AMARCORD/80 Saronni iridato: il mondo a bocca aperta per la “fucilata di Goodwood”

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Quello scatto quasi inumano lo si è raccontato tante volte, cercando parole e definizioni adeguate. La più felice germinò a caldo in sala stampa, tanto che il giorno dopo, sul Corriere della Sera, a firma di Fulvio Astori, si leggeva: «Alla destra dei due, come una fucilata, scatta Saronni con un rapportone incredibile. Sembra un sasso lanciato da una fionda».

“La fucilata di Goodwood”, dal nome del circuito inglese che ospitò il mondiale il 5 settembre 1982, è legittimamente considerata uno dei brani di ciclismo più spettacolari di sempre. «Anch’io non so perché quello scatto riuscì così bene», dirà qualche anno dopo lo stesso Saronni, comunque uno degli scattisti più forti della sua epoca.

Sulla soglia dei 25 anni, aveva già un palmares da grande corridore. Alla prova iridata si presentò accompagnato da una ventina di vittorie stagionali e da pensieri oscuri. In testa gli ballavano ancora i fantasmi di Praga, dove un anno prima Freddy Maertens gli aveva soffiato il mondiale negli ultimi metri. Il ct Martini era rimasto di stucco vedendolo affrontare la volata con le mani alte sul manubrio, lui però addebitava la sconfitta allo scarso aiuto ricevuto dalla squadra.

L’ombra di Praga calò sul ritiro azzurro e i primi giorni passarono in una atmosfera da tregua armata e silenziosa. Poi Martini fece la scelta più delicata, affidando a Saronni i gradi di capitano e delegando Moser, che non viveva il suo miglior pericolo, a un ruolo chiave ma subalterno, quello di scorta negli ultimi chilometri. Baronchelli, Contini, Gavazzi e il giovane Argentin erano le possibili alternative al piano A.

Gli azzurri, un blocco unico. Moser “gregario” a cinque stelle

Lo spauracchio principale era Bernard Hinault, reduce dalla doppietta Giro-Tour. Nessuna preoccupazione destava invece il campione in carica, Maertens, che a Praga aveva celebrato il suo canto del cigno.

L’azzurro classico della maglia dei nostri ricordava quello della squadra di Bearzot, che due mesi prima aveva vinto i mondiali di calcio in Spagna dimostrando un’anima di ferro. Spirito analogo animò quel giorno gli uomini di Martini, uniti dal primo all’ultimo chilometro, a partire da un gruppetto di oscuri e impagabili lavoratori come Masciarelli, Leali, Ceruti e Chinetti, capaci di tenere al coperto i pezzi grossi, cucendo e ricucendo senza sosta.

Il primo colpo di scena arrivò dopo 12 dei 18 giri previsti, quando Hinault scese di bici e tornò in albergo, rafforzando ulteriormente le chance azzurre. In vista del gran finale rimasero in testa 35 uomini, tra cui ancora 5 italiani: Saronni, Moser, Gavazzi, Baronchelli e un gigantesco Chinetti. Che Saronni fosse in stato di grazia era piuttosto chiaro: «Mai visto niente di simile in vita mia – dirà Gavazzi sul traguardo – Rimontava i corridori guardandoli in faccia, andando a doppia velocità. Incredibile».

La salita di due chilometri che portava al traguardo era un ulteriore elemento a suo favore. Secondo Martini «sembrava disegnata appositamente sulle caratteristiche di Saronni». Uno scatto di Lejarreta a tre chilometri dalla fine gettò però l’allarme tra i nostri, anche perché alla ruota dello spagnolo si pose l’americano Boyer, che ebbe anche la forza di rilanciare e proseguire da solo.

Moser fece quello che Martini si aspettava, pilotando Saronni fino a 700 metri dallo striscione. Poi gettò uno sguardo muto al rivale di sempre, come dire «adesso tocca a te». Non c’era più un secondo da perdere: Boyer si avvicinava alla meta e sulle sue tracce s’erano messi clienti temibili come Kelly e il giovane Lemond.

Una scatto inaudito: Lemond l’ultimo a cedere

Il resto è storia, da vedere e rivedere nelle immagini televsive. Si scorge Boyer che arranca e Lemond che, fregandosene delle ragioni di bandiera, gli riporta sotto gli altri. E proprio mentre Lemond raggiunge il compagno, alla sua destra passa un proiettile azzurro, a velocità inaudita malgrado la pendenza. Il saluto di Saronni è uno sguardo all’indietro, quasi noncurante, verso i due americani, prima di volare definitivamente via.

Le foto dell’arrivo ritraggono l’azzurro a braccia alzate e gli avversari in lontananza. Sembra una fuga ben riuscita, non un frutto maturato in appena tre-quattrocento metri. La “fucilata” era appena entrata nella storia.

Nel numero di ottobre, uscito qualche settimana dopo, Bicisport entrò nelle pieghe del magnifico sodalizio tra Saronni e Colnago, facendosi raccontare dal costruttore la nascita della Colnago Mexico 1982 di colore rosso, cavalcata a Goodwood dal neo campione del mondo. Come altre creazioni dell’artigiano di Cambiago, nel corso del tempo è diventata un oggetto di culto.