CARUSO ESCLUSIVO/2 «Nibali e Landa caratteri differenti. I momenti più duri al Tour con Van Aert in testa al gruppo. Mia moglie pilastro fondamentale»

Damiano Caruso, di gran lunga migliore italiano al Tour de France 2020
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Ecco la seconda parte della nostra intervista a Damiano Caruso. Il siciliano nel 2021 tornerà sulle strade della Corsa Rosa al fianco di Landa, dalla scorsa stagione leader per le gare a tappe alla Bahrain-Victorious dopo la partenza in direzione Trek-Segaredo di Vincenzo Nibali.

Hai avuto modo di lavorare per diversi grandi campioni e uomini da corsa a tappe nella tua carriera. Prima di Landa, uno dei più importanti è stato sicuramente Vincenzo Nibali. Ci sono delle similitudini tra i due, degli aspetti in cui Mikel e Vincenzo si assomigliano?

«Non credo, sono due caratteri completamente differenti. Sono entrambi due bravissimi ragazzi ma con caratteristiche e qualità molto diverse. Con Vincenzo chiaramente, conoscendoci ormai da quindici anni, il feeling era particolare, diverso».

Con Vincenzo avete corso assieme le Olimpiadi di Rio e quest’anno sarà anno olimpico. Sono un tuo obiettivo della stagione i Giochi? 

«Ho un bellissimo ricordo di Rio 2016 ma con un retrogusto amaro perché sappiamo tutti come è andata. Mi piacerebbe andare a Tokyo, posso rientrare tra i papabili convocati ma ovviamente adesso la mia partecipazione non è certa. In questo momento della stagione non inserirei i Giochi tra i miei obiettivi principali però questo non vuol dire che non ci pensi. Andare alle Olimpiadi sarà più che altro il risultato della buona stagione fatta fino a quel punto. Se in quel periodo avrò dimostrato di avere le gambe e potrò essere determinante per la Nazionale sono sicuro che il selezionatore mi terrà in considerazione e poi, solo allora, capiremo come approcciare la prova, se in supporto a qualcuno o con la possibilità di giocarmi le mie carte perché ho visto che è un percorso che mi si addice».

Cosa sono per uno sportivo e, in questo caso, un corridore le Olimpiadi?

«Dico solamente che ho la pelle d’oca a parlarne. Le Olimpiadi sono lo sport, la sua essenza. Noi a Rio abbiamo respirato solo una parte del clima olimpico perché non abbiamo visto le cerimonie e siamo stati solo al villaggio. È un qualcosa che è difficile da spiegare a parole ma per uno sportivo sicuramente è il massimo a cui ambire. Per me un’Olimpiade vale più d’un Mondiale perché i Giochi si disputano ogni quattro anni, sono un evento storico di grandissima tradizione ed essere un campione olimpico o un medagliato è qualcosa che dà un senso a un’intera carriera. Non parlo solo di ciclismo ma di sport in generale. Conquistare una medaglia in quell’occasione ti dà un’altra dimensione perché entri nell’elite sportiva mondiale ed è qualcosa di fantastico per chi, a prescindere dalla disciplina, ama lo sport».

Alessandro De Marchi – Fabio Aru – Vincenzo Nibali – Damiano Caruso – Diego Rosa

Alle Olimpiadi, se parliamo di nazionalità italiana, potrebbe esserci anche, non su strada ma in pista, uno che nel 2021 sarà un tuo compagno di squadra: Jonathan Milan. Avete avuto già modo di parlarvi? Che ne pensi di lui?

«Ci siamo sentiti solo in un paio di videoconferenze con la squadra. Non abbiamo avuto modo di chiacchierare ma me ne ha parlato molto bene il suo manager Manuel Quinziato di cui sono molto amico. Scherzando mi ha detto ‘dai un occhio al giovane’. Il ragazzo sicuramente è uno dei talenti emergenti del ciclismo italiano, quindi, è un piccolo patrimonio da tutelare. Sono sicuro che in squadra avrà tutte le possibilità per poter esprimere il suo potenziale e so già che avrà spazio per poter preparare le sue gare.  Avrà un occhio di riguardo perché è un ragazzo che ha delle doti ma va guardato e ha bisogno del giusto tempo per crescere, di un programma adeguato alle sue esigenze specialmente in un anno particolare come il 2021. Sicuramente chi lo segue avrà studiato con lui un percorso adatto per avvicinarsi alle prossime gare».

A proposito di giovani e della nuova generazione. Quest’anno in gruppo sei riuscito a correre a fianco di alcuni nuovi talenti che si stanno affacciando in queste stagioni nel mondo del ciclismo. Volevo chiederti brevemente che impressione ti hanno fatto Van Aert e Van der Poel.

