Kuss: «Alla Vuelta ho sperato che qualcuno tirasse così da riprendere Vingegaard. È stato strano pensarlo»

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Sepp Kuss in maglia rossa sul podio di Madrid alla Vuelta di Spagna 2023
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Nel corso del podcast Geraint Thomas Cycling Club, Sepp Kuss è tornato nuovamente sul tema Vuelta. L’argomento è ancora caldo per lui considerando che è sempre stato visto come un gregario e invece ha vinto un grande Giro.

«All’inizio non mi sembrava giusto dire “Voglio questo, questo e questo” perché avevo capito che ero in quella posizione (primo in classifica generale, ndr) a causa della tattica della nostra squadra, il che è giusto – spiega Kuss – Non avevo intenzione di mettere al loro posto il vincitore del Giro e il vincitore del Tour, nonostante sapessi che avrei avuto le gambe per farlo. Ho sempre avuto fiducia in me stesso, ma non volevo dettare legge in quel modo».

Arrivata la seconda settimana di corsa, Kuss aveva mantenuto la Roja anche dopo la prova a cronometro. Poi la terza settimana: quella decisiva. Quando nella tappa 16 si è affrontata la salita finale di Bejes, dalla radiolina si è sentita la voce di Vingegaard: «Ha chiesto “Posso attaccare?” e io ho detto “Certo, qualcuno deve inseguire, quindi non è un male”. Poi, quando si è verificato uno stallo totale e l’UAE aveva tanti corridori ma nessuno tirava, io ero tipo “Ok, bene, voglio che Jonas vinca ma spero che qualcuno qui dietro tiri, altrimenti cosa facciamo? Non sarò io a rincorrerlo“. È stata una dinamica strana sperare che un’altra squadra insegua il tuo compagno di squadra. Lo dico in senso positivo, volevo che vincesse quella tappa, non c’è niente di sbagliato in questo, ma è stata una situazione strana».

È venuto poi l’Angliru, tappa che, Kuss dichiara, sperava di vincere fin dalle prime battute della corsa. È stata forse la frazione più tumultuosa di tutta la Vuelta, almeno all’interno della Jumbo-Visma, con i due compagni del leader che lo attaccano sul finale. «A un chilometro dall’arrivo andavano sempre più veloci (Vingegaard e Roglic, ndr) e io ero al limite. Quando mi sono reso conto che stavo per staccarmi, ho pensato “Ok, beh, questa è la fine per me. Questo è ciò che abbiamo concordato e non pensavo che accadesse in questo modo, ma immagino che sarà così“».

In realtà è andato in modo diverso: Kuss ha comunque mantenuto la maglia rossa e all’interno della squadra si sono stabiliti gli assetti, non senza qualche disaccordo. È sbagliato però pensare che lo statunitense abbia vinto la Vuelta solo per “gentile concessione” degli altri due compagni di squadra. «Anche quel ragionamento è valido, ma se ci penso, che dire di tutte le volte che li ho portati in giro, o dell’anno in cui ho salvato Primoz sull’Angliru? Se il ciclismo è come un sistema di caste, dove sei un gregario e lo sei in qualsiasi caso, allora è un modo di vedere la cosa, ma poi, a sua volta, chiunque abbia la maglia di leader è il leader in qualsiasi caso. In qualunque modo la si giri, devi giocartela all’interno dei livelli della squadra, anche chi è il più forte, e penso di essere stato il più forte in quella situazione».