Van der Poel, futuro oscuro: «Nessun programma, prima la salute»

Mathieu Van der Poel in fase di defaticamento dopo la quarta tappa del Tour 2021, da Redon a Fougeres (foto: A.S.O./Pauline Ballet)
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Meglio fortunati che bravi, diceva Napoleone pensando ai generali che preferiva. Non aveva considerato però un’altra opzione: meglio bravi nel gestirsi e fortunati. Il periodo nefasto, in perfetto stile Waterloo per Mathieu Van der Poel, è destinato a continuare. E il futuro non è roseo, anzi si fa denso di nubi nere che lo vedono fuori anche dalle grandi Classiche di primavera. Maledetta schiena, la fotografia dell’ultimo periodo è un “elogio” alla frustrazione che oggi analizza Philip Roodhooft, il team manager dell’Alpecin-Fenix. Nessun programma all’orizzonte, inutile fare ipotesi. Conta la salute e la campagna del nord non è mai stata così a rischio.

Van der Poel, a rischio le Classiche di primavera. Roodhooft: «Il riposo è l’unico rimedio»

Philip Roodhoft, team manager dello squadrone belga, ha spiegato il quadro della situazione a Nieuwsblad: «Il riposo è l’unico rimedio. Non c’è bisogno di operazioni o infiltrazioni. Riposarsi non vuol necessariamente dire rimanere distesi sul divano, ma fare cose che non provocano dolore. Questa è una grande sfida per Mathieu, ma per ora non ha altra scelta».

Roodhoft ha poi proseguito: «Mathieu ha 27 anni ed ha ancora tanta strada da fare. L’obiettivo è quello di tornare in piena salute e non stiamo pensando al suo programma. Potrebbero essere le Strade Bianche, il Giro delle Fiandre, il Tour de France o il Lombardia. Nel frattempo cercheremo di raggiungere i migliori risultati possibili con gli altri corridori».

La presenza di Mathieu Van der Poel alle Classiche da marzo a seguire, è quindi in forte dubbio e la preparazione va studiata in ogni minimo dettaglio per evitare performance sottotono e deludenti: «Il Fiandre del 3 aprile sembra molto lontano, ma in realtà è dietro l’angolo. Per costruire la condizione hai bisogno di sette o otto settimane e, quindi, vedi che è molto vicino. Non vogliamo cominciare presto e fare diventare il dolore cronico. Questo è per l’atleta, ma anche per la persona, che ci auguriamo abbia una lunga vita davanti a se».