara, ma è assolutamente irrealistico. Il mio obiettivo pertanto è costruire un percorso che permetta all’atleta di affrontare l’evento clou nella migliore condizione. Cerchiamo di avere un rapporto costante durante l’anno con telefonate, video call o semplicemente messaggi audio. Il “segreto” per un il successo momentaneo sta nella capacità di rendere efficace il percorso che ti porta a quel giorno.

Quanto incide la vita privata sulle prestazioni di un atleta? E i corridori si confidano facilmente anche su ciò che non riguarda il proprio lavoro?

Dobbiamo partire dall’idea che un atleta è, innanzitutto, una persona ed è difficilissimo separare i due piani. Credo che questo valga per qualsiasi essere umano. Ci sono aspetti della vita privata che possono condizionare in maniera sensibile la vita da atleta. Spesso sulla bici portano problematiche che poco c’entrano con la loro professione. Una separazione, la nascita di un figlio o più semplicemente la difficoltà di stare lontano da casa per tanto tempo. Sta all’atleta gestire il livello di profondità e apertura che vogliono avere con me. Questo è il punto di partenza della nostra collaborazione. Io lavoro nell’ambito sportivo ma ho un background come psicologa clinica. Se, negli incontri, gli atleti vogliono parlare della loro sfera privata, sono bel lieta di offrire la mia esperienza e il mio punto di vista, ma non è mai una mia richiesta.

Elisabetta Borgia, lo stress e l’ansia sono elementi presenti con frequenza nella vita dei corridori?

Assolutamente sì, in primis ansia da prestazione, di dover mostrare e dimostrare il proprio valore. La costante che però ritrovo in tantissimi atleti, per non dire tutti, è l’alto livello di stress a cui sono sottoposti. Nel recente passato, agli atleti veniva chiesto “solo” di performare, di avere successo attraverso le prestazioni sportive. Ora non basta più, stiamo vivendo un momento storico nuovo. Agli atleti viene chiesto di essere personaggi pubblici, con tutto ciò che comporta in termini di esposizione. Per loro è sempre più difficile avere momenti off, di reale stacco e riposo. Sono iperstimolati da una serie di variabili che portano con sé un enorme carico di stress.
Credo che per figure come la mia, sarà sempre più frequente dedicarsi alla gestione di questo stress. E’ un fattore che logora gli atleti e che, nei peggiori dei casi, può portare a sindromi come il burnout, ovvero la completa perdita dell’energia psicofisica per affrontare le sfide sportive o, più banalmente, il turbinio della vita da atleta.