Di Felice: «L’ultimo anno con la Maltinti e poi smetto. In Italia gli elite si lamentano troppo»

Francesco Di Felice, 26 anni, è pronto alla sua seconda stagione alla Maltinti, l'ultima da corridore (Foto Pettinati)
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«Che non sarei mai passato professionista l’ho capito lo scorso anno, nel 2022, quando correvo ancora nella Gallina con Turchetti – ricorda Francesco Di FeliceLa mia stagione d’oro fu la quarta e ultima da Under 23, era il 2019, vinsi una decina di gare e nonostante tutto non trovai un contratto. Già allora avevo capito che aria tirava, e le ambizioni le avevo riposte in un cassetto. Nel 2022 ho avuto un sussulto perché ho raccolto diversi piazzamenti in ambito internazionale: nono nella classifica generale della Belgrade-Banjaluka, quarto al Gp Kranj, sesto al Tour of Szeklerland, terzo al Tour of Bulgaria, sesto alla In the Steps of Romans. Ho dovuto prendere atto del disinteresse altrui ed è stato allora che mi sono messo l’anima in pace».

Però hai proseguito, correndo quest’anno con la Maltinti.

«E ci rimarrò anche il prossimo, il mio ultimo nella categoria. La realtà è che io sono rimasto forse l’ultimo elite italiano a interpretare il dilettantismo come “i vecchi” di una volta. Corro per passione, certo, e perché mi pagano abbastanza bene, è inutile girarci intorno. Con lo stipendio che mi dà la squadra, posso permettermi di vivere a Lucca con la mia compagna».

Dalla quale aspetti un figlio, peraltro.

«Sì, un maschio. Il nome non lo abbiamo ancora deciso. A maggior ragione, capirai il mio bisogno di stabilità e certezze. Non vale più la pena rischiare di trasferirsi altrove per cercare un posto in una continental, magari straniera. Vivo a Lucca, non distante dalla sede di Empoli della Maltinti, e per me la situazione è ideale. Per passare professionista ho dato il massimo: evidentemente non è bastato e devo farmene una ragione».

Ci sono degli elite che si lamentano a sproposito, non ti pare?

«Sì, sono d’accordo. Non basta vincere tre o quattro gare dopo anni e anni di anonimato. Un elite deve dimostrare il suo valore in ambito internazionale e nelle gare in cui sono presenti i professionisti. E’ troppo facile nascondersi dietro ad un dito e dare la colpa ai team manager delle grandi squadre che ormai puntano soltanto sui giovani. Le lamentele di alcuni elite le capisco, quelle di tanti altri invece no. Ad esempio, io quest’anno ho vinto soltanto una gara di secondo piano ed è normalissimo che nessuno mi abbia cercato».

Pasqualando, all’inizio di aprile. Immaginavi un’annata migliore?

«Senza dubbio. Sarò sincero, pensavo che il calendario regionale fosse più abbordabile. Pensavo di raccogliere almeno cinque o sei successi. Forse ho sottovalutato il livello altrui, l’ho fatta troppo facile. Da parte mia, qualche errore l’ho commesso. A metà stagione sono andato in altura, forse mi sono gestito male e non ho mai più avuto ottime sensazioni. Poi, probabilmente, mi sono anche demoralizzato e la mia forma ne ha risentito, inevitabilmente».

Uno dei rimpianti della sua stagione: secondo al Trofeo Matteotti, battuto da Nessler (Foto Pettinati)

Hai qualche rimpianto legato a delle singole gare?

«Mi sarebbe piaciuto vincere la Firenze-Empoli perché è la classica d’inizio stagione che organizza proprio la Maltinti. Ho chiuso quinto, davanti a me solo corridori più forti, quindi nessun rimpianto. Forse avrei potuto alzare le braccia al cielo al Matteotti, invece mi ha battuto Nessler. Ecco, forse dovevo impostare diversamente la volata».

Venivi da una continental: come ti sei trovato alla Maltinti?

«Benissimo. Una famiglia, e non è retorica. Brave persone, appassionate, disponibili. Di correre per una squadra più piccola lo avevo deciso io, quindi non mi sono stupito del calendario pressoché regionale. Andare a correre all’estero non è semplice, abbiamo provato a proporlo ma ci siamo resi facilmente conto che non sarebbe successo. Lo capisco, non ho nemmeno approfondito. Resterò alla Maltinti anche il prossimo anno, l’ultimo della mia carriera».

Alla Pasqualando, Di Felice batte Cataldo: è la sua unica affermazione stagionale (Foto Pettinati)

Per raggiunti limiti d’età: il 17 marzo compirai 27 anni.

«Non so ancora cosa andrò a fare dopo. Ogni tanto penso che il ruolo del direttore sportivo non mi dispiacerebbe. L’idea di continuare ad avere a che fare coi ragazzi mi stuzzica, e poi credo ci sia bisogno di un ricambio generazionale anche tra le ammiraglie. Già adesso sono il direttore sportivo in corsa, il raccordo tra la società e il gruppo. Mi trovo bene, anche se i ragazzi non sempre ascoltano».

Fai qualche esempio.

«Sono molto preparati, nulla da dire. Sono molto meno ingenui rispetto al Di Felice di alcuni anni fa e tendenzialmente vanno abbastanza forte. Peccano d’inesperienza, ma è normale. Però potrebbero ascoltare di più: come ci si gestisce in gara e in ritiro, come ci si rapporta col resto del gruppo. Sono piccolezze, certo, ma rientrano nel bagaglio professionale di un corridore. Ma non voglio insistere, alla fine ho solo qualche anno in più di loro».

Cosa chiedi alla tua ultima stagione su strada?

«Io mi sto preparando come se dovessi continuare a correre per altri cent’anni: quindi con serietà e professionalità, altrimenti sarebbe una mancanza di rispetto per la famiglia Maltinti. Sarebbe bello lasciare il segno alla Firenze-Empoli, un bel modo per salutare la categoria e per ringraziare la squadra toscana per il modo in cui mi ha trattato. E poi sarà il momento di guardare avanti. Andare a lavorare non mi spaventa, già quest’anno tra ottobre e novembre sono andato un mese a raccogliere le olive. Sono pronto al resto della mia vita».