Colombia, allarme doping: la testimonianza di un positivo

Un cartello dell'antidoping al Tour de France
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La Colombia non è soltanto il primo Paese produttore di cocaina al mondo. Tra i problemi legati alle sostanze illecite, spicca in maniera evidente quello legato al doping, una vera e propria epidemia nel mondo dello sport colombiano. Nel ciclismo sono già trenta i corridori sanzionati, ma non è certo l’unico ambiente assediato da questo spettro: sollevamento pesi, atletica, tennis, calcio, boxe, baseball, karate, rugby e persino pattinaggio sono le altre discipline coinvolte. Un’inchiesta dell’«Équipe» ha provato a restituire il clima di paura e di silenzio che circonda gli atleti colombiani, mettendo al centro la testimonianza di Banzer Tomas Bernal Sanchez, uno dei trenta ciclisti risultati positivi al controllo antidoping.

Bernal (che non condivide legami di parentela con il celebre Egan) è uno dei pochi ad aver trovato il coraggio di ammettere le proprie colpe e di testimoniare. Risulta temporaneamente sospeso dal 2021, quando fu trovato positivo in una gara locale vinta da Darwin Atapuma (ex Cofidis e UAE). Banzer non è mai riuscito a diventare professionista, ma continua a coltivare il sogno di poter firmare un contratto con una squadra.

«Venivo da due buone stagioni. Mi sono distinto soprattutto per la mia combattività e la mia presenza nelle fughe» racconta, ricordando un periodo in cui correva senza stipendio per l’Inder Huila, squadra del suo paese. Al termine della quarta e ultima tappa, viene sottoposto ai controlli: «Credo che l’agenzia antidoping mi stesse seguendo perché ero già stato controllato due volte in altre competizioni, probabilmente a causa della mia attività in corsa: non ho vinto ma ho animato le tappe». Sa di aver assunto una sostanza vietata, ma non si lascia prendere dal panico: «Speravo di averla già smaltita perché la dose che avevo preso era bassa». Due mesi dopo, arriva il rapporto delle analisi, che annunciava un risultato “anormale”. Sostanza rilevata: eritropoietina.

«Volevo partecipare a questa corsa che si svolge nella mia terra. Ma due mesi prima della partenza ho preso il Covid e sono stato molto stanco per diverse settimane, una forma di anemia. Invece di andare da un medico, ho cercato sul web che cosa poteva aiutarmi a rimettermi in forma, e ho preso l’epo» ammette Bernal. «L’ho iniettata nello stomaco per via sottocutanea, dove c’è più grasso. La prima dose circa un mese e mezzo prima della gara e le due successive a distanza di otto giorni. Riconosco la mia irresponsabilità e il mio errore». In attesa della sentenza definitiva, che può arrivare fino a quattro anni di sospensione, lavora nel negozio di biciclette gestito dalla sua famiglia.

Se il nome di Banzer Tomas Bernal Sanchez è sconosciuto ai più, non si può dire lo stesso di Miguel Angel Lopez e di Nairo Quintana, entrambi coinvolti in scandali sul doping: il primo nega qualsiasi responsabilità, ma il 25 luglio 2023 è stato comunque sospeso provvisoriamente dall’UCI; il secondo ha invece da poco firmato un contratto con la Movistar, squadra con cui vinse il Giro nel 2014 e la Vuelta nel 2016. Nessuna pena dunque per Quintana, perché la sostanza a cui risultò positivo nel 2022 (e che comportò la sua squalifica dal Tour de France), il tramadolo, è un antidolorifico che all’epoca non era ancora stato inserito nell’elenco dei prodotti riconosciuti come “dopanti” dall’UCI.

Il medico colombiano che allora assisteva Quintana, Fredy Alexander, sarà processato il 2 settembre in Francia, per aver somministrato «senza giustificazione medica […] una sostanza o un metodo proibito nel contesto di un evento sportivo» a seguito di perquisizioni (nell’hotel dove alloggiava l’Arkéa-Samsic) durante il Tour de France 2020.

«Il ciclismo soffre di una cultura del doping radicata, non importa che siano continuamente effettuati controlli: la situazione non cambia» sostiene Orlando Reyes, responsabile dell’Organizzazione Nazionale Antidoping (NADO). «Tutti erano dopati, quindi ci sono caduto anche io. La gente mi chiedeva: “E tu cosa prendi?”. Era naturale farlo, lo facevano tutti e così l’ho fatto anch’io» spiega un corridore che preferisce rimanere anonimo.

Nel pattinaggio, è capitato che fosse addirittura una madre la diretta responsabile del doping di suo figlio, peraltro minorenne: «preoccupata per la magrezza del figlio», ha ammesso di avergli versato gocce di ostarina nel succo d’arancia. Secondo il verbale dell’udienza davanti al tribunale antidoping, la donna ha dichiarato di non sapere che lo steroide anabolizzante fosse proibito, mentre il figlio è stato sospeso per due anni dall’attività sportiva.

Dal 2021 tutti i casi di doping in Colombia passano attraverso un tribunale dedicato, il Tribunale Disciplinare Antidoping (TDA), grazie a una richiesta dell’Agenzia Mondiale Antidoping (WADA), che ha voluto ridurre i conflitti d’interesse; infatti, in precedenza erano le stesse federazioni colombiane a giudicare i propri atleti. Stando ai verbali emessi dal tribunale, la maggior parte degli imputati nega di aver assunto sostanze dopanti o, quantomeno, si sottrae a qualunque responsabilità nel caso, parlando di semplici “integratori”.

«Il traffico di sostanze dopanti è un affare migliore rispetto al traffico di droga, è redditizio e meno rischioso» sostiene un magistrato colombiano impegnato nella lotta al doping. I prodotti dopanti sono alla portata di tutti, per via di un mercato nero che non coinvolge solo contrabbandieri e spacciatori, ma anche medici. 

«Ci sono molti negozi o farmacie che vendono anche prodotti dopanti. Solo a Medellín ce ne sono una decina. E non devo nemmeno viaggiare. Li chiamo o scrivo su WhatsApp che voglio dieci fiale di epo e loro rispondono: “Va bene, quale vuoi?”. Lo stesso vale per il testosterone o l’ormone della crescita» riporta un corridore. Un bonifico e l’ordine viene consegnato direttamente a casa propria.
Ad oggi, tuttavia, nessun medico è mai stato sanzionato in Colombia. Nemmeno Alberto Beltran, soprannominato “il re del doping” dagli investigatori spagnoli. Nel 2012 fu arrestato all’aeroporto di Madrid, poco prima dell’imbarco per Bogotà, quando vennero trovati nel suo bagaglio prodotti dopanti, tra cui AICAR e TB-500, un prodotto veterinario per cavalli. Il medico – che ha doppia nazionalità, spagnola e colombiana – è stato detenuto per diversi mesi in Spagna. Un gip lo accusò di essere a capo di un gruppo criminale dedito al traffico di sostanze dopanti, ma fu rilasciato e tornò in Colombia. La Spagna coinvolse l’Interpol e Beltran fu arrestato nel 2016 a Bogotà, dove venne incarcerato in attesa della sua estradizione a Madrid. Questa, però, non avverrà mai. Fu rilasciato dopo cinque mesi di detenzione, poiché a quel tempo lo spaccio di sostanze dopanti non era un reato in Colombia. Oggi Beltran mantiene un profilo basso, ma lavora ancora come medico sportivo nel suo paese.‍