Garofoli torna in Italia: «Vivere un anno in Olanda è stato bello, ma l’ambiente della Dsm è ostico»

Garofoli
Gianmarco Garofoli ai Campionati europei di Trento nel 2021
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Gianmarco Garofoli non può proprio lamentarsi della sua prima stagione tra gli Under 23: ha partecipato a Piva e Belvedere, ha portato a termine il Giro d’Italia e il Tour de l’Avenir, è stato convocato da Marino Amadori per gli europei, unico italiano al via della Liegi-Bastogne-Liegi Espoirs. Ha corso persino coi professionisti, a Le Samyn e al Tour de l’Ain: non le ha concluse, ma l’esperienza rimane comunque.

E hai anche vinto una splendida tappa al Valle d’Aosta, Gianmarco.

«La miglior settimana della mia stagione. Nella prima e nell’ultima tappa sono rimasto coi migliori, nella seconda mi sono inventato un’azione da campione. Una faticaccia, all’arrivo ero stremato, ma quando ti riescono imprese del genere non c’è stanchezza che tenga».

Alla fine hai anche chiuso al secondo posto della classifica generale.

«Erano soltanto tre giorni, è vero, ma durissimi. Una bella dimostrazione di forza e resistenza contro avversari di primo piano: Thompson della Groupama-Fdj, Verre della Colpack che passa professionista con l’Arkéa Samsic, stesso discorso per El Gouzi alla Bardiani ed Hellemose alla Trek».

E’ stata la vittoria della consapevolezza?

«Assolutamente sì. Sapevo di essere un bel corridore, soprattutto in prospettiva, ma in quei giorni ho capito di poter vincere fin da subito. E’ stata una bellissima sensazione».

Garofoli, ti senti un corridore da corse a tappe?

«Sì, l’ho sempre detto, Pantani ha lasciato in me un segno indelebile e fortunatamente sono nato con questo talento: quello d’andare bene in salita. Non a caso i miei due obiettivi per il prossimo anno sono il Giro d’Italia e il Tour de l’Avenir, le due corse a tappe più dure e prestigiose della categoria».

Come ti preparerai?

«Per il momento non chiedetemelo, sono sulla spiaggia di Tenerife e non ho nessuna intenzione di pensarci. E’ stata una stagione lunga e impegnativa, ho bisogno di allontanarmi completamente dal ciclismo per qualche settimana».

Quando ricomincerai ad allenarti?

«Sono fermo da una quindicina di giorni, tra altrettanti ricomincerò. Bicicletta e palestra, finché verso febbraio o marzo non ripartirà il calendario delle gare».

Per continuare la tua rincorsa al professionismo hai scelto di tornare in Italia. Di te si dice che sarai uno dei capitani della Astana Development la cui nascita dovrebbe essere ufficializzata a breve.

«Tornerò a correre in Italia, lo confermo. Non voglio dire di più, per una questione di rispetto nei confronti delle squadre lascio che siano i comunicati ad ufficializzare il tutto. Però non vedo l’ora di ricominciare».

Quanto ha influito sulla tua decisione l’ambiente della Dsm? Sono tanti, ormai, i corridori che hanno preferito rescindere il loro contratto con la formazione olandese.

«Per me questa stagione è stata fondamentale, me la porterò dentro per sempre. Sono cresciuto come corridore e come persona, d’altronde non poteva essere altrimenti. Vivendo da solo in Olanda ho dovuto provvedere a me stesso: preparandomi pranzo e cena, facendo la lavatrice, pulendo. E ho affinato il mio inglese, a cui tengo molto».

Garofoli, e allora perché hai preso questa decisione?

«Perché per un ragazzo italiano, o almeno per me, l’ambiente della Dsm è ostile. Attenzione, sono molto professionali e funziona tutto a meraviglia. Però sento che non siamo pienamente compatibili. Diciamo che si scontrano due culture ciclistiche completamente diverse».

Qual è la tua?

«Quella italiana, quella latina, quella classica. Siamo la storia del ciclismo, abbiamo storia, tradizione, passione e competenza. Si può imparare da tutti, per l’amor di dio, ma a cultura ciclistica secondo me non ci batte nessuno».

E la loro, invece, qual è?

«Nella formazione giovanile della Dsm, probabilmente perché è la formazione satellite di una squadra World Tour, sembra di stare a tutti gli effetti nel professionismo. E’ tutto molto rigido, schematico e ingessato. Le gerarchie sembrano scolpite nel marmo e bisogna attenersi a quello che dicono e decidono loro».

E a te questo non va bene.

«L’ho accettato per quest’anno perché sono giovane e ho reputato giusto apprendere un certo modo di fare questo mestiere. Però, adesso che sono entrato in certi meccanismi e mi sento in grado di gestirmi da solo, li trovo eccessivi. Loro interpretano il ciclismo come un lavoro, io come la mia più grande passione».

Che non vuol dire non comportarsi in maniera professionale.

«Con tutto il rispetto, io vivo per il ciclismo ogni giorno della mia vita, anche adesso che sono in vacanza. Si tratta di interpretare questo sport in due maniere diverse: gli allenamenti, la preparazione, la gara. Li ringrazio davvero per l’esperienza che mi hanno permesso di fare, ma ho bisogno di cambiare».