GIRO D’ITALIA / Quelli che.. la fuga: sei su dodici tappe, ma i capitani vogliono così

Gougeard (Ag2r Citroen), Pellaud (Androni Sidermec), Zoccarato (Bardiani), Albanese e Rivi (Eolo-Kometa), Van den Berg (Groupama-FDJ) e Van der Hoorn (Intermarché): i protagonisti di una delle fughe vincenti nella terza tappa del Giro d'Italia
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Per lungo tempo la fuga al Giro d’Italia e non solo, ha rappresentato l’eccezione, la piacevole novità che spezza la noiosa routine dei capitani, il quarto d’ora di gloria che dà un senso ad un’intera carriera. Soltanto in alcuni momenti la storia è andata diversamente: quando Coppi e Bartali marcavano le rispettive ombre e le seconde linee ne approfittavano, con annessi fischi dei tifosi ai due fuoriclasse che rimandavano la battaglia; oppure quando Anquetil e Indurain, saggi amministratori di energie e umori del gruppo da grandi cronomen quali erano, non rincorrevano i gregari altrui per non inimicarseli.

Giro d’Italia: è l’anno delle fughe, un premio ai coraggiosi

Il Giro d’Italia 2021, proseguendo nel solco delle ultime stagioni, sta raccontando una storia decisamente diversa: dodici le tappe disputate fino ad oggi (e la prima era una cronometro), ben sei le fughe arrivate destinazione con successo. Degli uomini della classifica generale soltanto Bernal vanta una vittoria di tappa, anche in quel caso conquistata riacciuffando i due fuggitivi rimasti, Bouchard e Bouwman, a poche centinaia di metri dall’arrivo. Praticamente solo nelle frazioni adatte perlopiù ai velocisti la fuga non è arrivata.

C’è chi sostiene che la fuga della mattina vada al traguardo perché non ci sono squadre sufficientemente forti da tenere chiusa la corsa. Il discorso non regge, la BORA-hansgrohe e la Ineos, per citare due delle squadre di riferimento, hanno già dimostrato di saperlo fare. Molto più probabile, invece, che sia una questione d’interesse (o di disinteresse, a seconda di come la si guarda): le formazioni degli scalatori, pur di concentrarsi quasi esclusivamente sulla classifica generale, accettano di lasciare il successo di giornata agli attaccanti. Lusso che invece non possono permettersi i velocisti, che non hanno velleità di classifica generale e sulle vittorie di tappa basano la loro attività.

Ecco perché entrare in fuga è diventato molto più complicato che farla arrivare: una buona metà del gruppo intuisce la possibilità di gloria e non vuole lasciarsela scappare. Da questo punto di vista, gli attaccanti non hanno colpe: tirano l’acqua al loro mulino, fanno contenti direttori sportivi e sponsor, approfittano dello spazio che viene loro lasciato e danno agli spettatori un motivo per non cambiare canale in giornate altrimenti soporifere.

È pur vero, però, che così la fuga perde di significato, è l’eccezione che diventa norma.
Da una parte non è dignitoso nemmeno per i fuggitivi, visto che il gruppo li lascia platealmente avvantaggiare talvolta senza nemmeno inseguirli. E dall’altra non fanno una bella figura nemmeno i capitani, dai quali il pubblico si aspetta degli scontri che valgano anche il successo di giornata. Vedere dei grandi scalatori che si affrontano quando la tappa è già finita da un quarto d’ora, insomma, è meno bello.