«Van der Poel è quello con cui ho corso meno ma quando sei vicino a lui capisci come sia nato per correre in bici. Lui, come Van Aert, è un talento con una classe che anche chi non è esperto di ciclismo è in grado di riconoscere. Il belga mi ha stupito, anzi sbalordito. I momenti più difficili al Tour li ho passati quando lui era in testa a tirare tant’è che, davvero, non vedevo l’ora che smettesse. Quei venti minuti che faceva davanti al gruppo erano, secondo me, i venti minuti più duri della tappa. C’è poco da dire: è uno che, nonostante la stazza, ha una potenza incredibile e una classe nella guida della bici altrettanto evidente. Al Tour poteva staccarsi quando voleva e nessuno gli avrebbe detto nulla e invece, dopo aver vinto nelle tappe di pianura, tirava in salita. Quando hai uno così in squadra, il 40-50% del lavoro l’hai già fatto e questo alla lunga fa la differenza.

Assieme a loro poi sta emergendo anche una nuova generazione di talenti per le gare a tappe. È incredibile osservare come arrivino tra i pro’ dando l’impressione di essere già esperti, preparati e consapevoli di ciò che li circonda. Sarà incoscienza ma, veramente, sembrano non aver paura. La loro generazione non è il futuro ma il presente e quelli che, alla lunga, godranno di più di questo ricambio generazionale saranno i tifosi.

Spero per il ciclismo italiano che arrivi anche il dopo Nibali perché Vincenzo, anche se tutti vorremmo che la sua carriera durasse 20 anni, non è eterno. In ogni caso, per altri tipi di gare abbiamo anche noi dei ragazzi molto interessanti che ci hanno già regalato delle belle soddisfazioni. Tra questi, uno su tutti è Ganna, protagonista di un finale di stagione entusiasmante».

Uno che appartiene invece alla tua di generazione è Chris Froome che a 35 anni ha deciso di cambiare squadra con l’obiettivo dichiarato di tornare a indossare la maglia gialla a Parigi. Secondo molti, per l’età che ha raggiunto e per l’infortunio che ha subito, è una sfida decisamente complicata, per molti addirittura irrealizzabile. Tu che idea ti sei fatto?

«Sicuramente ha raccolto una bella sfida. Se l’ha fatto è perché si sente di avere le energie per farlo perché tanti nella sua condizione avrebbero mollato. In questo caso, ancora una volta, viene fuori la stoffa del campione che non si arrende e che vuole provarci. Questo la dice lunga sul suo conto. Onestamente non so se ci riuscirà o meno, certamente sarà difficile ma non mi stupirei se riuscisse a tornare sui livelli ai cui era abituato. Ben presto ce ne accorgeremo. Mi dispiacerebbe non vederlo competitivo o vederlo soffrire perché è uno che ha scritto pagine importanti della storia di questo sport e vederlo in difficoltà non sarebbe bello. Io gli auguro il meglio poi sarà la strada a dirci se ce l’avrà fatta».

Froome in allenamento in maglia Israel Start-Up Nation (foto: Twitter/Chris Froome)

Froome ha deciso di cambiare squadra scegliendo una formazione israeliana, tu fai parte di una di una formazione affiliata in Bahrain (dove nel 2021 esordirà il primo corridore bahreinita nella storia del World Tour): che idea ti sei fatto di come il ciclismo si stia espandendo andando a cercare nuovi tifosi e nuovi territori.

«Penso che il processo di globalizzazione che stiamo vivendo interessi tutti i settori al giorno d’oggi. Era inevitabile che anche il ciclismo ne fosse coinvolto. Per quanto mi riguarda ben venga quest’opportunità perché la bici e il ciclismo stanno godendo di una popolarità sempre maggiore nel mondo. È bello che si disputino delle gare anche in paesi dove non c’è grande cultura ciclistica permettendo così ad altre persone di appassionarsi e un giorno, magari, anche ad altri talenti di emergere. A forza di correre in Cina, ad esempio, il movimento locale prima o poi sfornerà un corridore di livello. La globalizzazione è qualcosa a cui ci dobbiamo abituare e che in futuro sarà sempre più forte».

Questo per voi comporta ovviamente degli obblighi o comunque dei sacrifici tra trasferte e periodi lontani da casa. Tu oggi come riesci a conciliare il tuo lavoro con i doveri di padre di famiglia?

