La morte di Adorni / Mondiali a Imola, nel 1968 la fuga infinita. Dietro di lui, trionfo azzurro

Vittorio Adorni vince il Mondiale 1968. L'ultimo italiano a riuscirci era stato Baldini, dieci anni prima.
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Cinquantaquattro anni fa, sul circuito di Imola, Vittorio Adorni fu protagonista di un’impresa straordinaria: una fuga di 200 chilometri, di cui 80 in perfetta solitudine. Fu un trionfo individuale, completato da una eccezionale prestazione collettiva, con cinque azzurri nelle prime sei piazze. Oltre ad Adorni, arrivarono dal 3° al 6° posto Dancelli, Bitossi, Taccone e Gimondi. Ecco cosa accadde quel giorno.

Il tema della corsa era già bell’e pronto alla vigilia: Merckx contro Gimondi. Il più forte di tutti contro l’unico in grado di stargli dietro. Una lotta titanica che sui giornali, sportivi e non, occupava pagine intere.

Teatro prescelto per la sfida iridata era il circuito di Imola: 18 giri di 15,4 km, per un totale di ben 277 chilometri, con un ragguardevole dislivello di 5300 metri. Su un tracciato del genere non potevano che emergere i migliori, e quindi vada per Gimondi-Merckx. 

Era il 1968, anno di rivoluzioni culturali e fermenti giovanili. Anche i corridori volevano uscire dagli stereotipi del “ciao mamma” e prendere coscienza dei diritti connessi al mestiere. Proprio a due giorni dal mondiale, organizzarono a Faenza un’assemblea internazionale per condividere richieste e rivendicazioni. Al tavolo della presidenza, sedeva come segretario Vittorio Adorni, mente fra le più lucide del gruppo, il quale chiuse la riunione con un auspicio ecumenico riferito al mondiale: «Auguro a tutti una buona corsa, e che vinca il migliore».

Folla oceanica: sul circuito 250 mila persone

E il migliore, di sicuro, non poteva essere lui. Un po’ perché a 30 anni era già considerato vecchio (a quei tempi succedeva), un po’ perché era parso ormai lontano dalla bicicletta, preso da impegni televisivi, lucrosi contratti come attore di Carosello e da una avviatissima agenzia di assicurazioni.

Per giunta, malgrado i successi passati, non era neanche più tanto amato dalla gente. Al Giro di qualche mese prima lo avevano inondato di fischi e insulti e bollato come traditore per aver contribuito alla vittoria di Eddy Merckx, suo capitano nella Faema, anteponendo le logiche aziendali agli interessi nazionali. Fu peraltro un gregario di lusso peraltro, perché se il belga vinse nettamente, lui si piazzò sul secondo gradino del podio, relegando al terzo proprio Gimondi.

Il mondiale di Imola si corse il 1° settembre, fra umidi colpi di vento che via via mutarono in sole caldo e cielo sereno. Sulle collinette sparse lungo il tracciato si radunò una folla oceanica: 120 mila paganti, altrettanti imbucati, in un festival di tortellini e grigliate.

La squadra azzurra selezionata dal tecnico laziale Mario Ricci era di altissimo livello. Oltre a Gimondi e Adorni c’erano Bitossi, Dancelli, Motta, Balmamion e Taccone. Gli unici gregari veri erano Colombo, De Prà e Carletto.

Nelle previsioni della stampa, la prova iridata di Imola si sarebbe risolta in un duello Merckx-Gimondi.

Via subito Adorni e Van Looy, Merckx nella morsa azzurra

Ed è proprio Lino Carletto, uomo di Gimondi, ad accendere la miccia, dopo cinquanta chilometri di corsa. Un cenno del capitano, e Carletto parte. Alle sue spalle si portano in sette. C’è Adorni, a cui Ricci ha detto di muovere un po’ le acque nella parte iniziale, e c’è nientemeno che Rik Van Looy, l’Imperatore di Herentals, uno dei corridori più vincenti della storia. A 34 anni è in fase calante, ma ha classe e carisma infiniti. È belga come Merckx, ma tra il giovane leone e il vecchio tiranno non c’è alcun feeling. 

