AMARCORD/27 Ballerini, finalmente Roubaix: 30 chilometri di fuga solitaria per cancellare l’incubo Duclos-Lassalle

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Due anni prima, l’11 aprile del 1993, gli era caduto il mondo addosso. Si era ritrovato nelle docce del velodromo di Roubaix con gli occhi persi nel vuoto, a parlare da solo, davanti a una piccola platea di giornalisti ammutoliti dal dramma.

Uno gli aveva chiesto: «Franco, cosa hai sbagliato?». E lui: «A fare il corridore». E poi altri neri pensieri ad alta voce, come se davvero in quegli spogliatoi pieni di corridori, sudore e fango fosse solo. 

Franco Ballerini aveva appena perso la “sua” corsa, quella che desiderava con tutte le sue forze. Anzi, non l’aveva persa: l’aveva letteralmente regalata. Sulle pietre era andato come il vento e nel finale gli era rimasto aggrappato solo il vecchio Duclos-Lassalle, che lo aveva supplicato di non staccarlo, di tenerlo a ruota, e lui si sarebbe accontentato del secondo posto. 

All’ingresso del velodromo, però, il francese, che non aveva tirato un metro, era partito a tradimento. Franco era rimasto dapprima inchiodato a un rapporto troppo lungo, poi aveva lentamente rimontato, perdendo per otto maledetti centimetri. 

Quattro giorni prima si lussò una spalla: la sfortuna sembrava invincibile

La tristezza abissale ci aveva messo un po’ a diradarsi, ma lentamente la Parigi-Roubaix aveva ripreso posto nei suoi pensieri. L’anno dopo era finito terzo, sorpreso come gli altri dalla fuga di Andrei Tchmil, ma soprattutto piegato da cinque forature e due cadute. E nel 1995, eccolo ancora al Nord, con l’obiettivo di sempre: domare il pavé.

La sfortuna si era però di nuovo accanita: il mercoledì precedente, nella Gand-Wevelgem, era caduto, riportando la sublussazione della spalla destra. Fine del sogno, ancora una volta? No, gli antidolorifici e la voglia avevano fatto il miracolo e la mattina di domenica 9 aprile, il “Ballero” si presentava alla partenza di Compiègne. 

Sopportare gli orribili scossoni delle pietre in condizioni del genere era qualcosa che andava oltre l’audacia. In compenso, Ballerini aveva al suo fianco il dream team della Mapei-GB, un lotto di corridori nati per la Roubaix. Gente come Tafi e Bortolami, e soprattutto come Museeuw, che l’avrebbe poi vinta per tre volte. 

Franco Ballerini in maglia Mapei-Gb trionfa a braccia alzate nel velodromo di Roubaix.

Al suo fianco, il dream team della Mapei-Gb

E così, dominare la corsa fu più facile del previsto. Franco si trovò in fuga in un gruppetto, affiancato da Tafi e Bortolami, i quali fecero un forcing infernale. Con gli avversari discretamente al gancio, attese il breve settore di pavé di Templeuve e aprì il gas.

Mancava un trentina di chilometri, ma la corsa era già finita. Ballerini volava verso il suo sogno e a quel punto nessuno avrebbe potuto fermarlo. In ogni caso, là dietro, Tafi, Bortolami e Museeuw si incaricarono di frustrare qualsiasi tentativo di evasione.

Entrò nel velodromo, che due anni prima era stato il suo incubo peggiore, e rallentò solo nelle ultime pedalate, come se temesse fino all’ultimo qualche agguato della malasorte. I primi inseguitori, tra cui erano rimasti i suoi tre magnifici compagni di squadra, arrivarono dopo due minuti.

La maledizione era sconfitta: Ballerini vinse ancora nel 1998, e nel 2001 scelse proprio la Roubaix come gara di addio. Arrivò con 8 minuti di ritardo, ma i francesi lo accolsero con una ovazione da brivido, ideale ringraziamento a chi aveva amato così tanto la loro classica più bella.