Morkov e i segreti dell’ultimo uomo: «Bisogna saper leggere gli sprint e avere feeling con i compagni. E quanti vantaggi grazie alla pista»

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Michael Morkov in una foto d'archivio al Giro di Polonia
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Quello dell’ultimo uomo è più di un semplice ruolo in corsa. Aprire la strada al velocista di riferimento è delicatissimo, un lavoro non adatto a tutti. Chi ha fatto del “pesce pilota” un’arte è Michael Morkov della QuickStep-AlphaVinyl, ancora preziosissimo a 36 anni per i suoi capitani.

Elia Viviani, Sam Bennett, Fabio Jakobsen e Mark Cavendish hanno avuto al loro fianco il miglior ultimo uomo di questi ultimi anni, potendo godere di una spinta in più negli arrivi in volata. Proprio Morkov, in una interessante intervista a Cyclingnews, ha parlato di questo importantissimo ruolo, spiegando difficoltà e segreti.

«Prima di tutto bisogna saper leggere gli sprint. La distanza giusta per lanciare la volata non è mai fissa. Serve conoscere il finale, la strada, la pendenza e la velocità del treno. Vedo che alcuni ultimi uomini alzano il gomito come a dire “ok, ecco fatto”. Quella è la cosa più sbagliata a mio avviso. Io, apripista, lancio il mio capitano al massimo della velocità, poi sarà lui a decidere quando partire. Alcuni ex velocisti comunque non capiscono come pilotare al meglio un corridore. Non è un ruolo che possono ricoprire tutti».

Un altro aspetto assolutamente da non sottovalutare è il feeling con il velocista. In delle situazioni c’è bisogno di più tempo per creare un rapporto di fiducia, in altre molto meno. «Con Viviani per esempio ci è voluto un po’, poi siamo entrati in sintonia e i risultati sono arrivati. Quando ha lasciato la squadra ero davvero dispiaciuto, perché era (ed è ancora) un mio caro amico. Dieci vittorie nel 2018 e altrettante nel 2019 non sono cosa da poco. Con Jakobsen invece abbiamo vinto alla prima gara disputata».

Con Viviani e con Cavendish, Morkov ha condiviso anche tante esperienze in pista. Il parquet dei velodromi insegna molto, come spiega lo stesso danese. «È una delle cose che ha funzionato maggiormente con Elia, e lo stesso con Mark adesso. Sanno bene come seguirmi, venendo dalla pista ci viene più semplice muoverci in gruppo. Un vantaggio importante rispetto a tutti gli altri».

Proprio in pista Morkov si è tolto le soddisfazioni più grandi. In coppia con Lasse Norman Hansen, il danese ha regalato al suo paese due splendide medaglie d’oro nella Madison, prima quella delle Olimpiadi di Tokyo, poi quella dei mondiali di Roubaix. «È stato un anno pazzesco. In primavera con Bennett e al Tour con Cavendish abbiamo vinto tantissimo. Poi i due ori. La madison è molto simile a uno sprint di gruppo perché richiede le stesse abilità. Quali? Pensare in anticipo, muoversi seguendo l’istinto, e trovare sempre una strada libera in mezzo al caos».

Riguardo la stagione che tra poco inizierà, Morkov ha pochi dubbi su quale dei due grandi Giri preferisce partecipare. Cavendish andrà al Giro, Jakobsen al Tour. Proprio la Grande Boucle partirà dalla “sua” Danimarca. «Spero di essere al via del Tour de France da Copenhagen. È un’opportunità irripetibile per me».