I sette riprendono Carletto e continuano, ma siccome al traguardo manca una vita, il gruppo li snobba, fino ad accusare un ritardo di quasi 8 minuti. Dopo 150 chilometri i fuggitivi restano in quattro: Van Looy, Adorni, Carletto e il portoghese Agostinho. La situazione pare compromessa, perché dietro si è mossa una fuga a cui partecipano Bitossi e Colombo, e lo stesso gruppo sta recuperando. Perché gli italiani inseguono Adorni? «Volevo una soluzione alternativa», spiegherà Ricci al traguardo.

I quattro però hanno gambe e convinzione. Piano piano riprendono a guadagnare. Il manipolo di Bitossi si spegne, in gruppo Merckx comincia ad agitarsi, ma ogni volta gli azzurri gli saltano sulla ruota: ora Gimondi, ora Dancelli, ora Taccone. Il nobile trio francese, AimarPoulidorAnquetil, non batte ciglio.

Anche nel 1968, così come avverrà il 27 settembre, Imola propose un circuito impegnativo: qui Adorni in un tratto di salita.

La “pazzia” di Adorni: 80 chilometri di solitudine

Vuoi vedere che i quattro arrivano fino in fondo? Già, ma il problema di Adorni è che portarsi al traguardo Van Looy equivale a sconfitta sicura. Preoccupato, Ricci affianca con l’ammiraglia il corridore per decidere il da farsi, ma Adorni lo placa in un attimo: «Stia tranquillo, io questo lo stacco»

Così è: al 13° giro, sulla salita di Frassineto, l’azzurro cambia passo, Van Looy rimane sui pedali. Mancano 80 chilometri di solitudine, sembra una follia. Ma Adorni è in stato di grazia e, dietro, Merckx vive una delle sue rare giornate opache. A 50 dalla fine, il vantaggio sale oltre gli otto minuti, ai meno 15 supera addirittura i dieci. 

L’ultimo giro è per Adorni una passerella trionfale, con la maglia iridata già virtualmente sulle spalle. Dietro, il belga Van Springel fugge nel finale e va a prendersi il secondo posto, con 9’51” di ritardo. Il gruppo dei migliori, a 10’18” viene regolato da uno sprint tutto azzurro: Dancelli, Bitossi, Taccone e Gimondi nell’ordine. Merckx, campione l’anno precedente, deve accontentarsi dell’ottava piazza.

Adorni sul podio: il titolo mondiale andò ad aggiungersi al Giro d’Italia vinto nel 1965.

Trionfo e qualche veleno: la “benedizione” di Merckx

Nel dopo corsa, il trionfatore fonde lacrime e orgoglio: «È stata la più bella pazzia della mia carriera. Volevo dimostrare di essere ancora un corridore vero». Qualcuno proverà a rovinargli la festa, ipotizzando un’alleanza con Merckx sotto le insegne della Faema («Adorni campione del mondo con la benedizione di Merckx», titolerà l’Equipe) e lui, il giorno dopo, nella sua Parma, taglierà corto: «Nessun campione vero ha mai regalato ad altri quanto può avere per sé». Il belga invece spiegherà la sconfitta in chiave tattica: «Mi ha penalizzato la fuga di Van Looy, non potevo certo inseguirlo. Poi, quando è stato staccato da Adorni, era troppo tardi».

Veleni e sospetti si dileguarono presto. Quello che resta è una cavalcata solitaria entrata ormai nella leggenda del ciclismo, benché favorita anche dal particolare sviluppo della corsa. Valga la chiosa della vecchia volpe Guillaume Driessens, tecnico fra i più influenti dell’epoca: «Gli italiani hanno aiutato Adorni a vincere, i belgi Merckx a perdere».