Bardelli (Franco Ballerini): «Aspetto Scinto in ammiraglia e tifo per i Reverberi: la Federazione riveda le vecchie regole»

Franco Ballerini
I ragazzi della Franco Ballerini con Andrea Bardelli (quarto da sinistra)
Tempo di lettura: 5 minuti

Quindici atleti (due stranieri, il canadese Leonard e lo slovacco Sivok), la collaborazione con la realtà ligure della Nuova Ciclistica Arma di Taggia e l’allestimento di una formazione di allievi: dopo un 2021 di altissimo profilo, la Franco Ballerini si candida ad essere nuovamente uno dei riferimenti tra gli juniores.

«Non poteva essere altrimenti – spiega lo storico diesse, Andrea Bardellivisto quanto fatto la passata stagione. Credo di poter affermare che questo gruppo è il più forte che io abbia mai avuto in oltre vent’anni d’attività. Forse ci manca il grande talento alla Svrcek (lo slovacco che correrà tra gli Under 23 con la Biesse Carrera prima di approdare alla Quick Step), ma complessivamente non posso proprio lamentarmi».

Come sempre, Andrea, andrete a correre anche all’estero.

«La volontà è quella, abbiamo già ricevuto inviti dalla Kuurne-Bruxelles-Kuurne e dal Giro delle Fiandre, senza dimenticare che ormai siamo una presenza fissa alla Parigi-Roubaix. Però resta da sciogliere il nodo sanitario: adesso è complicato parlare di viaggi e di trasferte, dobbiamo aspettare di capire come evolverà la situazione».

Quindi, almeno per adesso, non avete in programma ritiri né un periodo da passare tutti insieme in attesa che cominci la stagione.

«No, anche se ad onor del vero il budget di cui disponiamo abbiamo sempre preferito spenderlo appunto per andare a correre all’estero qualche volta all’anno. Io ho fatto il direttore sportivo in tutte le categorie, dilettantismo e professionismo compresi: da un certo punto in poi si è più soli che accompagnati, bisogna sapersi gestire e organizzare da soli. E questo i ragazzi non possono capirlo se qualcuno non glielo spiega». 

Da questo punto di vista la presenza di Luca Scinto, che ha sempre seguito da vicino la squadra, potrebbe essere fondamentale.

«Lui e Franco Ballerini sono sempre stati i miei riferimenti. A me piace definirli maestri. Con Luca, e così era con Franco, c’è un rapporto bellissimo, di amicizia, rispetto e stima. Non c’è ancora nessuna ufficialità, ma io sto facendo il possibile per convincerlo ad affiancarmi in ammiraglia. A lui lavorare coi giovani è sempre piaciuto e per loro sarebbe preziosissimo». 

A proposito di giovani, ultimamente se ne sta parlando tanto visto quello che sta succedendo nella Bardiani. Come valuti il loro progetto?

«Se devo essere sincero mi sembra valido. Conosco tutte le persone coinvolte, soprattutto Rossato e Amoriello, e mi danno fiducia. Non capisco tutta questa ostilità da parte delle formazioni dilettantistiche e continental. Secondo me sbagliano a vedere il demonio nella Bardiani. Dobbiamo capire che in Italia ci sono pochissime realtà professionistiche, siamo vicini allo zero. E non possiamo permetterci di affondare qualsiasi progetto».

Perché, secondo te, il progetto dei Reverberi non convince e addirittura spaventa alcuni addetti ai lavori?

«Io non sono nessuno per dirti adesso se andrà o meno a buon fine. Bisogna aver pazienza, cosa che non hanno tanti miei colleghi. Io credo che il problema del ciclismo italiano, anzi, di una parte del ciclismo italiano, sia quello di non parlare in termini di movimento: ma di squadra, di categoria, di regione». 

Spiegati meglio.

«Ma io dico: gli sbocchi per juniores e dilettanti sono sempre meno, quest’anno ha chiuso anche la Vini Zabù, c’è una realtà interamente italiana come quella dei Reverberi che prova a fare qualcosa di diverso, e noi cosa facciamo? Gli spezziamo le gambe tra dicembre e gennaio. Non possiamo permettercelo, non possiamo fare gli schizzinosi. Diamogli fiducia, tifiamo per loro e poi tireremo le somme».

