Froome inizia a pensare al futuro: «Stiamo cercando di avviare una Chris Froome Cycling Academy in Kenya»

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Chris Froome al Saitama Criterium 2022 (foto: A.S.O.)
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Chris Froome ha fatto capire che, nonostante le sue 38 primavere, non ha intenzione di ritirarsi prima del 2025, anno in cui scadrà il suo contratto con la Israel-Premier Tech. Nonostante i forti disguidi e dichiarazioni che si sono susseguite nell’ultima stagione tra il britannico e Sylvan Adams (proprietario della squadra israeliana), Froome sogna ancora di correre il Tour de France. Solo il tempo ci dirà se il classe ’85 riuscirà a tornare alla corsa da lui vinta ben 4 volte, intanto Chris guarda anche al futuro una volta sceso dalla bici.

Stando a quanto detto recentemente da Froome nel podcast dell’ex compagno di squadra ai tempi della Sky, Geraint Thomas, il suo obiettivo dopo il ritiro sarà quello di aiutare lo sviluppo del ciclismo africano e specialmente kenyano (lui è nato e cresciuto in Kenya) creando un’accademia: «Ho sempre voluto farlo e penso che ora, mentre mi avvicino alla fine della mia carriera, sia il momento perfetto per iniziare a sistemare le cose. Fondamentalmente, stiamo cercando di avviare una Chris Froome Cycling Academy in Kenya, alla base del Monte Kenya, a un’altitudine di 2.000 metri».

In Kenya lo sport più diffuso è l’atletica leggera, con particolare predisposizione verso la corsa e la marcia. Per fare queste discipline devi essere una persona molto resistente ed per questo che Froome ritiene che in questo paese possano risiedere diversi talenti che attendono solo una possibilità per sbocciare: «Una volta facevo corsa campestre e ogni volta che gareggiavamo tra le scuole o qualcosa del genere, venivo distrutto dai keniani. Sono ovviamente i migliori corridori di fondo del mondo. C’era sempre una parte di me in tutti quegli anni in cui ho vinto il Tour che mi ha fatto sentire un po’ ridicolo, inadeguato, sapendo che ci sono atleti molto migliori di me, sotto il punto di vista della resistenza, in Africa orientale».

Froome ha poi concluso sull’argomento dicendo: «Il problema loro è non hanno accesso alle biciclette. Lì il ciclismo in realtà non esiste. Non hanno attrezzature, né formazione, né alcuna struttura. Penso sinceramente che nell’arco di 10/15 anni potremmo vedere qualcosa di simile a quando i colombiani sono entrati in scena nell’ultimo decennio. Credo davvero che avremo un’esplosione di corridori dall’Africa orientale».