Tour de France 2022 / TOUR mon amour e la bella giornata di Froome, che (forse) ha trovato pace

Chris Froome alla partenza della nona tappa del Tour de France (foto: A.S.O./Pauline Ballet)
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TOUR mon amour è la rubrica di Bicisport sul Tour de France che racconta una storia, un personaggio, un frammento di ognuna delle ventuno tappe della Grande Boucle. Non necessariamente chi ha vinto o chi ha perso, ma chi ha rubato la nostra attenzione o il nostro sguardo anche solo per un attimo. Protagonista di oggi Chris Froome.


Per guadagnarsi un po’ di credito, simpatia e supporto, Chris Froome ha dovuto rischiare di morire. Tre anni fa, nella ricognizione della cronometro del Delfinato, si schiantò a 55 chilometri orari contro un muro, pare per colpa di una folata di vento (lui non aveva le mani sul volante poiché si stava soffiando il naso). Si fratturò femore, gomito, costole. Per non parlare dei danni interni: pare che Froome perse due litri di sangue.

Fino a quell’incidente, il Tour era la sua corsa e i tifosi non lo sopportavano. Gli dicevano dopato, sgraziato, noioso. Secondo nel 2012, terzo nel 2018 e in mezzo quattro vittorie e un ritiro (nel 2014, l’anno di Nibali). Dal botto in avanti, la sua pedalata affannosa e sbilenca è diventata un tratto caratteristico, quasi un difetto di cui aver compassione. Improvvisamente, tutti si sono resi conto della sua gentilezza, che a dire la verità non gli era mai mancata.

La rinascita di Chris Froome, un uomo innamorato del suo mestiere

“Troppo facile ritirarsi per colpa di un incidente”, dichiarava lo scorso anno. E invece, soltanto qualche settimana fa, si vociferava che fosse vicino alla decisione definitiva e irrimediabile. Lo aveva assalito la frustrazione, il vedersi staccato da corridori che fino a qualche anno fa non avrebbero potuto entrare a far parte nemmeno del suo peggior blocco. Da anni, come i matti, di tanto in tanto ripete che lui crede ancora di poter vincere il quinto Tour della sua carriera. E in tanti, proprio  come si fa coi matti, lo lasciavano ragionare e scuotevano la testa.

Chris Froome non conquisterà un altro Tour de France, ma intanto oggi è arrivato terzo sull’Alpe d’Huez: davanti a Powless (che l’altra settimana ha accarezzato la maglia gialla e che nel 2021 ha vinto a San Sebastian) e resistendo molto meglio di Ciccone, che all’ultimo Giro ha fatto sua una tappa d’alta montagna, quella di Cogne. È il primo piazzamento di prestigio che Froome porta a casa negli ultimi tre anni. Non è una rinascita, non si rinasce a 37 anni (Pidcock, che oggi ha fatto sventolare la bandiera del Regno Unito in cima all’Alpe d’Huez, ne ha 22). E sulla salita del mito a Froome non era mai andata benissimo: nel 2015 Quintana quasi lo detronizzò, nel 2018 vide scappar via il suo delfino Thomas.

Nel Tour dei giovani (Jakobsen, Vingegaard, Pogacar), Chris Froome ha parzialmente ritrovato il suo passato, lui che ha la faccia di uno che giovane non è mai stato. Qualcuno, adesso, si pentirà (ma i rimpianti non servono a nulla, vuol dire sentirsi intelligenti quando ormai è troppo tardi) e ripensando alle parole di Froome arriverà persino a dire che a volte i matti potranno pur avere ragione. Su questo non ci piove, ma non è il caso di Froome: che non è pazzo, ma soltanto enormemente innamorato del suo mestiere.