Il mito di Pantani ora è tutto: salite, biglie, corse, fiction. E non per quel tragico San Valentino

Pantani
Marco Pantani trionfa ad Oropa dopo una spettacolare rimonta. Da ultimo a primo in pochi chilometri.
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E’ difficile, quasi impossibile, parlare di Marco Pantani senza evocarne la fine, la morte, quel brutto albergo di Rimini in cui si rinchiuse la sera di San Valentino, una sera freddissima. Forse il modo migliore per raccontare Marco è quello che ha scelto Adriano Amici: organizzare una corsa, farla passare dalle sue strade e chiamarla come lui, il corridore che ha fatto sognare più di una generazione.

Il suo nome è ancora scritto su tutte le salite, è diventato canzoni, favole da raccontare ai bambini. E’ diventato romanzo, tragedia, documentario. Lo hanno messo in scena a teatro, lasciando un unico ruolo scoperto: il suo. Lo hanno fatto diventare una fiction a puntate, di quelle straziate dalla pubblicità. E’ diventato processi, inchieste, condanne, assoluzioni. Autopsie, foto oscene del suo corpo magro tutto rovinato. E’ diventato tanti monumenti, quasi tutti in cima alle salite ma ce n’è uno, tenerissimo, che si vede dall’autostrada che da Bologna porta al mare, è nel cortile di quella che fu la Mercatone Uno, la sua squadra, a Imola, e Pantani è dentro una biglia colorata, una di quelle che avevamo da piccoli per giocare sulla spiaggia. E lui è la biglia, come se ci fosse ancora, come se fosse qualcuno con cui volendo si può ancora giocare: una spinta con un dito, e via. 

Marco però non è più qui, e con lui non si può più giocare. Ma ricordare si può, come fanno a migliaia i tifosi del ciclismo non appena la strada sale. Marco è ancora nei cuori, per quel suo modo unico di affrontare le corse, e anche la vita. Chi lo sa come sarebbe oggi Pantani se non avesse seguito quel brutto destino in quell’inverno freddissimo. Avrebbe più di cinquant’anni, e forse non sarebbe più nel mondo del ciclismo. E’ difficile immaginarlo al volante di un’ammiraglia, ad appassionarsi per le fatiche degli altri. Ma di sicuro lo costringerebbero a ricordare di continuo, ti ricordi Marco quella volta sul Mortirolo, e quella volta che ti è andata giù la catena all’inizio della salita di Oropa, che numero quella volta, ti ricordi Marco. 

Le scritte dei tifosi di Pantani al passaggio del Giro d’Italia.

E’ morto prima che inventassero i selfie, twitter, instagram, tik-tok. Era un mondo più piccolo, a voltarsi indietro però sembra più grande.

Sulle salite ci sono ancora quelli che prendono le ferie per andare a vedere le corse, e spesso nello zaino hanno ancora la bandana e la bandiera con il teschio. Scrivono Pantani con la vernice sull’asfalto, così i corridori di adesso devono arrancare sopra quel nome che è diventato leggenda. Qualcuno di loro ha fatto in tempo a vederlo correre, Nibali se lo ricorda quando il Giro passò dalla Sicilia nel ’99, l’anno che poi finì a Madonna di Campiglio. Lo vide per una frazione di secondo, ma tanto bastò per emozionarlo. Torniamo qui stanotte, propose Vincenzo ai suoi amici, «stacchiamo un pezzo di asfalto e conserviamolo per sempre, è l’asfalto sul quale è passato il pirata». 

L’amore dei tifosi di Pantani ancora oggi, 17 anni dopo la tragica morte nel giorno di San Valentino.

Quando la strada cominciava a salire, Pantani si liberava delle zavorre una alla volta, così pensava di essere più leggero, di andare più forte. Prima si toglieva gli occhiali, poi la bandana, per ultimo il brillantino che aveva al naso. Oggi che non c’è manca alle sue salite, ai mortiroli, alle marmolade, ma soprattutto al Carpegna, la salita di casa. Diceva che non aveva bisogno di provare prima le tappe del Giro e del Tour, gli bastava fare il suo Carpegna per capire come stava. Qualsiasi idea abbiamo di quella che è stata la sua vita, e anche la sua morte, Pantani ci manca. Anche a chi non l’ha conosciuto e si è costruito una sua immagine, poco importa quanto vicina a quella reale. Chi sa come fosse davvero Marilyn, o che profumo avesse la sua pelle? Eppure è ancora lì, con il vento che le alza la gonna scoprendole le gambe perfette, e la sua voce incerta e sexy che canta Happy Birthday al presidente Kennedy. Pantani uguale. E’ ancora lì.

Qualcuno magari dirà che è diventato un mito perché è morto, ma voi non credetegli. Marco Pantani era un mito anche da vivo. Quando il mondo sembrava più piccolo invece era più grande, anche grazie a lui.