AMARCORD/69 Moser, nel 1983 l’ennesima Roubaix da leone, ma Kuiper trionfò da fuoriclasse

Tempo di lettura: 2 minuti

«Avessi avuto le gambe di qualche anno fa, Kuiper non mi avrebbe staccato. Invece le cose stanno in questo modo. Ma non mi lamento della fatica, questo è il mestiere che ho scelto». Un Moser “crepuscolare” commentava così la sua decima Parigi-Roubaix, il 10 aprile 1983, alimentando attorno a sé l’atmosfera di malinconica grandezza che lo circondava da qualche tempo.

Non aveva ancora 33 anni, ma i colpi a vuoto del suo poderoso motore sembravano annunciargli il declino, accentuato dalle vittorie del rivale Saronni, campione del mondo in carica, giunto proprio in quel periodo all’apice della carriera.

Se c’era una corsa che poteva rinverdirne la gloria, quella era la Roubaix, che aveva vinto per tre volte, dal 1978 al 1980, mettendo in castigo giganti come Roger De Vlaeminck, allora l’unico nella storia a poter vantare quattro successi nella regina delle classiche.

Così, Moser decise quel giorno di prendere di petto la corsa, scatenando la bagarre a 110 chilometri dal velodromo e volando sui tratti in pavé, coperti come di prammatica da una patina di fango viscido. Con lui rimasero solo in quattro: Hennie Kuiper, trentaquattrenne olandese, già vincitore di un Fiandre e a caccia della Roubaix da sempre; Gilbert Duclos-Lassalle, francese ventottenne, futuro doppio vincitore; l’altro francese Marc Madiot, il più giovane con i suoi 24 anni, anche lui destinato a due trionfi sulle pietre. Infine, il belga trentenne Ronan De Meyer, gregario (da non confondere con il più noto Marc Demeyer) alla ricerca del colpo della vita.

Sul Carrefour de l’Arbre il “lento” show di Kuiper

Per tutti gli altri calò il sipario, tanto che su 193 partenti arrivarono fino in fondo solo in 32. A 17 chilometri dalla fine, Moser sembrò avere la vittoria a portata di mano, quando Kuiper scivolò sul pavé. Il trentino tirò dritto, portando in scia Duclos-Lassalle. Il quale fece quello che avrebbe fatto dieci anni dopo con Ballerini: restò a ruota. Così, prima rientrarono De Meyer e Madiot, poi, dopo qualche minuto, si riagganciò anche Kuiper.

L’olandese prese fiato e si preparò all’attacco che aveva preparato alla vigilia. Luogo deputato, il terribile Carrefour de l’Arbre, due chilometri di pavé in gran parte in salita, leggera ma sufficiente a vincere o perdere la Roubaix. Quello di Kuiper fu un forcing a rilascio lento ma inesorabile. Mentre lui aumentava i giri, gli altri si staccavano, rientravano soffrendo e si staccavano di nuovo.

L’olandese più forte della sfortuna: rompe la bici e riparte

Moser organizzò l’inseguimento, con alla ruota, manco a dirlo, Duclos-Lassalle. Per qualche centinaio di metri Kuiper rimase là come un miraggio, assolutamente a tiro, poi allungò ancora e andò via. Vinse, malgrado la totale assenza di fortuna: a sei chilometri dal velodromo, su un altro tratto in pavé, allargò in curva alla ricerca di una traiettoria meno sconnessa, trovandosi in faccia uno spettatore intento a fotografare il passaggio. Riuscì ad evitarlo ma piombò in una buca coperta di acqua, rompendo la ruota posteriore.

Tutto si consumò in 25 secondi: poi, dopo l’intervento dell’ammiraglia, Kuiper ripartì con una bici nuova, conservando 17 secondi di vantaggio sul quartetto di inseguitori, ormai al lumicino. Tanto che il distacco lievitò di nuovo, fino a superare il minuto. Moser provò a sprintare per il secondo posto ma si arrese a Duclos-Lassalle, uscito dalle ruote solo per guadagnarsi la piazza d’onore.

«Avessi avuto le gambe di qualche anno fa…». Neanche lui poteva immaginare che di lì a pochi mesi le avrebbe riavute. Il 1984 che ne doveva decretare il definitivo tramonto, gli avrebbe regalato in sei mesi un filotto imperiale: record dell’Ora, Milano-Sanremo e Giro d’Italia.