GIRO D’ITALIA U23 / Un giorno col Cycling Team Friuli in fuga con Petrelli

Giro d'Italia U23
L'ammiraglia del Cycling team Friuli al Giro d'Italia U23
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Dall’ammiraglia numero 27 del Cycling Team Friuli, di Giro d’Italia se ne vede assai poco. Lo si intuisce dal pubblico a bordo strada, copioso, e dal colore predominante delle scritte, dei festoni e dei palloncini. Visti, nell’ordine: due travestiti da polli per pubblicizzare una sagra estiva, svariate famiglie e gruppi di bambini, un anziano imperturbabile seduto a petto nudo sotto la pioggia, una tifosa colombiana bagnata fradicia, una donna minuta intenta a suonare un campanaccio più grande di lei.

Ma Andrea Fusaz, il direttore sportivo di riferimento del Cycling Team Friuli al Giro, non ha tutto questo tempo per guardarsi intorno. Subito dopo la partenza della settima tappa, la Sondrio-Lago di Campo Moro, in fuga c’è uno dei suoi ragazzi più promettenti: Gabriele Petrelli. «Affinché la fuga arrivi – spiega – ci vorrebbero diversi minuti di vantaggio ai piedi dell’ultima salita. Per questo credo che non avrà successo, ma quantomeno ci facciamo vedere».

Già, farsi vedere: uno dei marchi di fabbrica della squadra friulana, la quale tuttavia a questo Giro si era approcciata con aspettative importanti. Petrelli avrebbe aiutato Pietrobon, il capitano, a curare la generale. Buratti per le tappe mosse, Carretta per gli sprint e Sandri per cominciare a lanciare qualche segnale in salita, per conto proprio o in supporto di Pietrobon. Ma dopo appena qualche tappa, le loro ambizioni si sono frantumate.

«Pietrobon e Petrelli – racconta Fusaz – hanno preparato il Giro andando in ritiro a Livigno. Hanno trovato freddo e talvolta neve. Qui al Giro, nella terza tappa di Cesenatico, si sono toccati i 34 gradi. Secondo me specialmente Pietrobon ha sofferto proprio questo: il suo corpo si è ritrovato improvvisamente spossato, il freddo è vasocostrittore mentre il caldo è vasodilatatore. Degli altri tre che dire? Buratti ha fatto un salto di qualità notevole, solo a questo Giro è arrivato tre volte nei primi dieci. Carretta ha talento, ma è solo al secondo anno. E Sandri lo aspetto oggi».

Quando il vantaggio di Petrelli e gli altri quattro aumenta e la giuria fa passare l’ammiraglia di Fusaz, si comincia a vedere un po’ di ciclismo in più. Ai due Zalf, Benedetti e Guzzo, l’onere di lavorare più degli altri: sono due. Santaromita del Mendrisio non è un frillo, lo scorso anno fu secondo agli italiani. Masotto della Iseo sembra il più in difficoltà. Ma da dietro arriva una notizia che lascia l’amaro in bocca: il gruppo è tirato dai Dsm di Vandenabeele.

«Perché facciano così non capisco – sbotta Fusaz – Se c’è un vantaggio nel non avere la maglia rosa, è poter rimanere coperti proprio sulle ruote del leader della generale. Loro, invece, si stanno spremendo, così verso Campo Moro Ayuso e Verre della Colpack sono freschi e battono tutti un’altra volta».

L’ultima ascesa, tra una cosa e l’altra, sfiora i 30 chilometri. Nella seconda parte ci sono diverse gallerie, e infatti viene subito da pensare a quanto sarebbe bello se quassù ci arrivasse anche il Giro dei professionisti. In testa ormai sono rimasti in tre: Petrelli, Benedetti e Santaromita, l’ultimo ad essere ripreso. Alla fine vince di nuovo Ayuso, che ipoteca il Giro. La tappa del Cycling Team Friuli dura un po’ di più e si rivela più interessante, seppur nella sconfitta, del facilissimo talento grazie al quale Ayuso primeggia.

I corridori del Cycling Team Friuli si cambiano al termine della 7ª tappa del Giro d’Italia U23.

Petrelli e Sandri, ad esempio, corrono per scoprirsi. «Il primo – dice Fusaz – era un signor nessuno ed è diventato un signor corridore. Non vince, ma è sempre davanti. Quando in una tappa del Giro di Romagna l’hanno ripreso all’ultimo chilometro, ero più dispiaciuto io di lui». Sandri, invece, è il corridore del Cycling Team Friuli che arriva per primo a Campo Moro. È rimasto coi migliori finché ha potuto, poi si è cimentato in una sorta di cronoscalata personale e in totale solitudine. «È qui che devi dare un senso ai tuoi allenamenti», gli grida Fusaz dall’ammiraglia. Sandri non sta lottando per la vittoria di tappa, ma per una prestigiosa soddisfazione privata: quella di scoprirsi migliorato.

Scuote la testa Pietrobon, doveva essere il capitano e forse è quello messo peggio, sia fisicamente che moralmente. «Non è che ho la mononucleosi?», si chiede sconcertato. È facendosi domande scomode che si cresce. E portando a termine un Giro d’Italia. Può darsi che tra qualche giorno Pietrobon si senta tristemente ridimensionato, ma più agguerrito, più adulto, più consapevole.