Da quello che dici non dovrebbe averti stupito il coinvolgimento di due juniores come Pinarello e Pellizzari.

«A costo di inimicarmi diverse persone voglio dire quel che penso: a me dispiace per questi due ragazzi perché sono finiti in mezzo ad una storia più grande di loro. Non vorrei che qualcuno li avesse usati come capri espiatori per provare a cambiare la regola, questo articolo tre di cui si parla tanto».

I ragazzi della Franco Ballerini al velodromo di Roubaix dopo la gara juniores

A chi ti riferisci?

«Io coi procuratori non sono mai andato tanto d’accordo, è inutile negarlo. Io dico che tanto i Reverberi quanto i procuratori di questi due ragazzi erano a conoscenza della regola: e allora perché si sono mossi ugualmente in questa maniera? Secondo me per provare a forzarla, per tentare di stanare la Federazione».

Che adesso dovrà fare qualcosa, visto il polverone che è stato alzato.

«Allora, che si liberalizzi tutto non mi piace, il rischio rimane quello di valorizzare cinque talenti e di perderne cento. Allo stesso tempo, tuttavia, è innegabile che il ciclismo italiano è prigioniero di regole e vincoli vecchi e insensati che fanno passare la voglia di darsi da fare. Che si parli di tesseramento, di punteggi o di continental non fa differenza: c’è troppa confusione».

Ma nel caso specifico Pinarello e Pellizzari hanno fatto bene ad accettare l’offerta della Bardiani?

«Ritorno a quello che dicevo prima. Poche realtà professionistiche, poche possibilità di realizzare il proprio sogno, loro due hanno talento ed entrano a far parte di un ambiente competente: perché dovrebbero rifiutare, dico io? Soltanto l’Italia ha una regola del genere, siamo sempre noi a muoverci diversamente. La categoria degli juniores è la prima internazionale: e allora perché non ci rifacciamo a quello che dice l’Uci?»

La paura di molti addetti ai lavori è che stiano facendo il passo più lungo della gamba.

«Ma con la paura non si va da nessuna parte, allora non si dovrebbe mai far niente. A noi italiani non piace il cambiamento, vorremmo che tutto rimanesse com’è sempre stato, più volentieri sbagliato che nuovo. Tanta gente parla come se i Reverberi non capissero niente di ciclismo, come se i team manager si divertissero a prendere dei talenti per poi bruciarli. Quando invece sono loro i primi a volerli far crescere nella maniera giusta. E poi faranno gare valide tra gli Under 23, non li portano mica al Giro d’Italia dei professionisti».

Prima hai ribadito la tua scarsa fiducia nei procuratori. A cos’è dovuta?

«Come in tutti i settori ci sarà anche chi lavora bene, non lo metto in dubbio, ma di furbi ne ho conosciuti troppi. E’ qui che la Federazione dovrebbe intervenire in qualche modo, non impedire che Pinarello e Pellizzari vadano tra i professionisti. Si dice sempre che ognuno fa il suo lavoro. Ecco, secondo me il problema è proprio questo: per un procuratore opportunista “fare il suo lavoro” significa scendere sempre più in basso, oggi tra gli juniores e domani fra gli allievi, e spedire il proprio assistito più in alto che può. E chi se ne frega se ancora non è maturo».

Voi lavorate a stretto contatto anche con l’estero. Funziona così anche fuori dall’Italia?

«No, o perlomeno in maniera molto meno aggressiva. Anzi, noi andiamo ad attingere all’estero per evitare di discutere con figure del genere. E comunque lasciami dire questo: nonostante tutte le nostre stranezze e difficoltà, all’estero ci vedono ancora come dei maestri. Sognano di venire a correre da noi, non c’è nessuno che ha un movimento giovanile vario e organizzato come il nostro. Non chiudiamoci, non ci isoliamo: altrimenti rischiamo grosso».