«Sono due le cose fondamentali ad aiutarmi in questo senso. La prima è mia moglie. Lei è il vero pilastro perché, stando io via tanti giorni l’anno, è lei che deve tenere in piedi la famiglia. Sono fortunato ad avere la donna giusta insieme a me. La seconda è stare in un contesto molto familiare dato che nel raggio di qualche chilometro ci sono nonni, zii e amici. Questo mi consente di vivere in maniera molto più tranquilla perché so che, quando sono lontano da casa, loro possono risolvere qualsiasi tipo di necessità e di problemi. Non nascondo che, alla soglia dei 34 anni, stare via a lungo inizia a diventare impegnativo ma, siccome la passione per questo sport è viva, penso che finché avrò voglia di fare questo tipo di sacrifici tutto verrà naturale. Quest’anno, nella sfortuna, siamo stati fortunati perché ho potuto stare con la famiglia più a lungo del solito».  

Ecco che periodo è stato per voi quello del lockdown?

«Noi come famiglia l’abbiamo vissuto bene, chiusi nella nostra piccola bolla, nella nostra isola felice e per fortuna nessuno, neanche i parenti o gli amici più stretti, ha avuto problemi. È stato un periodo pesante per tutti ma c’è stato chi ha sofferto più di noi, perciò, nel complesso mi posso ritenere fortunato. L’eco dei morti ci arrivava quasi solo tramite il telegiornale ma, anche se la situazione era differente, siamo sempre comunque rimasti a casa attenendoci alle regole».

Avete affrontato con la squadra la questione vaccino?

«Ancora non abbiamo ricevuto indicazioni in merito. È una questione che compete allo staff medico del team che, immagino, starà studiando qualche soluzione in tal senso. Non so se avverrà una vaccinazione di squadra o ognuno procederà tramite i propri canali. Qualora la squadra decidesse di optare per una vaccinazione collettiva toccherebbe a chi di dovere dirimere la questione. Spero e penso che nel giro di poche settimane avremo comunicazioni a riguardo e quando sarà il nostro turno faremo il vaccino».

Damiano Caruso fra i suoi compagni in maglia Bahrain-McLaren

Il vaccino spera di farlo anche chi vi segue da casa. Vi è mancato il pubblico quest’anno?

«Le gare senza pubblico sono di una tristezza infinita. Avere due ali di folla che ti incitano dà una scarica di adrenalina incredibile, i tifosi sono la vera essenza di questo sport. La gente a bordo strada è una componente fondamentale per noi e spero che già dalla prossima estate torneremo a vedere quegli stupendi scenari di pubblico sulle grandi salite».

Quale sarà il tuo programma? Dove debutterai e quali corse farai fino al Giro d’Italia?

«Parteciperò a Valenciana, Ruta del Sol, Strade Bianche, Tirreno- Adriatico, Milano-Sanremo, farò un ritiro in altura e quindi andrò al Romandia, una corsa dove mi piacerebbe già arrivare con una buona condizione per provare a fare qualche risultato personale. A quel punto si entrerà nel momento clou della stagione con Giro d’Italia e Tour de France al centro di tre mesi intensi in cui bisognerà concentrare tutte le energie. Il primo vero obiettivo è arrivare alla Corsa Rosa col picco di forma e assistere Landa per la classifica però non nascondo che mi piacerebbe provare a vincere una tappa».

Nel 2020 il Giro è partito dalla Sicilia. Cosa rende speciale pedalare nella tua regione?

«Credo che tanti amino vivere nel posto dove sono nati. Io mi sento molto legato a questa terra perché qui sono nato e cresciuto. Ciclisticamente parlando, dove vivo io non manca nulla per allenarsi bene anche nel periodo invernale che è quello di solito più complicato in Italia per il meteo. Da questo punto di vista sono avvantaggiato. Anche nel resto dell’anno però mi piace vivere qui perché è il centro principale dei miei affetti e dei miei legami. Se avessi deciso di abitare in un altro luogo sarebbe stato come se, tra una gara e l’altra, fossi rimasto sempre in una sorta di ritiro, sempre confinato lontano da casa. Per me tornare a casa vuol dire tornare in Sicilia non in qualche palazzo o appartamento in qualche altra località».

Vista la grande tradizione culinaria del tuo territorio, ti sei tolto qualche sfizio particolare a livello in questo periodo? C’è qualcosa qui non hai saputo resistere?

«Quest’anno qualche sfizio in più me lo sono tolto. Ora ho qualche chilo da buttare giù, circa tre in più del mio peso forma. Niente di preoccupante comunque, è una situazione che si presenta tutti gli anni, ora con tutte le giornate di ritiro davanti a me avrò modo di smaltire il peso in eccesso».

Completa la frase: sarò soddisfatto a fine 2021 se…

«Non lo so: se avrò vinto una corsa, se Landa avrà vinto il Giro, se la gente starà bene e non ci saranno più morti per Covid…ci sono tanti “se” che dovrebbero realizzarsi per far sì che il 2020 sia riscattato al 100%».